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Regime penitenziario speciale e limiti alla cottura cibi

Un detenuto sottoposto a regime penitenziario speciale ha contestato l’imposizione di fasce orarie per cucinare. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che tali restrizioni sono legittime se non creano una discriminazione ingiustificata e vessatoria rispetto ai detenuti comuni dello stesso istituto.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Regime Penitenziario Speciale: Limiti e Diritti dei Detenuti secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28314/2025, è intervenuta su una questione delicata riguardante i diritti dei detenuti sottoposti al regime penitenziario speciale (noto come 41-bis). La pronuncia chiarisce i parametri di legittimità delle restrizioni imposte all’interno degli istituti di pena, con particolare riferimento alla regolamentazione di attività quotidiane come la cottura dei cibi. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere il bilanciamento tra le esigenze di sicurezza e il rispetto dei diritti fondamentali della persona detenuta.

I Fatti del Caso: La Controversia sulle Fasce Orarie per Cucinare

Un detenuto, ristretto nella Casa circondariale di Bancali-Sassari e sottoposto al regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen., ha presentato un reclamo al Tribunale di Sorveglianza. L’oggetto della contestazione era la disposizione interna che prevedeva fasce orarie predeterminate entro le quali era consentito cucinare.

Secondo il ricorrente, tale limitazione costituiva un’ingiustificata afflizione, non necessaria ai fini di ordine e sicurezza che caratterizzano il regime speciale. Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari, tuttavia, aveva respinto il reclamo. Di conseguenza, il detenuto ha proposto ricorso per cassazione, portando la questione all’attenzione della Suprema Corte.

La Decisione della Cassazione sul regime penitenziario speciale

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo e confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La Corte ha colto l’occasione per enunciare un principio di diritto chiaro e applicabile a situazioni analoghe: la legittimità di una regolamentazione dei diritti per i detenuti in regime penitenziario speciale deve essere valutata attraverso un confronto con il trattamento riservato ai detenuti comuni all’interno dello stesso istituto penitenziario.

Le Motivazioni: Il Principio di Non Discriminazione come Parametro di Legittimità

Il cuore della motivazione della Corte risiede nell’individuazione di un parametro oggettivo per giudicare la legittimità delle restrizioni. Secondo gli Ermellini, il punto di riferimento non è un astratto diritto a svolgere determinate attività senza limiti, ma il trattamento concreto riservato agli altri detenuti.

La previsione di fasce orarie per la cottura dei cibi, o qualsiasi altra limitazione simile, è considerata legittima se non risulta discriminatoria rispetto a quanto previsto per la popolazione detenuta comune. In altre parole, se anche i detenuti comuni sono soggetti a limitazioni orarie simili per ragioni organizzative e di sicurezza interna, l’imposizione della stessa regola ai detenuti al 41-bis non può essere considerata illegittima.

Al contrario, una differenziazione del trattamento diventa illegittima quando è ingiustificata. Se una restrizione viene imposta solo ai detenuti in regime speciale senza una valida ragione legata alle finalità del 41-bis, essa assume un “carattere sostanzialmente vessatorio”. In questo caso, non sarebbe più una misura di sicurezza, ma una punizione aggiuntiva e ingiustificata. Nel caso di specie, la Corte ha implicitamente ritenuto che la misura non avesse superato tale soglia di illegittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza ha importanti implicazioni pratiche. Innanzitutto, stabilisce che il regime penitenziario speciale non autorizza l’amministrazione penitenziaria a imporre qualsiasi tipo di restrizione in modo arbitrario. Ogni limitazione deve essere non solo finalizzata a prevenire contatti con l’esterno, ma anche proporzionata e non discriminatoria.

In secondo luogo, fornisce ai giudici di sorveglianza un criterio chiaro per valutare i reclami dei detenuti: il principio di parità di trattamento rispetto ai detenuti comuni, fatte salve le specifiche restrizioni previste dalla legge per il regime 41-bis. Questo approccio garantisce che il regime speciale non si trasformi in uno strumento di vessazione, ma rimanga circoscritto alle sue finalità di sicurezza pubblica.

È legittimo imporre fasce orarie per cucinare ai detenuti in regime penitenziario speciale?
Sì, secondo la Corte è legittimo, a condizione che tale regolamentazione non sia discriminatoria rispetto al trattamento riservato ai detenuti comuni ristretti nello stesso istituto.

Qual è il criterio per valutare la legittimità di una restrizione per i detenuti al 41-bis?
Il criterio fondamentale è il confronto con il trattamento dei detenuti comuni. Una differenziazione è illegittima solo se è ingiustificata e assume un carattere sostanzialmente vessatorio, cioè inutilmente oppressivo.

Cosa accade se una restrizione per un detenuto in regime penitenziario speciale è ingiustificatamente diversa da quella per i detenuti comuni?
Se la restrizione crea un’ingiustificata differenziazione, essa viene considerata illegittima perché assume un carattere vessatorio, trasformandosi in una misura oppressiva anziché in una legittima regola di gestione penitenziaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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