Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 108 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 108 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 18/12/2024
R.G.N. 31518/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sui ricorsi proposto da: COGNOME NOME nato a Vibo Valentia il 01/06/1979 COGNOME NOME nato a Vibo Valentia il 23/07/1973
avverso la sentenza del 19/03/2024 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; udito l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dei difensori, avv. NOME COGNOME e avv.
COGNOME per COGNOME NOME e avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME per COGNOME NOMECOGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catanzaro con sentenza del 19/03/2024 – in riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Vibo Valentia in data 24/07/2020, che aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati loro rispettivamente ascritti – rideterminava la pena pecuniaria, sostituiva la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea e confermava nel resto la sentenza impugnata.
NOME COGNOME a mezzo dei difensori, ha interposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 267, 268 e 271 cod. proc. pen. Osserva che le intercettazioni di cui ai RIT 96/11 e 69/12 sono inutilizzabili, non essendo state autorizzate; che, invero, nel caso di specie NOME COGNOME, prima di recarsi agli appuntamenti con i suoi interlocutori, si muniva del telefono spia fornitogli dalla polizia giudiziaria per intercettare le conversazioni; che, dunque, tale circostanza si pone in conflitto con i criteri di ‘senza alcuna intrusione’ e di ‘genuinità’, richiesti dalla giurisprudenza di legittimità; che sotto tale ultimo profilo non può essere riconosciuta la genuinità
nell’interlocutore di turno, tenuto conto che COGNOME si pone come una sorta di suo suggeritore, al fine di far attribuire la responsabilità al COGNOME; che, dunque, devono trovare applicazione i principi sanciti dalle Sezioni Unite nelle sentenze COGNOME e COGNOME in tema di inutilizzabilità; che la sentenza impugnata avrebbe dovuto motivare anche sul denunciato vizio di inutilizzabilità sia rispetto alla fonte anonima da cui traeva origine il RIT 96/11, che al decreto del pubblico ministero, che non contiene alcun riferimento agli impianti attraverso i quali sarebbe dovuta avvenire la captazione.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. Rileva che dal contenuto delle conversazioni intercettate e, piø in generale, dagli atti del procedimento si desumono elementi di segno contrario rispetto a quelli evidenziati nelle sentenza impugnata; che, invero, nel 2009 non risultano colloqui tra l’odierno ricorrente, all’epoca detenuto e NOME COGNOME, per cui non Ł dato comprendere come e quando sarebbe stato conferito il mandato estorsivo; che non vi Ł prova di rapporti tra i due; che il COGNOME non aveva timore dei COGNOME di S. Onofrio; ma soprattutto che non aveva contezza in merito all’identità del mandante della richiesta estorsiva e del successivo taglio delle piante di ulivo; che anche dalla testimonianza del sacerdote COGNOME con cui il COGNOME si sarebbe confidato, deve escludersi che nelle conversazioni tra essi intercorse quest’ultimo abbia mai fatto specifico riferimento a NOME COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 416bis .1 cod. pen. Evidenzia come, benchØ sia contestata la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, la sentenza motivi invece sulla esistenza dell’associazione, richiamando una sentenza del 1996 del Tribunale di Vibo Valentia per il reato associativo, che non ha visto coinvolto l’odierno ricorrente; come, rispetto ai reati commessi tra gli anni 2010/2011, non siano pertinenti le condotte riferite dal COGNOME, che risalgono ad un periodo di gran lunga antecedente; come, poi, risultino del tutto neutre le dichiarazioni del COGNOME, atteso che l’inizio della collaborazione risale al 2/4/2006; come dal contenuto delle intercettazioni emerga che il COGNOME non temesse la cosca.
