Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1705 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1705 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/09/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LOCRI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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Visti gli atti e l’ordinanza impugnata;
letti i motivi del ricorso;
rilevato che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dall’art. 41-bis, comma 2-sexies, legge 26 luglio 1975, n. 354, a norma del quale il Procuratore generale presso la Corte di appello, l’internato o il difensore possono proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze del Tribunale di sorveglianza di Roma per violazione di legge;
che la limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge comporta che il controllo demandato al giudizio di legittimità riguardi l’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale e l’assenza di motivazione, che priva il provvedimento impugnato dei requisiti prescritti dall’art. 41-bis, comma 2-sexies, legge 26 luglio 1975, n. 354, a tenore del quale il Tribunale di sorveglianza, sul reclamo del detenuto, decide «in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 c.p.p., sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2 »;
che, in questo contesto, il vizio deducibile in termini di mancanza di motivazione dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, conformemente a quanto da tempo affermato dalle Sezioni unite in tema di ricorsi per cassazione ammessi per le sole violazioni di legge (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224611), comprende, oltre all’ipotesi, sostanzialmente scolastica, di un provvedimento totalmente privo di giustificazioni, ma dotato del solo dispositivo, tutti i casi in cui la motivazione sia priva dei requisiti minimi coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito;
che a tali patologie motivazionali devono essere equiparate le ipotesi in cui le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che giustificano la decisione relativa al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 (Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2004, Trigila, Rv. 260805; Sez. 1, n. 5338 del 14/11/2003, COGNOME, Rv. 226628);
che deve, invece, escludersi che la violazione di legge possa ricomprendere i vizi di illogicità e di contraddittorietà della motivazione dei provvedimenti relativ al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, che non possono trovare ingresso in questa sede, presupponendo tali censure l’esistenza di un provvedimento dotato di una struttura argomentativa incompatibile con la patologia processuale in esame (Sez. 1, n. 16019 del
27/01/2016, Bonura, Rv. 266620; Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, Santapaola, Rv. 230303);
che tali parametri sono stati ribaditi da questa Corte, che, con specifico riferimento alla proroga del regime detentivo speciale in esame, ha affermato il seguente principio di diritto: «Anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41-bis Ord. Pen. dalla legge n. 94 del 2009, il controllo di legalità del Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato consiste nella verifica, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza» (Sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016, COGNOME, Rv. 267248; in senso sostanzialmente conforme, cfr. anche Sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, COGNOME, Rv. 256495);
che nello stesso solco si inseriscono le più recenti pronunzie che hanno chiarito che «Ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della norma citata, si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di proroga fondato, tra l’altro, sulla posizione di rilievo assunta dal ricorrente in un “clan” camorristico ancora attivo e operativo nell’ambito territoriale di riferimento e sui suoi legami familiari con l’esponente di vertice)» (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912);
che, in coerenza con tale indirizzo, è stato affermato che «Ai fini della proroga del regime di detenzione differenziata, ai sensi dell’art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, non è necessario l’accertamento della permanenza dell’attività della cosca di appartenenza e la mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa, essendo sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario» (Sez. 1, n. 24134 del 10/05/2019, Belforte, Rv. 276483);
che comunemente ricevuto è, ancora, l’orientamento secondo cui «L’accoglimento del ricorso avverso il provvedimento di proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 implica
l’individuazione di elementi specifici e concreti indicativi della sopravvenuta carenza di pericolosità sociale, che non possono identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, né essere rappresentati da un apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività di trattamento penitenziario» (Sez. 1, n. 32337 de 03/07/2019, Graviano, Rv. 276720);
che, vagliata in questa cornice, la valutazione della posizione di NOME COGNOME che il Tribunale di sorveglianza di Roma ha compiuto alla luce delle note informative trasmesse dagli organi a ciò deputati ed in vista dell’apprezzamento della sussistenza dei presupposti per la proroga della sua sottoposizione al regime detentivo speciale appare ineccepibile;
che il Tribunale di sorveglianza si è, infatti, soffermato sulla attuale operatività della associazione mafiosa di appartenenza, il clan di ‘ndrangheta «RAGIONE_SOCIALE», attivo – come dimostrato da recenti operazioni di polizia (tra le quali quelle convenzionalmente denominate «Mandamento Jonico», «RAGIONE_SOCIALE», «RAGIONE_SOCIALE» e, da ultimo, «RAGIONE_SOCIALE») e dai provvedimenti cautelari emessi dall’autorità giudiziaria – sul territorio della Locride, nonché sul rilevante ruolo assunto in passato, da NOME COGNOME, condannato all’ergastolo quale autore dell’omicidio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
che il Tribunale di sorveglianza ha, inoltre, sottolineato che NOME COGNOME non ha mai dato segni di dissociazione o allontanamento dalla cosca né risulta avere avviato un percorso di revisione critica del proprio vissuto delinquenziale ed è stato, piuttosto, autore di diversi reati e di illeciti disciplin in costanza di detenzione;
che, pertanto, le restrizioni imposte appaiono tuttora funzionali a prevenire ogni forma di comunicazione con il sodalizio, mediante la considerevole riduzione dei consueti canali di collegamento, rappresentati dai contatti con l’esterno e con i compagni di detenzione;
che, a fronte di un provvedimento, quale quello impugnato, conforme alle risultanze processuali e rispettoso dei parametri, sopra richiamati, affermati dalla giurisprudenza di legittimità, il ricorrente svolge considerazioni critiche che non valgono ad evidenziare profili di violazione di legge, neanche sub specie di carenza o apparenza della motivazione;
che il ricorrente indugia, in specie, sulla diversa valutazione delle informazioni acquisite in ordine all’attuale esistenza e composizione della compagine della quale egli è stato esponente e dissente, soprattutto, dalle conclusioni raggiunte dal Tribunale di sorveglianza circa il pericolo che egli, se restituito al regime detentivo ordinario, riannodi i contatti con essa, in tal ponendosi in una prospettiva ispirata alla mera confutazione di un ragionamento,
quale quello sotteso alla decisione impugnata, che non pare potere essere qualificato in termini di violazione di legge;
che, nel quadro così delineato, non può accogliersi la tesi di un’omessa pronuncia sui punti qualificanti indicati o di una motivazione che renda impossibile la comprensione del percorso logico seguito dal giudice ed oscure le ragioni giustificative della decisione;
che il ricorrente, invero, nel sottolineare che egli, ininterrottamente detenuto da molti anni, non risulta in alcun modo coinvolto nelle più recenti vicende criminose che hanno lambito il gruppo del quale ha fatto parte ed il territorio su cui lo stesso ha esercitato il predominio mafioso, non si emancipa da una prospettiva ispirata ad una lettura delle evidenze istruttorie opposta rispetto a quella privilegiata dal Tribunale di sorveglianza, che non vale, però, ad attestare la mera apparenza, e tantomeno la radicale carenza, della motivazione sottesa al provvedimento impugnato;
che, di conseguenza, le censure proposte non sono ammesse al vaglio di questa sede di legittimità, poiché il ricorso tende a provocare una nuova – non consentita in detta materia – valutazione di merito dei presupposti per la proroga del regime detentivo speciale, ovverosia degli elementi emergenti dal decreto ministeriale, già compiutamente vagliati dal Tribunale di Sorveglianza di Roma;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/09/2023.