Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9933 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9933 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME GLYPH
nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2023 della CORTE D’APPELLO DI ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto che la Corte di Cassazione annulli la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili in relazione alla ulteriore condotta appropriativa, con rinvio al giudice civile competente in grado di appello; rigetti nel resto il ricorso;
lette le conclusioni del difensore della parte civile AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 marzo 2019 il Tribunale di Viterbo condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia per il reato di appropriazione indebita, aggravata ex art. 61, primo comma, nn. 7 e 11 cod. pen., commesso in danno della parte civile NOME COGNOME, limitatamente all’appropriazione della somma di 15.000 euro.
Con la sentenza qui impugnata la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della prima decisione, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato estinto per prescrizione; nel contempo, in accoglimento dell’appello della parte civile, riconosceva la responsabilità di NOME COGNOME anche in relazione all’appropriazione indebita della ulteriore somma di 17.500 euro.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 574 cod. proc. pen., in ragione degli “effetti sul capo della sentenza concernente le statuizioni civili”, deducendo i seguenti motivi.
2.1. Nullità della sentenza ex artt. 521 e 522 cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante prevista dall’art. 61, primo comma, n. 11 cod. pen. per un fatto diverso da quello oggetto di imputazione, nel quale la contestazione dell’aggravante era fondata sull’abuso della relazione di convivenza fra COGNOME e la COGNOME (inesistente) e non già sul rilascio della procura rilasciata, valorizzata invece dai giudici di merito.
2.2. Erronea applicazione della legge penale e vizio motivazionale con riferimento della suddetta aggravante, ritenuta dalla Corte di appello sussistente in quanto COGNOME si sarebbe fatto rilasciare dalla COGNOME la procura speciale grazie all’abuso della loro relazione sentimentale.
2.3. Nullità della sentenza nella parte in cui ha riconosciuto la responsabilità dell’imputato anche per una ulteriore condotta appropriativa, esclusa dal giudice di primo grado, senza procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante nuovo esame della parte civile e/o comunque mancanza di motivazione per violazione del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge
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10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO e il difensore del ricorrente hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
Anche il difensore della parte civile, in data 31 gennaio 2024, ha presentato conclusioni scritte, dopo avere depositato, il giorno precedente, una istanza di rinvio segnalando di avere ricevuto avviso dell’udienza fissata per il 15 febbraio 2024 solo il 19 dicembre 2023, “senza il rispetto dei termini di cui all’art. 610, comma 5, c.p.p.” (termine che è di trenta giorni e che, pertanto, è stato ampiamente rispettato, ragion per cui l’udienza non è stata rinviata).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
2. Va premesso che il ricorrente – come ha espressamente dedotto – ha interesse a proporre il motivo in quanto alla esclusione della suddetta aggravante conseguirebbe la improcedibilità dell’azione penale con la conseguente revoca delle statuizioni civili che il primo giudice non avrebbe potuto emettere, in assenza di una pronuncia di condanna, al pari della ipotesi in cui si sarebbe dovuta dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione già nel corso del primo grado di giudizio (Sez. U, n. 39614 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283670).
Occorre altresì evidenziare, sempre in via preliminare, che il giudice di primo grado ha affermato che la querela proposta dalla persona offesa “deve ritenersi tamquam non esset” in quanto “non conteneva l’autenticazione della sottoscrizione della querelante” (pag. 3); la Corte di appello, poi, ha solo ricordato che la persona offesa “ha presentato querela per i fatti già esposti di seguito al termine concesso ex art. 12 D. Lgs. 36/18 dal Giudice, dopo che ai sensi dell’art. 11 del predetto decreto in vigore dal 9.5.2018 è divenuto perseguibile a querela l’art. 646 c.p. aggravato dall’art. 61 n. 11 c.p. residuando all’epoca la procedibilità di ufficio unicamente nel caso in cui ricorressero anche circostanze ad effetto speciale. La querela invero è agli atti dell’udienza del 18.3.2019” (pag. 5).
In proposito va rilevato, però, che per un verso l’avviso previsto dal citato articolo 12 sarebbe stato superfluo, vista la costituzione di parte civile (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551), ma che per altro verso – e questo è il punto che rileva – la querela presentata dopo tale avviso, a distanza di anni, non sarebbe certamente idonea a sanare la invalidità di una istanza punitiva
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proposta all’epoca, nel caso in cui, esclusa la sussistenza della suddetta aggravante, il reato fosse ab origine procedibile a querela.