2.4. Con il quarto motivo si duole della violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 62bis cod. pen. Osserva che la Corte territoriale non ha considerato che la mancata individuazione dell’esecutorie materiale della condotta estorsiva non consente di stabilire in che rapporto questi si trovasse con il COGNOME, se l’ordine gli fosse stato impartito direttamente da lui o da altri e soprattutto in che termini; che – pur a voler dar credito alla ricostruzione offerta dal COGNOME secondo la quale sarebbe venuto specificamente a conoscenza che il mandante dell’estorsione fosse l’imputato solo nel 2011 – non Ł possibile ritenere, come fa la sentenza, che si tratti di condotte protrattesi per un biennio, sì da ritenere l’elevata intensità del dolo, stante l’assenza di riferimenti alla persona del ricorrente nel periodo precedente.
3. NOME COGNOME a mezzo dei difensori, ha interposto ricorso per cassazione.
3.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 267, 268 e 271 cod. proc. pen. Osserva che la Corte territoriale erroneamente ha ritenuto utilizzabile il compendio intercettivo di cui al RIT 961/11, facendo malgoverno dei principi di diritto affermati nella sentenza delle Sezioni Unite Torcasio; che, invero, trattasi di una intercettazione ambientale, in quanto la polizia giudiziaria – soggetto estraneo alla conversazione ascoltava contestualmente, di talchŁ andava autorizzata; che, peraltro, detta attività di registrazione era stata sollecitata proprio dalla polizia giudiziaria, oltre che effettuata con strumentazione da essa fornita; che il decreto di urgenza emesso dal pubblico ministero non indica i mezzi utilizzati per l’intercettazione dei colloqui, impedendo qualsivoglia controllo da parte della difesa; che, infine, anche il decreto di convalida adottato dal giudice per le indagini preliminari risulta viziato, in quanto
del tutto generico.
3.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 629 cod. pen. e 192 cod. proc. pen., nonchØ carenza ed illogicità della motivazione. Rileva che la motivazione della sentenza impugnata difetta in relazione al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, che non sono state lette in maniera sistematica; che le numerose discrasie del narrato del Lopreiato vengono genericamente superate con il riferimento all’assoggettamento omertoso di cui il dichiarante sarebbe stato vittima; che non viene tenuto conto l’interesse economico di cui Ł portatore il Lopreiato, sol che si consideri che adduce un danno di circa centomila euro; che, in ogni caso, nella condotta del COGNOME non si rinviene alcuna minaccia, atteso che in tutti e tre gli episodi che lo vedono coinvolto non sono state proferite espressioni minatorie o rievocative della consorteria di stampo mafioso, non essendo all’uopo sufficiente l’asserita indicazione nominativa del COGNOME; che, del resto, lo stesso COGNOME in dibattimento ebbe a riferire, con riferimento al primo episodio, che si trattò di una normale compravendita, mentre, con riferimento al secondo episodio, che la mancata vendita fu determinata dal ritiro dei bidoni, senza riverberi accusatori nei confronti del ricorrente.
3.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 416bis .1 cod. pen., nonchØ carenza ed illogicità della motivazione. Evidenzia come detta circostanza aggravante sia stata dedotta in via automatica, solo in considerazione della appartenenza del mandante ad un supposto sodalizio mafioso; che, invece, dagli atti non emergono elementi per poter ritenere che il ricorrente abbia agito ingenerando nella persona offesa la consapevolezza di subire un danno per mano della criminalità organizzata, qualora non avesse ottemperato alle richieste rivoltegli; che nemmeno Ł sufficiente il riferimento che la sentenza opera al contesto permeato da mafiosità, atteso che nel caso di specie i ) non Ł possibile provare quando il COGNOME avrebbe incaricato il COGNOME di porre in essere la richiesta estorsiva, ii ) nØ da quali elementi sia possibile dedurre il ritenuto assoggettamento del COGNOME, che ha affermato di conoscere l’imputato solo di vista, iii ) nØ, infine, che vi sia una vicinanza criminale tra il COGNOME ed il COGNOME, non emergendo un siffatto dato dal contenuto delle intercettazioni.
