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Registro presenze lavoro pubblica utilità: è atto pubblico

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13774/2024, ha stabilito che il registro presenze lavoro pubblica utilità, compilato nell’ambito di una messa alla prova, è un atto pubblico. Di conseguenza, la sua falsificazione integra il reato di falso materiale. La Corte ha distinto nettamente tale documento da un comune cartellino marcatempo, sottolineando la sua funzione certificativa all’interno di un procedimento penale finalizzato all’estinzione del reato. È stato inoltre confermato il concorso morale nel reato per il beneficiario della falsificazione, anche se non autore materiale.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Registro presenze lavoro pubblica utilità: la Cassazione ne afferma la natura di atto pubblico

Con la recente sentenza n. 13774 del 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione di notevole importanza pratica: la natura giuridica del registro presenze lavoro pubblica utilità compilato nell’ambito della messa alla prova. La Corte ha stabilito in modo inequivocabile che tale documento costituisce un atto pubblico, con tutte le conseguenze penali che derivano dalla sua alterazione. Questa decisione segna una netta distinzione rispetto alla giurisprudenza sui comuni cartellini marcatempo dei dipendenti.

I fatti del caso: una falsificazione a più mani

La vicenda giudiziaria riguarda un imputato ammesso al beneficio della messa alla prova, che prevedeva lo svolgimento di un’attività lavorativa non retribuita presso un ente comunale. Invece di prestare servizio, l’imputato si assentava sistematicamente, ma la sua presenza veniva falsamente attestata sul registro. La falsificazione materiale avveniva attraverso l’apposizione della firma a suo nome da parte della sua compagna, che all’epoca dei fatti ricopriva la carica di Sindaco del Comune. Il tutto veniva avallato dal visto di conferma del vice-sindaco, nominato referente per il coordinamento dell’attività. La Corte di Appello aveva confermato la condanna per il reato di falso materiale in atto pubblico in concorso.

La questione giuridica e la difesa degli imputati

Il nodo centrale del ricorso in Cassazione verteva sulla qualificazione del registro delle presenze. La difesa sosteneva che non si trattasse di un atto pubblico, ma di un mero atto interno, assimilabile a un cartellino marcatempo. Secondo questa tesi, il registro non avrebbe valenza pubblicistica perché destinato a rimanere all’interno del Comune e non a essere trasmesso all’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Inoltre, l’imputato principale negava il proprio coinvolgimento, sostenendo che il solo fatto di essere il beneficiario della falsificazione non fosse sufficiente a dimostrare un suo concorso morale nel reato.

Le motivazioni della Cassazione sul registro presenze lavoro pubblica utilità

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i motivi di ricorso, fornendo un’analisi dettagliata e rigorosa che chiarisce la funzione e la natura del documento in questione.

La natura pubblicistica del registro

I giudici hanno spiegato che l’errore della difesa sta nel non considerare il contesto in cui il registro si inserisce: un procedimento penale. La messa alla prova è un istituto che subordina l’estinzione del reato all’esito positivo di un programma di trattamento, il cui fulcro è proprio il lavoro di pubblica utilità. In quest’ottica:

1. Funzione Certificativa: Il registro presenze lavoro pubblica utilità non è un semplice promemoria, ma il documento ufficiale previsto dalla normativa (art. 3 DM n. 88 del 2015) per attestare in modo analitico e accurato l’effettivo svolgimento delle ore di lavoro. È l’unico strumento che consente al giudice di verificare il corretto adempimento degli obblighi imposti.
2. Qualifica del Referente: Il soggetto incaricato di sovrintendere al lavoro di pubblica utilità assume la veste di pubblico ufficiale, poiché svolge un compito di massima rilevanza pubblicistica delegatogli dall’autorità giudiziaria.
3. Irrilevanza della Destinazione: La Corte ha ribadito che, ai fini dei reati di falso, la distinzione tra atti interni ed esterni è superata. Anche un atto preparatorio o interno può avere valenza probatoria e rilevanza pubblica.

Di conseguenza, il registro non può essere equiparato a un cartellino marcatempo, che attiene a un rapporto di lavoro privato, ma va assimilato ad altri registri a cui la giurisprudenza riconosce pacificamente natura di atto pubblico, come quelli per la libertà controllata o per il recupero dei punti della patente.

La prova del concorso morale

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha ritenuto che la responsabilità dell’imputato fosse provata da una serie di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Egli non era un soggetto passivo, ma parte di un accordo criminoso concepito fin dall’inizio. Gli indizi chiave sono stati:

* Essere il principale interessato alla falsificazione.
* Sapere dell’esistenza del registro che avrebbe dovuto firmare personalmente.
* Disinteressarsi completamente non solo del lavoro, ma anche dei colloqui con l’UEPE, sentendosi “coperto” dall’accordo con la compagna-sindaco e il vice-sindaco.

Questo comportamento dimostra la piena consapevolezza e volontà di partecipare al disegno illecito.

Le conclusioni

La sentenza n. 13774/2024 della Cassazione consolida un principio fondamentale: i documenti che attestano l’adempimento di obblighi derivanti da un provvedimento giudiziario hanno natura di atto pubblico. Falsificare il registro presenze lavoro pubblica utilità significa commettere un grave reato contro la fede pubblica, poiché si inganna l’autorità giudiziaria sulla sussistenza dei presupposti per estinguere un reato. La decisione serve da monito sulla serietà degli impegni assunti con la messa alla prova e sulle responsabilità penali che gravano non solo su chi compie materialmente il falso, ma anche su chi, pur beneficiandone, ne è consapevole e ne accetta i vantaggi.

Il registro delle presenze per il lavoro di pubblica utilità è considerato un atto pubblico?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che tale registro è un atto pubblico perché si inserisce in un procedimento penale (la messa alla prova) e ha la funzione di attestare ufficialmente l’adempimento degli obblighi imposti dall’autorità giudiziaria, necessari per l’estinzione del reato.

Falsificare il registro delle presenze per la messa alla prova è diverso dal falsificare un normale cartellino marcatempo di un dipendente?
Sì, è molto diverso. Mentre il cartellino marcatempo attiene a un rapporto di lavoro di natura privatistica, il registro delle presenze per il lavoro di pubblica utilità ha una finalità pubblicistica: documentare lo svolgimento di una prestazione che è condizione per l’estinzione di un reato in un procedimento penale.

Chi non compie materialmente la falsificazione ma ne è il beneficiario, può essere ritenuto responsabile?
Sì. Nel caso esaminato, l’imputato che doveva svolgere il lavoro è stato ritenuto responsabile in concorso morale. La Corte ha ritenuto provato il suo accordo con i coimputati sulla base di una serie di indizi, tra cui il suo essere il principale interessato e la sua completa e consapevole assenza dal luogo di lavoro, sapendo che altri avrebbero falsificato il registro per lui.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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