Si tratta di una situazione radicalmente diversa da quella esaminata in diverse pronunce di questa Corte, secondo le quali, in tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, la disciplina transitoria di cui all’art. 12, comma 2, del medesimo decreto, che, in caso di procedimento pendente, prevede l’avviso alla persona offesa per l’eventuale esercizio del diritto di querela, trova applicazione anche in relazione alla persona offesa che in precedenza abbia manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all’art. 124 cod. pen., atteso che la valutazione in ordine alla condizione di procedibilità è ancorata al momento dell’entrata in vigore del nuovo regime normativo, a nulla rilevando eventuali irregolarità della querela afferenti ad un momento procedimentale anteriore, in cui la querela stessa non era richiesta ai fini della procedibilità (Sez. 2, n. 16760 del 19/01/2023, Zilli, Rv. 284526; Sez. 2, n. 48277 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284171; Sez. 2, n. 44692 del 08/11/2022, COGNOME, Rv. 283793; Sez. 2, n. 25341 del 17/05/2021, COGNOME, Rv. 281465).
3. La circostanza aggravante ex art. 61, primo comma, n. 11 cod. pen., nel capo d’imputazione, è stata contestata in quanto NOME COGNOME, solo in premessa indicato quale convivente di NOME COGNOME, avrebbe “abusato delle relazioni intercorse con la persona offesa”.
La contestazione dell’aggravante, dunque, è stata formulata in modo espresso, con riferimento sia alla circostanza di fatto sia alla norma violata, cosicché non appare pertinente il richiamo della difesa al principio statuito nella sentenza Sorge (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Rv. 275436), riguardante l’ammissibilità della contestazione in fatto.
La Corte di appello, integrando la motivazione del primo giudice, che aveva dato rilievo solo al rilascio della procura speciale dalla COGNOME a COGNOME sulla base di un rapporto fiduciario, ha ritenuto sussistente l’aggravante “in virtù dei rapporti di fiducia esistenti tra le parti e, dunque, in particolare della relazione in essere all’epoca tra imputato e persona offesa e ciò al di là del fatto che al COGNOME sia attribuita la qualità di convivente”. Abusando del rapporto sentimentale con NOME COGNOME – ha concluso sul punto la sentenza impugnata l’imputato si fece rilasciare una procura speciale grazie alla quale concluse la transazione anche in suo nome, ottenendo la consegna degli assegni a lei intestati (pagg. 5-6).
Così ricostruita la vicenda processuale, deve escludersi che vi stata una lesione del diritto di difesa, in ragione di uno stravolgimento della contestazione,
potendosi richiamare il diritto vivente, secondo il quale la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza è configurabile solo in presenza di una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad una incertezza sull’oggetto della contestazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205617; Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477; Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, dep. 2021, Capozio, Rv. 280654; Sez. 4, n. 4622 del 15/12/2017, dep. 2018, Gorini, Rv. 271948).
La questione della sussistenza o meno dell’aggravante, dunque, deve essere valutata nei termini indicati nel secondo motivo di ricorso.
La doglianza del ricorrente è fondata là dove lamenta la mancanza di motivazione.
L’art. 61, primo comma, n. 11, cod. pen., infatti, prevede che integri la circostanza aggravante «l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di ospitalità».
La Corte di Appello, ad integrazione delle conclusioni del primo giudice, ha ritenuto sussistente – come si è detto – l’abuso della relazione sentimentale tra i due, assunta come premessa logica e fattuale del rilascio della procura, tale da agevolare la commissione del reato.
Nella motivazione, però, non si è esplicitato se tale rapporto sia riconducibile, avuto riguardo agli accertamenti svolti nel giudizio di primo grado, nell’alveo delle «relazioni domestiche», sia pure nell’ampia nozione da ultimo enunciata da questa Corte, secondo la quale il concetto di «relazione domestica rimanda ad un criterio incentrato sulla contiguità spaziale, qual è quella corrente tra persone che, in quanto appartenenti ad una medesima cerchia familiare, anche se non legate da un vincolo di reciproca parentela, si trovino a condividere gli stessi spazi domestici, senza la necessità della coabitazione. Più specificamente la relazione domestica è la condizione che accomuna tutti coloro che, al di là del legame di sangue, si trovino a frequentare abitualmente
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(attributo cui rimanda il termine “relazione”) una medesima abitazione (luogo cui fa necessario riferimento l’aggettivo domestico), sia che si tratti di genitori, figli, parenti o affini, sia che si tratti di collaboratori familiari o precettori a domicil al di là di un rapporto accompagnato dalla coabitazione, intesa quale permanenza non momentanea di due o più persone in un luogo idoneo alla vita casalinga, o dall’ospitalità che invece presuppone che un soggetto venga, anche occasionalmente, accolto nella propria casa con il consenso sia pure tacito dell’ospitante (Sez. 3, Sentenza n. 52435 del 03/10/2017, Rv. 271885), situazioni queste che pure fanno parte della successiva elencazione contenuta nella disposizione in disamina» (così Sez. 3, n. 36011 del 12/07/2023, D, Rv. 284986).
5. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che l’art. 573, comma 1bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (secondo il quale, «uando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile»), si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione.
La nuova disposizione, dunque, non è applicabile nel caso di specie; pertanto, la sentenza impugnata va annullata ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. ai fini dell’accertamento della responsabilità civile, fermi restando gli effetti penali, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Resta assorbito il terzo motivo di ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso il 15/02/2024.