3.4. Con il quarto motivo di duole della violazione la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 62bis cod. pen., nonchØ carenza ed illogicità della motivazione. Ritiene viziata la motivazione del provvedimento impugnato, in quanto ha fondato il diniego delle circostanze attenuanti generiche solo sulla gravità del fatto e non anche su una valutazione soggettiva del diritto o meno di ottenere il riconoscimento delle attenuanti di cui all’art. 62bis cod. pen.; che, inoltre, i giudici di appello non hanno tenuto conto del corretto comportamento processuale serbato dall’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME Ł inammissibile.
1.1. Il primo motivo Ł manifestamente infondato.
Invero, il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità in seguito a Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 225466, può dirsi da tempo superato in conformità ai principi di diritto fissati da quelle stesse Sezioni Unite, cui anche il Collegio intende dare continuità. In particolare, Ł ormai consolidato l’orientamento secondo il quale, la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d’iniziativa da uno dei partecipi al colloquio, costituisce prova documentale, utilizzabile come tale in dibattimento e non intercettazione “ambientale”, soggetta alla disciplina degli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., anche quando sia effettuata su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest’ultima, con la specifica finalità di precostituire una prova da far valere in giudizio (cfr., Sez. 2, n. 46185 del 21/09/2022, Puzone, Rv. 284226 – 02 e Sez. 2, n. 40148 del
06/07/2022, COGNOME, Rv. 283977 – 01, precedute da Sez. 2, n. 12347 del 10/02/2021, D’Isanto, Rv. 280996 – 01; Sez. 2, n. 26766 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279653 – 01; Sez. 6, n. 5782 del 17/12/2019, dep. 2020, Rv. 278452 – 01; Sez. 5, n. 13810 del 11/02/2019, COGNOME, Rv. 275237 – 01; Sez. 2, n. 3851 del 21/10/2016, dep. 2017, Rv. 269089 – 01).
In altri termini, si ritiene che la registrazione fonografica di una conversazione telefonica effettuata da uno dei partecipi al colloquio costituisca una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento quale prova documentale, rispetto alla quale la trascrizione rappresenta una mera trasposizione del contenuto del supporto magnetico contenente la registrazione; ciò anche nell’ipotesi in cui la registrazione sia stata effettuata su suggerimento o incarico della polizia giudiziaria ovvero con mezzi da questa forniti, atteso che nel sistema processuale non sussistono limiti di utilizzabilità rispetto alla assunzione della testimonianza del privato sul contenuto di quelle dichiarazioni: il contenuto del colloquio, invero, ben potrebbe essere introdotto nel processo attraverso la testimonianza del partecipe che ha effettuato la registrazione.
Non si tratta, dunque, di una intercettazione, in quanto difetta sia la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione (il cui contenuto viene al contrario legittimamente appreso da chi palesemente vi partecipa o vi assiste), che la terzietà del captante. Del resto, «la comunicazione, una volta che si Ł liberamente e legittimamente esaurita, senza alcuna intrusione da parte di soggetti ad essa estranei, entra a fare parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l’effetto che ognuno di essi ne può disporre, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d’ufficio). Ciascuno di tali soggetti Ł pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma piø opportuna, documentazione e quindi prova di ciò che, nel corso di una conversazione, direttamente pone in essere o che Ł posto in essere nei suoi confronti; in altre parole, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall’altro o dagli altri interlocutori» (Sezioni Unite Torcasio, cit.).
Deve, dunque, ritenersi superato l’orientamento secondo il quale la registrazione di conversazioni effettuata da un privato, mediante apparecchio collegato con postazioni ricetrasmittenti attraverso le quali la polizia giudiziaria procede all’ascolto delle stesse e alla contestuale memorizzazione, non costituisce una mera forma di documentazione dei contenuti del dialogo, nØ una semplice attività investigativa, bensì un’operazione di intercettazione di conversazioni ad opera di terzi, come tale soggetta alla disciplina autorizzativa dettata dagli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., con la conseguente inutilizzabilità probatoria di tale registrazione, ove preceduta dalla sola autorizzazione del Pubblico Ministero (Sez. 4, n. 48084 del 11/07/2017, B., Rv. 271059 – 01; Sez. 3, n. 39378 del 23/03/2016, C., Rv. 267806 – 01; Sez. 2, n. 19158 del 20/03/2015, COGNOME, Rv. 263526 – 01; Sez. 2, n. 7035 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 258551 – 01).
