Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20345 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20345 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Cosenza il 20/05/1969
avverso l’ordinanza del 21/10/2024 del Magistrato di sorveglianza di Spoleto visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere, NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME con la quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata , il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha rigettato l’opposizione , proposta da NOME COGNOME avverso il provvedimento di diniego dell’istanza di remissione del debito riconducibile a spese processuali, pari ad euro 110.538,10.
L’U fficio di sorveglianza ha respinto l’opposizione ritenendo l’insussistenza dei requisiti richiesti per concedere il beneficio invocato.
Tanto, sia sotto il profilo comportamentale, perché viene segnalato che il detenuto è stato sanzionato nel corso del periodo detentivo per violazione di regole di comportamento penitenziario relative al regime speciale di cui all’art. 41bis ord. pen., sia per le condizioni economiche, indicate come accertate con nota del Comando Compagnia Guardia di finanza di Cosenza del 18 gennaio 2022 (i familiari conviventi sono risultati percettori di reddito da lavoro
dipendente e la moglie è proprietaria di quote di numerosi immobili fabbricati e terreni siti in una località turistica della provincia di Belluno), per le quali è escluso che il ricorrente versi in condizioni economiche tali da reputare sussistente un effettivo stato di indigenza.
Avverso il descritto provvedimento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del difensore, avv. NOME COGNOME denunciando inesistenza della motivazione in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 6 d.P.R. n. 115 del 2002, inosservanza o erronea applicazione di legge penale.
Per il ricorrente, il Magistrato di sorveglianza avrebbe erroneamente considerato insussistenti le condizioni disagiate sulla base di informazioni relative al nucleo familiare dell’istante, senza verificare l’effettiva capacità reddituale dell’interessato e le sue condizioni economiche, la disponibilità di un reddito derivante da lavoro subordinato prima della detenzione e successivamente solo da lavoro saltuario derivante dalla prestazione di attività lavorativa all’interno dell’Istituto penitenziario.
Quanto al reddito, si segnala, inoltre, che questo è di importo sufficiente solo a soddisfare le normali esigenze di vita all’interno dell’Istituto penitenziario, percependo il condannato, saltuariamente, un importo di euro 250,00 da cui vanno detratti euro 100,00 necessari per il mantenimento.
Con riferimento al comportamento tenuto durante la detenzione, il ricorrente evidenzia che COGNOME non ha mai commesso violazioni di norme comportamentali, tanto che gli sono stati concessi periodi di liberazione anticipata sin dal 2014. Inoltre, l’Ufficio di sorveglianza ha sempre dato atto della piena partecipazione di COGNOME all’opera rieducativa attraverso attività lavorativa all’interno dell’Istituto di pena, con partecipazione anche attività socializzanti.
Quanto alle condizioni economiche, va precisato che il ricorrente non ha mai contratto matrimonio con la COGNOME, avendo lo stesso convissuto con la stessa prima della carcerazione, avvenuta nel mese di novembre 2014.
Il Magistrato di sorveglianza ha fatto riferimento ad una situazione economica della convivente rispetto alla quale, a parere del ricorrente, non sussiste un effettivo dovere giuridic o all’adempimento del l’obbligazione del convivente. Dunque, si sono valutate anche le condizioni economiche di soggetto non chiamato a rispondere del pagamento, escludendo l’indigenza assoluta di COGNOME, senza considerare che la somma richiesta avrebbe ridotto il condannato ad una situazione di indigenza assoluta.
Quanto alla presunta proprietà di beni immobili, occorre evidenziare che il ricorrente è nullatenente, che i beni immobili sono intestati alla convivente e a questa sono pervenuti per successione ereditaria.
Inoltre, i beni immobili considerati sono ruderi, di valore economico assai modesto, tanto che nessuno dei (venti) coeredi ha pensato di rivenderli.
Peraltro, come risulta dalla visura che si allega al ricorso, la quota di spettanza della convivente in relazione a questi è pari a un novantesimo.
Questi beni non sono stati acquistati da COGNOME e fittiziamente intestati alla compagna ma sono beni pervenuti direttamente alla convivente iure hereditatis.
Infine, si segnala che COGNOME non percepisce alcun aiuto economico né dalla convivente che percepisce un reddito mensile pari ad euro 500,00, né da altri familiari, ma il condannato fa fronte alle proprie spese solo con il denaro che gli perviene dall ‘attività lavorativa prestata all’interno della struttura penitenziaria.
Il Sostituto Procuratore generale, VCOGNOME, ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Viene, preliminarmente, in rilievo la disposizione di cui all’art. 6 d.P.R. n. 115 del 2002 che, per quanto qui rileva, ai primi due commi, stabilisce: «1. Se l’interessato non è stato detenuto o internato, il debito per le spese del processo è rimesso nei confronti di chi si trova in disagiate condizioni economiche e ha tenuto una regolare condotta in libertà. 2. Se l’interessato è stato detenuto o internato, il debito per le spese del processo e per quelle di mantenimento è rimesso nei confronti di chi si trova in disagiate condizioni economiche e ha tenuto in istituto una regolare condotta, ai sensi dell’articolo 30 ter, comma 8, della legge 26 luglio 1975, n. 354».
