Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13774 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13774 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a PREMOSELLO-CHIOVENDA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nata a VERBANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/06/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi; lette le conclusioni del difensore, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino, per quanto qui interessa, ha confermato la condanna di COGNOME NOME e COGNOME NOME in ordine al reato di falso materiale (artt. 81, comma secondo, 110 e 476 cod. pen.), commesso in concorso con COGNOME NOME e caduto sul registro istituito presso
il Comune di Brovello Carpugnino per l’attestazione delle presenze delle persone ammesse al lavoro di pubblica utilità (capo A).
1.1. In particolare la Corte distrettuale – razionalizzando le plurime contestazioni di falso materiale e ideologico della originaria imputazione (recepite anche nella sentenza di primo grado) – ha ritenuto:
che il fatto-reato, ripartito tra i capi A), B) e C), fosse unitario perché ricadente sul medesimo atto (il registro presenze);
che si trattasse di un falso materiale per alterazione o contraffazione (art. 476 cod. pen.), delitto che assorbiva quello di falso ideologico pure contestato ai capi B e C (art. 479 cod. pen.);
che fosse configurabile il concorso degli “estranei” COGNOME NOME e COGNOME NOME nel reato proprio del pubblico ufficiale posto in essere anche con la partecipazione materiale dell’ “intraneo” COGNOME NOME.
Sulla scorta di tanto la Corte di appello ha qualificato le condotte di cui al capo A) ai sensi dell’art. 476 cod. pen., ritenendo assorbiti i reati di falso ideologico di cui ai capi B) e C); ha quindi proceduto alla conseguente rideterminazione della pena in senso decisamente più favorevole agli imputati.
1.2. Con provvedimento del GIP del Tribunale di Verbania in data 13 gennaio 2015, NOME era stato ammesso alla sospensione del processo con messa alla prova. Secondo il programma predisposto dall’UEPE, l’imputato avrebbe prestare attività lavorativa in favore della collettività presso il Comune di Brovello Carpugnino. Attività inizialmente svolta, ma subito interrotta (tanto che l’ammissione al rito alternativo è stata revocata).
COGNOME NOME, all’epoca Sindaco del Comune di Brovello Carpugnino, era compagna di NOME e titolare dello studio legale che difendeva l’RAGIONE_SOCIALE nel procedimento penale. La donna, per sua stessa ammissione, aveva materialmente apposto sul registro le firme di presenza di NOME.
COGNOME NOME era vice-sindaco del Comune di Brovello Carpugnino ed era stato indicato quale referente per il coordinamento della prestazione di lavoro di pubblica utilità di NOME. Aveva attestato, con un “visto di conferma” apposto sul registro, la presenza di NOME al lavoro.
Avverso la sentenza ricorrono gli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, con separati atti a firma del comune difensore, che sviluppano i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo, comune a entrambi i ricorrenti, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta riconducibilità al novero degli atti pubblici del “registro presenze”.
Si sostiene:
che il registro di presenze, ritenuto normativamente alternativo all’impiego di strumenti di rilevazione elettronica, svolge la medesima funzione e presenta la stessa natura di un cartellino marcatempo, sicché, al pari di quest’ultimo, non rivestirebbe valenza pubblicistica;
che il registro presenze è un mero atto interno perché va trasmesso solo al Comune non all’UEPE (destinatario, invece, della relazione finale);
che il registro è un atto a forma libera e non è previsto che il referente vi apponga un “visto” di conferma delle presenze;
che il “referente operativo” può anche non rivestire la qualifica di pubblico ufficiale ed è stato un caso che nella specie si trattasse del vicesindaco;
che nessuna norma impone la tenuta del registro e che il riferimento ad esso contenuto nell’art. 3 del DM n. 88 del 2015 è irrilevante perché detto decreto disciplina, in base al suo stesso titolo, le convenzioni in materia di lavoro di pubblica utilità, non lo svolgimento dell’attività lavorativa;
che, al più, con la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova, avrebbe potuto trovare applicazione l’art. 56 d. Igs. n. 274 del 2000.
2.2. Con il secondo motivo, proposto dal solo COGNOME, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza della responsabilità concorsuale.
Non risulta provato che l’imputato abbia fornito un contributo alla realizzazione del reato commesso da altri.
Né il mero fatto di essere il principale interessato alla falsificazione, può essere sufficiente a comprovare la consapevolezza e volontà della commissione del falso.