Nel caso che si sta scrutinando, le conversazioni tra presenti sono state effettuate con un telefono fornito al Lopreiato dalla polizia giudiziaria e da lui consapevolmente effettuate, di talchŁ trattasi di prova documentale, utilizzabile come tale in dibattimento.
1.2. Il secondo motivo non Ł consentito, essendo costituito da mere doglianze di fatto, finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità.
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimità, infatti, Ł
precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale Ł quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione. In altri termini, eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità Ł circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (cfr., Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME Rv. 284556 – 01; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758 – 01; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01).
Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può, quindi, estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Dunque, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito ed il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico del concorso dell’imputato nel reato per cui si procede, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica. In particolare, ha valorizzato l’inequivoco contenuto delle conversazioni registrate dal COGNOME, dalla quali emerge che il mandante delle condotte estorsive si individua in NOME COGNOME (significativa – tra le altre – Ł la conversazione intercorsa con GiofrŁ al progr. 5/14, nella quale si fa preciso riferimento a NOME , diminutivo con cui Ł appellato l’odierno ricorrente, che si comporta in maniera differente rispetto allo zio NOME COGNOME), a nulla rilevando che fosse stato il COGNOME a fare per primo il nome di NOME COGNOME in quanto l’interlocutore aveva comunque offerto autonoma conferma in ordine alla riconducibilità dell’ordine a quel nome.
Peraltro, la sentenza impugnata in punto di responsabilità, con specifico riferimento alla sussistenza del concorso ex art. 110 cod. pen. e piø in generale in relazione alla ricostruzione dei fatti ascritti all’imputato costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Tribunale, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280654 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01).
1.3. Il terzo motivo Ł manifestamente infondato, atteso che la Corte territoriale ha dato conto con motivazione congrua ed esente da vizi logici della sussistenza della circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, desumendola dalla elevata caratura criminale del COGNOME, che era detenuto per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. già nel lontano 2008, circostanza questa ben nota nella comunità di riferimento, per cui l’evocazione del suo nome da parte del latore della
richiesta estorsiva ha avuto una elevata valenza intimidatoria, come dimostra anche la circostanza per cui la persona offesa, pur conoscendoli, avesse omesso di indicare gli autori della illecita richiesta. Nello stesso senso hanno ritenuto i giudici di secondo grado che deponessero le modalità di consumazione dei danneggiamenti, che avevano avuto ad oggetto plurimi beni, sì da suggerire l’azione collettiva di un gruppo organizzato.
In altri termini, Ł stato fatto buon governo dei principi di diritto piø volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui per la configurabilità dell’aggravante in discorso nei territori in cui Ł radicata una associazione mafiosa storica Ł sufficiente che il soggetto agente faccia riferimento anche implicitamente al potere criminale della consorteria, atteso che tale potere Ł di per sØ noto alla collettività di riferimento (Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285669 – 01; Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, Gabriele, Rv. 284950 – 01; Sez. 2, n. 19245 del 30/03/2017, COGNOME, Rv. 269938 – 01; Sez. 2, n. 32 del 30/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268759 – 01).
1.4. Anche il quarto motivo Ł manifestamente infondato. Sul punto, Ł sufficiente evidenziare che la statuizione in punto di circostanze attenuanti generiche Ł giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità – atteso che dalla trama motivazionale si evince agevolmente che il giudice di prime cure ha formulato un negativo giudizio di personalità, in considerazione sia della gravità del fatto che della protrazione per circa due anni della condotta illecita, dati questi ritenuti indicativi dell’elevata intensità del dolo – con la conseguenza che Ł insindacabile in cassazione (cfr., Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, COGNOME, Rv. 282693 – 01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163 – 01).
