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Remissione in termini: no al rito abbreviato retroattivo

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un imputato che chiedeva la remissione in termini per poter beneficiare del rito abbreviato secondo le nuove norme della Riforma Cartabia. La Corte ha affermato il principio del “tempus regit actum”, secondo cui le norme processuali non hanno effetto retroattivo e non è possibile far regredire il processo a una fase già conclusa. Anche le altre doglianze su recidiva e pene sostitutive sono state rigettate.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Remissione in Termini e Riforma Cartabia: No alla Retroattività del Rito Abbreviato

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione relativa all’applicazione delle nuove norme procedurali introdotte dalla Riforma Cartabia. Il caso esaminato chiarisce se un imputato, il cui processo con rito ordinario è già in corso, possa chiedere la remissione in termini per accedere ai benefici del rito abbreviato previsti dalla nuova legge. La risposta della Suprema Corte è stata negativa, riaffermando la solidità del principio tempus regit actum nel diritto processuale penale.

I Fatti del Caso

Il ricorrente era stato condannato in primo grado e la sua pena era stata parzialmente riformata in appello per un reato legato agli stupefacenti. Durante il processo, era entrata in vigore la cosiddetta Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), che ha introdotto una nuova disposizione (art. 442, co. 2 bis, c.p.p.) che prevede un’ulteriore riduzione di pena per chi sceglie il rito abbreviato e non impugna la sentenza di condanna.

La difesa aveva quindi chiesto, sia in primo grado che in appello, la remissione in termini per poter accedere a questo rito speciale, sostenendo che la nuova norma, essendo più favorevole, dovesse essere applicata retroattivamente. Entrambi i giudici di merito avevano rigettato la richiesta.

La Questione sulla Remissione in Termini e la Riforma Cartabia

Il nodo centrale del ricorso in Cassazione verteva sulla natura delle norme che regolano l’accesso al rito abbreviato. La difesa sosteneva che, poiché tali norme incidono sulla quantità della pena, dovrebbero essere considerate di natura sostanziale e, di conseguenza, soggette al principio della retroattività della legge più favorevole (favor rei).

Se così fosse, l’imputato avrebbe avuto diritto a una regressione del procedimento per poter effettuare una scelta processuale che al momento opportuno non era ancora prevista dalla legge. La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere se le regole di accesso a un rito alternativo rientrino nella disciplina processuale, governata dal principio tempus regit actum, o in quella sostanziale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso in parte infondato e in parte inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito. Ha stabilito che la richiesta di remissione in termini per accedere al rito abbreviato è preclusa una volta che il processo è giunto a fasi successive.

I giudici hanno inoltre rigettato gli altri motivi di ricorso, ritenendo correttamente motivata la sussistenza della recidiva, adeguata la pena inflitta (inferiore alla media edittale) e legittimo il diniego delle pene sostitutive, basato su una prognosi negativa legata al curriculum criminale dell’imputato.

Le Motivazioni

La Corte ha fornito una motivazione chiara e lineare. Le disposizioni che individuano i presupposti e i termini per la richiesta del giudizio abbreviato hanno un’evidente natura processuale. Anche se la scelta del rito ha effetti sostanziali sulla pena, la sua disciplina resta soggetta al principio tempus regit actum.

Questo significa che gli atti del processo sono regolati dalla legge in vigore nel momento in cui vengono compiuti. Una volta che il termine per richiedere il rito abbreviato è scaduto e l’imputato ha optato per il rito ordinario, quella fase processuale è da considerarsi definita e non può essere riaperta per applicare una nuova norma, seppur più favorevole.

Accogliere la richiesta di remissione in termini, secondo la Corte, comporterebbe un’inammissibile regressione del procedimento, vanificando le finalità di celerità e definizione rapida dei processi che sono alla base sia del rito abbreviato sia della stessa Riforma Cartabia.

Per quanto riguarda gli altri motivi, la Corte ha osservato che:
1. Recidiva: Era stata correttamente valutata non come un automatismo, ma valorizzando il curriculum criminale dell’imputato e la sua propensione a commettere nuovi reati.
2. Pena: La quantificazione era stata motivata adeguatamente, collocandosi al di sotto della media edittale.
3. Pene sostitutive: Il diniego si basava su una prognosi sfavorevole circa la capacità del condannato di rispettare le prescrizioni, giustificata dai suoi precedenti specifici e dalla sua pericolosità sociale.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale della procedura penale: le regole del gioco non possono cambiare a partita iniziata. Le norme procedurali, anche quando influenzano l’entità della pena, non sono retroattive. Il principio del tempus regit actum garantisce l’ordinata progressione del processo, impedendo che nuove leggi possano stravolgere fasi già concluse. Per gli imputati e i loro difensori, ciò significa che le scelte processuali devono essere ponderate sulla base delle norme vigenti al momento in cui vengono compiute, senza poter sperare in futuri benefici derivanti da modifiche legislative.

È possibile chiedere la remissione in termini per accedere al rito abbreviato secondo le nuove norme della Riforma Cartabia se il processo è già in corso?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è possibile. Le norme procedurali sono soggette al principio tempus regit actum, quindi si applica la legge in vigore al momento della fase processuale. Non si può far regredire un processo a una fase già conclusa per applicare una nuova norma.

Il principio del favor rei (norma più favorevole al reo) si applica alle nuove disposizioni sul rito abbreviato?
La Corte ha chiarito che il favor rei si applica alle norme penali sostanziali (che definiscono reati e pene). Le norme che disciplinano i riti, pur avendo effetti sulla pena, mantengono la loro natura processuale. Pertanto, prevale il principio tempus regit actum e non la retroattività.

Perché è stata negata l’applicazione delle pene sostitutive all’imputato?
La richiesta è stata respinta a causa di una prognosi sfavorevole sulla rieducazione del condannato. I giudici hanno considerato il suo curriculum criminale, la recidiva e le plurime ricadute in reati di stupefacenti, ritenendo che non avrebbe rispettato le prescrizioni legate a una pena alternativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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