I ricorsi sono stati trattati, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all’art. 23, comma 8 legge n. 176 del 2020 e successive modifiche. Il difensore degli imputati ha trasmesso una memoria di replica alle conclusioni del P.G., insistendo, con ampie citazioni giurisprudenziali, sulla dedotta equiparazione tra registro presenze e cartellini marcatempo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
Va preliminarmente osservato come la sentenza impugnata sia dotata di un apparato motivazionale preciso, analitico, scrupoloso, nel quale già trovano esaustiva risposta i motivi riproposti con i ricorsi per cassazione.
Il primo motivo, comune ai ricorsi di COGNOME e COGNOME, è infondato.
3.1. Le condotte di falso, in origine contestate come autonomi reati (capi A, B e C), sono state riferite a un unico fatto-reato siccome afferenti al medesimo atto (il registro delle presenze). Detto atto presentava falsità sia materiali (l’apposizione di firme di COGNOME da parte di COGNOME) sia ideologiche (il visto di conferma di COGNOME); e in una situazione siffatta la Corte di appello, in consonanza con i consolidati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto la falsità ideologica assorbita in quella materiale, divenendo irrilevante, a fronte della sua contraffazione, la veridicità o meno dell’atto (Sez. 5, n. 28052 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 276133; Sez. 5, n. 12400 del 13/1:L/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266700; Sez. 5, n. 38083 del 27/09/2005, Strada, Rv. 233076).
La sussistenza delle falsità è incontroversa, si discute solo della riconducibilità del “registro presenze” alla categoria degli “atti pubblici”.
3.2. La tesi dei ricorrenti si trova confutata, con ricchezza di argomenti, alle pagine 59-68 della sentenza impugnata.
3.3. L’infondatezza degli assunti difensivi deve muovere da una prospettiva che i ricorsi non tengono nel debito conto: la vicenda si inserisce all’interno di un procedimento penale a carico di COGNOME; COGNOME chiede e ottiene la sospensione del processo con messa alla prova ex art. 464-bis e ss. cod. proc. pen.; la concessione della messa alla prova deve sempre essere subordinata al lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione non retribuita a favore della collettività ex art. 168bis, comma terzo, cod. pen.; l’esito positivo della messa alla prova estingue il reato.
In tale ottica è agevole rilevare che: il soggetto incaricato come referente del lavoro di pubblica utilità (che l’imputato deve prestare al fine di ottenere l’estinzione del reato) assume certamente ia veste di pubblico ufficiale poiché sovrintende un compito di massima rilevanza pubblicistica demandatogli dalla autorità giudiziaria; gli atti formati dal “referente” in merito all’effett svolgimento del lavoro di pubblica utilità (nell’ambito del procedimento penale di messa alla prova) hanno valore di atti pubblici poiché attestano l’adempimento degli obblighi imposti; in particolare, il registro di presenza è i documento che la normativa secondaria espressamente prevede (art. 3 DM n. 88 del 2015) al fine di attestare, in modo analitico, il computo effettivo delle ore di lavoro svolte dall’imputato ed è il solo atto che, pertanto, consente una verifica accurata circa l’effettivo rispetto del monte ore fissato dal giudice nel provvedimento di ammissione dell’imputato alla messa alla prova.
3.4. È vano il tentativo di equiparare il registro delle presenze al cartellino marcatempo così da estendere al primo il principio secondo cui: «Non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, documenti che, peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla P.A.. (Sez. U, n. 15983 del 11/04/2006, Sepe, Rv. 233423 – 01).
Lo ha già rilevato, con dovizia di argomenti, la Corte di zippello (pagg. 66 e 67).
In questa sede è sufficiente rimarcare che la prestaziDne di lavoro non retribuita a favore della collettività ex art. 168-bis, comma terzo, cod. pen. ha natura, struttura, caratteri e finalità del tutto eccentrici rispetto alla prestazion lavorativa del dipendente pubblico.
La prima si inserisce in un procedimento penale e mira a conseguire l’estinzione del reato, la seconda attiene al rapporto di pubblico impiego.
Risulta invece, più pertinente, l’accostamento, effettuato dalla Corte di appello, del “registro delle presenze” per cui è processo al registro per l’apposizione delle firme dei sottoposti alla libertà controllata ovvero al registro delle presenze dei frequentanti e l’attestato finale di frequenza dei corsi per il recupero dei punti della patente a seguito di infrazioni del codice della strada; atti ai quali la giurisprudenza di legittimità attribuisce pacificamente natura pubblicistica (Sez. 6, n. 29109 del 17/04/2001, COGNOME, Rv. 220426 – 01; Sez. 5, n. 13069 del 16/02/2011, COGNOME, Rv. 249851 – 01).
