Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26590 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26590 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 29/09/2023 del TRIBUNALE di SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con ordinanza in data 29/9/2023, ha rigettato il reclamo avverso il decrào ministeriale del 13/12/2022 di proroga della durata di anni due del regime di cui all’art. 41 bis, commi 2 e 2 bis, ord. pen. nei confronti di COGNOME NOME.
Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’interessato che, a mezzo del difensore, ha dedotto la violazione di legge in relazione agli artt. 41 bis ord. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen. evidenziando che la motivazione resa dal Tribunale sarebbe apparente in quanto farebbe riferimento a elementi inesistenti e non si confronterebbe con gli argomenti evidenziati dalla difesa, ciò con
specifico riferimento al ruolo apicale che il condannato asseritamente avrebbe ricoperto e al pericolo di contatti con il “can COGNOME“, che non esisterebbe più.
In data 2 febbraio 2024 sono pervenute in cancelleria le conclusioni scritte con le quali il AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Nell’unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 41 bis ord. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen. evidenziando che la motivazione resa dal Tribunale sarebbe apparente in quanto farebbe riferimento a elementi inesistenti e non si confronterebbe con gli argomenti evidenziati dalla difesa.
Le doglianze non sono consentite dalla legge e, comunque, risultano manifestamente infondate.
2.1. L’art. 41 bis, comnna 2, delimita l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione, prevedendo che “il procuratore generale presso la corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale per violazione di legge”.
Nello specifico, per pacifico arresto – interpretativo (Sez. 1, n. 18434 del 23/04/2021, COGNOME, Rv. 281361 – 01; Sez. 7, n. 19290 del 10/1/2016, COGNOME, Rv. 267248 – 01; Sez. 1, n. 48494 del 9/11/2004, COGNOME, Rv. 230303 – 01; Sez. 1, n. 5338 del 14/11/2003, COGNOME, Rv. 226628 – 01), l’amnnissibilità dei motivi di ricorso limitati alla sola violazione di legge comporta che il controllo demandato nel giudizio di legittimità riguarda l’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale e l’assenza di motivazione, che priva il provvedimento impugnato del requisito preteso dall’art. 125 cod. proc. pen. e dal comma 2 sexies dell’art. 41 bis ord. pen., secondo il quale il tribunale di sorveglianza “decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 c.p.p., sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2”.
Il vizio deducibile in termini di mancanza di motivazione contro l’ordinanza del tribunale di sorveglianza comprende, infatti, oltre all’ipotesi, pressoché
scolastica, di un provvedimento totalmente privo di giustificazioni, ma dotato di solo dispositivo, tutti i più frequenti casi nei quali la motivazione stessa sia deficitaria dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il percorso logico seguito dal giudice di merito, o comunque l’apparato argomentativo del provvedimento sia così carente e scoordinato nei suoi necessari passaggi logici da non fare intendere le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un., n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv 226710 – 01; Sez. Un., n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv 239692 – 01; Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, COGNOME, Rv 260314 – 01; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, COGNOME, Rv 252430 – 01) in quanto solo in tale caso, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell’atto (cfr. Sez. 3, n. 28241 del 18/2/2015, COGNOME, Rv 264011 e, in termini analoghi, Sez. 3, n. 38850 del 4/12/2017, dep. 2018, Castiglia, Rv 273812 – 01).
Resta, quindi, esclusa la censurabilità del provvedimento sotto il profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
2.2. Nel caso di specie il Tribunale di sorveglianza, diversamente da quanto indicato nell’atto di ricorso, ha reso una motivazione coerente e adeguata per cui le doglianze, tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura degli elementi acquisiti, non sono consentite.
Il giudice della sorveglianza, infatti -con il compiuto riferimento alla biografia criminale del ricorrente e alla posizione apicale rivestita nell’ambito dell’organizzazione camorristica omonima, dando conto della condotta tenuta durante la detenzione (nel corso della quale si è servito della moglie per dare ordini e disposizioni all’esterno) e delle ulteriori circostanze, costituite dall persistente vitalità del clan di appartenenza (ora gestito dal nipote), nonché dalla sopravvenuta creazione di una nuova organizzazione operativa a Roma e nel Lazio dedita al traffico di stupefacenti, e anche dal recente omicidio di NOME COGNOME commesso nell’anno 2020 e, infine, alla condotta intramuraria tenuta- ha reso una motivazione tutt’altro che apparente ma, anzi, articolata e puntuale quanto alla sussistenza dei presupposti previsti per la proroga del regime di cui all’art. 41 bis ord. pen.
Ragione queste per la quale le censure, prima ancora che essere manifestamente infondate, non sono consentite.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende.
Così deciso il 19/3/2024