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Relazione sentimentale e appropriazione indebita

Un uomo è stato accusato di appropriazione indebita ai danni della sua ex partner. Il punto cruciale del caso riguardava se la loro relazione sentimentale potesse configurare l’aggravante delle “relazioni domestiche”. La Corte di Cassazione ha annullato la condanna ai fini civili, stabilendo che il giudice di merito non aveva adeguatamente motivato come tale rapporto implicasse una condivisione di spazi domestici, elemento necessario per l’applicazione dell’aggravante.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Relazione sentimentale e Appropriazione Indebita: i limiti dell’aggravante

Una relazione sentimentale può trasformarsi in un’arma a doppio taglio, specialmente quando la fiducia viene tradita per scopi economici. La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 9933/2024 affronta un caso di appropriazione indebita, mettendo in luce i confini dell’aggravante legata all’abuso di “relazioni domestiche”. La Corte ha chiarito che non basta un legame affettivo per configurare tale aggravante, ma è necessaria una prova concreta della condivisione di spazi di vita comune.

I Fatti: Un rapporto fiduciario tradito

La vicenda giudiziaria ha origine dalla denuncia di una donna nei confronti del suo ex compagno. L’uomo era accusato di essersi appropriato indebitamente di somme di denaro per un totale di oltre 32.000 euro. Sfruttando la fiducia derivante dal loro rapporto, l’imputato si era fatto rilasciare una procura speciale con la quale aveva concluso una transazione a nome della donna, incassando assegni a lei intestati.

L’iter processuale: dalla condanna alla prescrizione

In primo grado, il Tribunale aveva condannato l’uomo per l’appropriazione di una parte della somma (15.000 euro). La Corte d’Appello, pur dichiarando il reato estinto per prescrizione, aveva riformato la sentenza in accoglimento dell’appello della parte civile. I giudici di secondo grado avevano riconosciuto la responsabilità dell’imputato anche per l’ulteriore somma di 17.500 euro, confermando la sua condanna al risarcimento dei danni.

Il punto nevralgico della difesa dell’imputato in Cassazione si è concentrato sulla sussistenza della circostanza aggravante prevista dall’art. 61, n. 11, del codice penale, ovvero l’aver commesso il fatto con abuso di “relazioni domestiche”.

La relazione sentimentale come aggravante: il nodo del contendere

La difesa ha sostenuto che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere sussistente l’aggravante. L’accusa originaria parlava di un abuso del rapporto di convivenza, circostanza poi risultata inesistente. I giudici di merito avevano invece fondato l’aggravante sull’abuso della relazione sentimentale che aveva indotto la vittima a rilasciare la procura. Secondo il ricorrente, mancava una motivazione adeguata a dimostrare che tale legame affettivo rientrasse nel concetto giuridico di “relazioni domestiche”, che presuppone un legame più stretto basato sulla condivisione di spazi abitativi.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la censura sulla mancanza di motivazione. I giudici supremi hanno ribadito che il concetto di “relazione domestica” si fonda su un criterio di “contiguità spaziale”. Esso si applica a persone che, pur non essendo necessariamente parenti o conviventi, si trovano a condividere abitualmente gli stessi spazi domestici.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello si era limitata a valorizzare l’esistenza di una relazione sentimentale e fiduciaria, senza però esplicitare se e come questa si fosse tradotta in una frequentazione abituale dell’abitazione e in una condivisione degli spazi di vita che caratterizzano le “relazioni domestiche”. Questa omissione ha reso la motivazione carente, non permettendo di verificare se l’aggravante fosse stata correttamente applicata.

L’assenza di una motivazione solida su questo punto cruciale ha portato la Cassazione ad annullare la sentenza impugnata.

Le conclusioni

La sentenza è stata annullata limitatamente agli effetti civili. Poiché la questione dell’aggravante era decisiva per determinare la procedibilità del reato e, di conseguenza, per la validità della condanna al risarcimento, la sua incerta sussistenza ha travolto anche la statuizione civile.

La Corte ha quindi rinviato il caso al giudice civile competente in grado di appello per un nuovo esame. Questo giudice dovrà accertare nuovamente la responsabilità civile dell’imputato, valutando in modo approfondito se la relazione sentimentale tra le parti integrasse effettivamente gli estremi delle “relazioni domestiche” secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza. La decisione sottolinea l’importanza di una rigorosa prova dei presupposti fattuali delle circostanze aggravanti, che non possono essere date per scontate sulla base della sola esistenza di un legame affettivo.

Una relazione sentimentale costituisce automaticamente l’aggravante delle “relazioni domestiche”?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è sufficiente provare l’esistenza di un legame affettivo. Per configurare l’aggravante dell’abuso di “relazioni domestiche” (art. 61, n. 11, c.p.), è necessario dimostrare che il rapporto implicava una contiguità spaziale, ovvero la condivisione abituale degli stessi spazi domestici, anche senza una coabitazione formale.

Cosa accade agli effetti civili se il reato penale si estingue per prescrizione in appello?
Se il reato si estingue per prescrizione, il giudice penale può comunque pronunciarsi sulle statuizioni civili (come il risarcimento del danno) se la responsabilità dell’imputato è già stata accertata in primo grado. Tuttavia, se l’appello contesta elementi essenziali per la stessa procedibilità del reato (come in questo caso, l’esistenza di un’aggravante che rendeva il reato procedibile d’ufficio), la decisione può essere annullata anche per gli effetti civili.

Perché la Cassazione ha annullato la sentenza solo per gli effetti civili?
La Cassazione ha annullato la sentenza solo per gli effetti civili perché l’azione penale era già stata dichiarata estinta per prescrizione dalla Corte d’Appello. L’unico aspetto ancora in discussione era la condanna al risarcimento del danno. Poiché la motivazione sull’aggravante (che sosteneva la procedibilità e quindi la condanna civile) è stata ritenuta carente, la Corte ha rinviato il caso al giudice civile per una nuova valutazione della sola responsabilità civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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