Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16486 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16486 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a San Severo il 15/5/1974 avverso l’ordinanza del Giudice di Sorveglianza di Spoleto del 19/2/2024 letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 19.2.2024, il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto ha provveduto su una opposizione proposta da NOME NOME avverso l’ordinanza con cui in data 23.12.2019 era stata respinta una sua istanza di remissione del debito di 273.613,44 euro, riconducibile a spese processuali in solido con altri sette imputati.
Dando atto che il condannato abbia addotto condizioni economiche disagiate , nonché la circostanza di aver fruito della liberazione anticipata per il semestre in cui è avvenuto il fatto precedentemente giudicato come impeditivo dell’accoglimento dell’originaria istanza, il Magistrato di Sorveglianza ha rigettato l’opposizione, perché nel 2018 COGNOME, pochi mesi prima della presentazione
dell’istanza stessa, è stato sanzionato per avere modificato un modulo prestampato: non rileva, infatti, che per quel semestre il condannato abbia ottenuto la liberazione anticipata, in quanto per il beneficio della remissione del debito è richiesta la costante condotta regolare e senso di responsabilità del comportamento personale.
Quanto, poi, alle condizioni economiche, l’ordinanza ha rilevato che dalla nota della Guardia di Finanza del 4.10.2023 risulta che il detenuto e i suoi familiari conviventi siano intestatari di beni immobili, mentre dalla nota trasmessa dalla Casa di reclusione di Spoleto risultano periodiche dazioni di danaro al detenuto da parte dei familiari.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME articolando un unico motivo, con cui deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione agli artt. 11, 27 Cost.; 125, 127, 666, 667, 678 cod. proc. pen.; 6 d.P.R. n. 115 del 2002; 30-ter, comma 8, Ord. Pen.
Censura che il Magistrato di Sorveglianza, in primo luogo, non abbia proceduto alla comparazione dell’illecito disciplinare con la condotta complessivamente tenuta dal condannato e che, in secondo luogo, abbia omesso ogni motivazione circa la ricostruzione del valore delle possidenze economiche e il rapporto tra tale valore e l’entità del debito, in conformità del principio secondo cui l’adempimento da parte del debitore deve avvenire senza precludere il soddisfacimento delle elementari esigenze vitali. Evidenzia che, in realtà, la Guardia di Finanza indichi, come proprietà immobiliari, una abitazione di tipo economico e una stalla in comproprietà con la moglie, nonché la residenza familiare.
Con requisitoria scritta trasmessa il 12.12.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata limitatamente all’aspetto delle condizioni economiche, perché non risulta motivata la capacità economica del detenuto, se non con un generico riferimento al patrimonio immobiliare e alla esistenza di entrate sufficienti: non v’è alcun cenno alla natura ed al valore dei predetti beni immobili (verificabile da pubbliche iscrizioni), né all’entità delle entrate del nucleo familiare e dello stesso detenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
Nel caso, come quello di specie, in cui l’istanza di remissione del debito sia presentata da un detenuto, vige il disposto dell’art. 6, comma 2, d.P.R. n. 115 del
n(
2002, secondo cui il debito per le spese del processo “è rimesso nei confronti di chi si trova in disagiate condizioni economiche e ha tenuto in istituto una regolare condotta, ai sensi dell’articolo 30 ter, comma 8, della legge 26 luglio 1975, n. 354”.
Il ricorrente contesta, in primo luogo, che nell’ordinanza impugnata sia stato attribuito rilievo esclusivo all’illecito disciplinare del condannato, senza porlo in comparazione con la condotta complessivamente da lui tenuta durante la detenzione.
Va premesso che, in tema di remissione del debito, non è necessaria, ai fini della concessione del beneficio, la positiva partecipazione del condannato all’opera di rieducazione attivata nei suoi confronti, ma soltanto la regolarità della condotta mantenuta durante la detenzione inframuraria (Sez. 1, n. 593 del 25/11/2015, dep. 2016, Formisano, Rv. 265721 – 01).
È stato precisato, a tal proposito, che la valutazione positiva della condotta regolare tenuta durante la detenzione inframuraria può essere esclusa anche a seguito della commissione di un solo illecito disciplinare, ma previa necessaria comparazione tra le caratteristiche, il tempo e le modalità dello stesso con la condotta complessiva del condannato (Sez. 1, n. 28257 del 26/3/2021, COGNOME, Rv. 281753 – 01).
Tenuto conto che l’illecito disciplinare in cui è incorso COGNOME riguardava un fatto di contenuta entità (la modifica della copia in bianco di un modulo prestampato per uso interno, che il detenuto non ha negato di aver compiuto onde avere maggiore agio di presentare richieste alla direzione del carcere anche in caso di eventuale trasferimento in altri istituiti), l’ordinanza impugnata avrebbe dovuto procedere a tale comparazione, giacché, per quanto si ricava dai principi sopra richiamati, la commissione di un isolato illecito disciplinare di limitato rilievo può essere considerata ostativa alla concessione del beneficio della remissione del debito solo a seguito della verifica del fatto che il singolo episodio sia suscettibile di inficiare la complessiva correttezza del restante comportamento carcerario, quale desumibile dal periodo di osservazione del detenuto.