3.5. Con riguardo alle ulteriori censure è sufficiente richiamare i costanti arresti giurisprudenziali secondo cui il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 cod. civ., dovendo rientrare in detta nozione anche gli atti preparatori di una fattispecie documentale complessa, come gli atti di impulso di procedure amministrative, a prescindere che il loro contenuto venga integralmente trasfuso nell’atto finale del pubblico ufficiale o ne venga a costituire solo il presupposto implicito necessario (Sez. 5, n. 37880 del 08/09/2021, COGNOME, Rv. 282028 – 01).
Nei reati di falso non assume valenza la distinzione tra atti con efficacia interna e atti destinati a spiegare effetti esterni, in quanto anche i primi possono avere valenza probatoria in relazione all’attività espletata dalla P.A., né rileva il fatto che il documento contenente la falsa attestazione non sia previsto da un’espressa norma che ne indichi i requisiti di forma, né che esso debba essere
riprodotto in atti diversi e successivi, posto che anche gli atti atipici possono rientrare nella categoria dell’atto pubblico (Sez. 5, n. 4618 del 21/11/2003 deo. 2004, COGNOME, Rv. 228059).
Alla luce di tali evidenze si appalesano prive di pregio le problematiche sollevate dai ricorrenti in ordine alla natura interna dell’atto, alla sua destinazione al comune e non all’Uepe, alla forma libera.
3.6. È privo di pertinenza il richiamo all’art. 56 d. Igs. n. 274 del 2000.
Il secondo motivo, proposto dal solo COGNOME, in punto di responsabilità concorsuale è inammissibile.
4.1. La Corte di appello ha individuato il titolo di responsabilità dell’COGNOME nel concorso morale con COGNOME e COGNOME; nel senso che il primo si sarebbe accordato con i correi per la falsificazione del registro preserze e che l’accordo rientrava nel più ampio disegno, concepito ab origine, di non effettuare alcuna prestazione di attività, sottraendosi a qualunque controllo.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, la prova di tale accordo viene desunta da una serie di elementi gravi, precisi e concordanti.
Il primo di essi è rappresentato dal fatto che NOME è il principale interessato alla falsificazione. Si tratta di un indizio che richiede la concordanza di altri indizi ex art. 192, comma 2, cod. proc. pen., pur sempre dotato, però, di particolare significatività (cfr. Sez. 5, n. 29877 del 15/09/2020, COGNOME, Rv. 279699).
Il giudice di secondo grado arricchisce la prova indiziaria con ulteriori elementi: NOME sapeva che era stato istituito un registro delle presenze che doveva essere da lui firmato, perché provvede alla compilazione dello stesso nel primissimo periodo; successivamente si disinteressa completamente non solo di prestare lavoro ma anche di recarsi in Comune evidentemente sapendo che altri avrebbero provveduto in sua vece; le firme sono apposte dalla propria compagna, Sindaco del Comune e titolare dello studio che difendeva NOME; era la COGNOME che si presentava, con cadenza quasi giornaliera, a firmare il registro con il nome di NOME; NOME si sentiva le spalle talmente coperte, che neppure si è preoccupato di presentarsi all’Uepe per i colloqui fissati e ha continuato a seguire i propri affari privati disinteressandosi completamente degli obblighi assunti con la messa alla prova (cfr. pagg. 70-74)
La motivazione offerta è priva di cadute logiche, risponde alla regola valutativa di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. e non risulta scalfita dalle doglianze esposte in ricorso, che si arrestano a considerazioni o meramente astratte o di semplice opposizione, come tali inidonee ad intaccare la tenuta del tessuto argomentativo della pronuncia.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Non è decorso il termine massimo di prescrizione neppure in relazione alla prima condotta, verificatasi il 6 febbraio 2016, dato che risultano 356 giorni di sospensione (133 giorni per rinvio dal 3 febbraio 2023 al 16 giugno 2023 su richiesta del difensore; 11 giorni per rinvio dal 22 novembre 2018 al 3 dicembre 2018 per adesione all’astensione; 124 giorni per rinvio dal 9 maggio 2019 al 10 settembre 2019 per adesione all’astensione; 64 giorni per sospensione c.d. Covid per rinvio udienza del 26 marzo 2020, ricadente nel primo pelodo emergenziale – cfr. Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna, Rv. 280432 – 02; 24 giorni per rinvio dal 25 novembre 2019 al :19 dicembre 2019 per impedimento difensore); sicché detto primo episodio (in ordine temporale) si prescriverebbe il 27 luglio 2024.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/01/2024