Il ricorso, a fronte della complessiva motivazione del Magistrato di sorveglianza, si rivela, per molti versi, generico non contenendo una puntuale illustrazione di contestazioni complete rispetto alle plurime rationes decidendi del provvedimento impugnato.
Sul punto, va richiamato il principio di diritto, qui ribadito e condiviso, secondo cui «è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti» (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, Bimonte, Rv. 272448; conforme Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972).
1.2. Il ricorso omette, invero, la formulazione di specifiche censure in ordine a punti decisamente qualificanti le ragioni che giustificano la decisione di rigetto dell’istanza.
In primo luogo, non è stata contrastata, in modo puntuale, la mancata dimostrazione, a titolo di stima, del valore delle proprietà immobiliari, così come non è stato compiutamente documentato il reddito complessivo del condannato e del nucleo familiare con questo convivente prima della detenzione.
Il ricorrente ha prospettato l’esiguità del valore dei cespiti di cui è risultata comproprietaria la convivente (precisando che questa non è consorte, senza contestare il rapporto di convivenza); tuttavia la documentazione, negli atti trasmessi, è in copia e pressocché illeggibile.
Peraltro, la critica sul reddito complessivo familiare non è assistita da puntuale, specifica critica perché si concentra solo sul rapporto – asseritamente non di coniugio ma di mera convivenza – con la titolare degli immobili, senza contestare la qualità del rapporto (di convivenza) e senza specificare perché il valore di questi beni immobili debba essere reputato irrisorio come dedotto.
Inoltre, dalla nota della Guardia di finanza di Cosenza del 18 gennaio 2022, richiamata nel provvedimento del magistrato di sorveglianza di Spoleto del 2 marzo 2022, risulta che, quanto al condannato e ai familiari con lui conviventi, prima della detenzione, era emersa la percezione di redditi da lavoro dipendente e la proprietà di quote di numerosi immobili, in una località turistica della provincia di Belluno.
In ogni caso, si osserva che su tale punto, il ricorso è generico e, comunque, versato in fatto.
La censura non tiene conto del principio per cui «la valutazione del requisito delle disagiate condizioni economiche, rilevante per la remissione del debito per spese di giustizia e di mantenimento in carcere, può fare riferimento alla situazione economica del nucleo familiare dell’interessato purché si accerti l’effettiva incidenza delle risorse familiari sulle condizioni economiche dell’interessato (Sez. 1, n. 18885 del 28/02/2019, Corso, Rv. 275660 – 02).
Invero, «il requisito delle disagiate condizioni economiche, richiesto dall’art. 6 d.P.R. n. 115 del 2002 ai fini della remissione del debito per spese di giustizia e di mantenimento in carcere, sussiste solo quando il soggetto si trovi in un effettivo stato di indigenza e non anche nel caso in cui versi in difficoltà finanziarie» (Sez. 1, n. 35752 del 28/05/2013, COGNOME, Rv. 256750).
In secondo luogo, si osserva che la censura relativa al comportamento tenuto durante la detenzione è infondata perché fa riferimento soltanto sulla concessione di periodi di liberazione anticipata, peraltro in epoca anche risalente, senza confutare, con specifici argomenti, in fatto e in diritto, la contestazione relativa a infrazioni disciplinari riscontrate e reputate ostative dal Magistrato di sorveglianza (come da comunicazione del DAP alla data del 31 marzo 2020, relativa a ll’ infrazione disciplinare del 20 ottobre 2018 per inosservanza degli
obblighi lavorativi, cui è seguita la sanzione del richiamo con provvedimento del 5 novembre 2018).
Quindi, va rilevato che il ricorso, limitandosi a negare che vi sono state infrazioni non è fondato, mancando una puntuale critica rispetto alla riscontrata carenza di uno dei requisiti, di per sé necessario alla concessione della remissione del debito, carenza sufficiente a ritenere ineccepibile la decisione di rigetto adottata.
Invero, deve essere ribadito il costante principio interpretativo secondo il quale, in tema di remissione del debito, ai fini della concessione del beneficio non è necessaria la positiva partecipazione del condannato all’opera di rieducazione attivata nei suoi confronti, ma soltanto la regolarità della condotta mantenuta durante la detenzione inframuraria. In applicazione di tale principio, questa Corte ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento di non accoglimento dell’istanza di remissione del debito presentata dal condannato, che, nel corso dell’esecuzione carceraria, aveva subito una sanzione disciplinare (Sez. 1, n. 593 del 25/11/2015, dep. 2016, Rv. 265721 -01; Sez. n. 18686 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243781 – 01).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto con condanna del ricorrente alle spese, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 7 marzo 2025