Invece, il magistrato di sorveglianza, per un verso, non ha tenuto conto che, per quanto emergeva dalle informazioni richieste dallo stesso Ufficio di Sorveglianza di Spoleto, l’Area Osservazione e Trattamento della Casa di reclusione confermava “i rassicuranti aspetti di regolare condotta” di COGNOME, “rafforzata da corretti rapporti intrapresi anche d’iniziativa con gli operatori, applicazione al lavoro secondo turnazione di reparto e partecipazione alle attività ricreative”.
Per altro verso, ha trascurato con motivazione contraddittoria l’argomento difensivo che evidenziava la concessione della liberazione anticipata a COGNOME anche per il semestre nel quale era stato sanzionato in via disciplinare, rilevando
che il requisito previsto dall’art. 54 Ord. Pen. è diverso da quello richiesto ai fini della remissione del debito. In tal modo, tuttavia, l’ordinanza incorre in una censurabile incoerenza, in quanto il requisito per la concessione della liberazione anticipata è la partecipazione del detenuto all’opera di rieducazione, e quindi la dimostrazione di un suo impegno senza dubbio più intenso di quello preteso per la remissione del debito, che, per costante affermazione della giurisprudenza sopra richiamata, non richiede la positiva partecipazione del condannato all’opera di rieducazione attivata nei suoi confronti, ma più limitatamente il mantenimento di una condotta regolare.
Quanto, in secondo luogo, alle condizioni economiche del detenuto, l’ordinanza richiama la nota della Guardia di Finanza, secondo cui COGNOME è proprietario della metà di due fabbricati, cointestati con la moglie, in Sannicandro Garganico.
Si tratta di una abitazione di tipo economico (A03) della superficie di mq. 130 e di una stalla della superficie di mq. 13: nulla si dice in ordine al loro presumibile valore di mercato.
Il provvedimento impugnato aggiunge che il detenuto abbia anche la disponibilità di somme di denaro, provenienti da periodiche dazioni dei familiari e dalla mercede.
Dagli atti risulta, sotto questo profilo, che COGNOME abbia percepito mediamente circa 1.000 euro annui tra il 2019 e il 2021 e che la coniuge percepisca circa 10.000 euro annui lordi.
Ciò posto, il requisito delle disagiate condizioni economiche richiesto dall’art. 6 d.P.R. n. 115 del 2002 ai fini della remissione del debito per spese di giustizia, è integrato non solo quando il soggetto si trovi in stato di indigenza, ma anche quando l’adempimento del debito comporti un serio e considerevole squilibrio del suo bilancio domestico, tale da precludere il soddisfacimento di elementari esigenze vitali e compromettere il recupero e il reinserimento sociale e, con essi, le finalità costituzionali della pena (Sez. 1, n. 42026 del 6/7/2018, M., Rv. 273974 – 01).
Si è affermato, inoltre, che la valutazione del requisito delle disagiate condizioni economiche, rilevante per la remissione del debito per spese di giustizia, può fare riferimento anche alla situazione economica del nucleo familiare dell’interessato, purché si accerti l’effettiva incidenza delle risorse familiari sull sue condizioni economiche (Sez. 1, n. 18885 del 28/2/2019, Corso, Rv. 275660 02; Sez. 1, n. 12232 del 23/2/2012, COGNOME, Rv. 252923 – 01).
Ebbene, si può dire che l’ordinanza impugnata non abbia fatto piena e motivata applicazione di tali principi al caso di specie.
Tenuto conto dell’ingente importo della pena pecuniaria, non è stato spiegato
(in quanto, prima ancora, non è stato accertato) né se i due i beni immobili di cui
COGNOME è comproprietario, per le loro caratteristiche, raggiungano tale importo, né se, ove vengano destinati al pagamento del debito, residuino risorse
tali da consentire il soddisfacimento dei bisogni esistenziali minimi, a maggior ragione se si considera il complessivo quadro reddituale familiare come ricostruito.
In questo modo, nemmeno si è potuta prendere in considerazione, per ipotesi, l’eventualità di una remissione parziale del debito per le spese processuali (cfr.
Sez. 5, n. 14562 del 7/3/2017, COGNOME, Rv. 269732 – 01).
3. In definitiva, la motivazione del provvedimento, per le ragioni fin qui esposte, è carente sia nella parte in cui non ha comparato l’unico illecito
disciplinare del condannato con la sua condotta intramuraria complessiva, sia nella parte in cui, valutando la situazione economica del condannato, non ne ha stimato
la effettiva entità e non ha accertato la eventuale disponibilità di risorse economiche eccedenti quelle occorrenti al soddisfacimento delle elementari
esigenze vitali.
Ne consegue, pertanto, che debba essere disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Magistrato di Sorveglianza di Spoleto per un nuovo esame dell’istanza alla luce dei principi sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Magistrato di Sorveglianza di Spoleto.
Così deciso il 23.1.2025