2. Il ricorso di NOME COGNOME Ł inammissibile.
2.1. In relazione al primo motivo si rinvia alle considerazioni svolte al punto 1.1. del ‘Considerato in diritto’, dove l’identica questione relativa alla utilizzabilità delle risultanze delle registrazioni delle conversazioni tra presenti effettuate da NOME COGNOME, trattata con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, Ł stata ritenuta manifestamente infondata.
2.2. Il secondo motivo non Ł consentito, atteso che per un verso reitera gli stessi argomenti proposti al giudice di secondo grado e da questi risolti con motivazione congrua ed immune da vizi logici e per altro verso, confrontandosi solo in apparenza con la motivazione del provvedimento impugnato, Ł aspecifico. Invero, la Corte territoriale con motivazione esaustiva ha evidenziato come le dichiarazioni della persona offesa fossero coerenti, lineari e costanti e come le reticenze emerse fossero giustificabili con il timore in cui la stessa versava, chiaramente evincibile anche dalla omessa indicazione nelle denunce contro ignoti delle richieste di forniture di olio non evase che avevano preceduto i danneggiamenti, oltre che dalla negazione del ruolo attivo e consapevole avuto nelle registrazioni dei colloqui; come, dunque, la assoluta genuinità delle dichiarazioni, riscontrata dalle risultanze delle conversazioni registrate, non fosse pregiudicata dalla richiesta di risarcimento dei danni patiti e come non risultassero dagli atti motivi di astio o rancore nei confronti degli odierni imputati, vista l’assenza di pregressi rapporti. Quanto alla concreta condotta tenuta dal COGNOME, i giudici di secondo grado hanno valorizzato la carica intimidatoria delle sue richieste promanante dalla evocazione della figura criminale di NOME COGNOME, del cui messaggio era stato latore presso il Lopreiato, personalmente e per il tramite del GiuffrŁ. Del resto, la minaccia può ben essere implicita, specie quando la richiesta proviene sia pure indirettamente da soggetto di cui Ł noto l’elevato spessore delinquenziale.
Con tali circostanze la difesa si confronta solo in apparenza, limitandosi a reiterare le doglianze già sottoposte al vaglio della Corte di appello e da questa valutate e risolte con motivazione esente da vizi logici.
Dunque, sotto tale profilo, come si accennava, il motivo Ł anche aspecifico.
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, Ł inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (cfr., Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849 – 01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945 – 01).
2.3. Il terzo motivo Ł inammissibile perchØ manifestamente infondato.
Sul punto devono richiamarsi le considerazioni svolte al punto 1.3. del ‘Considerato in diritto’, dove l’identica questione relativa alla configurabilità della circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso Ł stata trattata con riferimento alla posizione del COGNOME. Qui resta solo da aggiungere che questa Corte ha avuto cura di precisare che, in tema di estorsione, la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso non Ł esclusa dal fatto che la vittima delle minacce abbia assunto un atteggiamento “dialettico” rispetto alle ingiuste richieste (Sez. 2, n. 6683 del 12/01/2023, COGNOME, Rv. 284392 – 01) ovvero abbia reagito rivolgendosi immediatamente alle forze di polizia per denunciare (Sez. 2, n. 45321 del 14/10/2015, COGNOME, Rv. 264900 – 01), ciò non determinando il venir meno della portata intimidatoria delle stesse
2.4. Anche il quarto motivo Ł manifestamente infondato, atteso che la motivazione del provvedimento impugnato in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non presenta profili di illogicità, avendo la Corte territoriale ritenuto ostative la gravità dei fatti e la reiterazione prolungata per circa di anni delle condotte criminose. Del resto, Ł ormai pacifico il principio affermato da questa Corte secondo cui non Ł necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma Ł sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (cfr., Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sez. 5, n. 43952/20017 cit.; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 – 01).
All’inammissibilità dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 18/12/2024
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME