Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47253 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47253 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COSENZA il 28/07/1957
avverso l’ordinanza del 27/06/2024 del TRIBUNALE DI RAGIONE_SOCIALE DI ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto pronunciarsi la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione;
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 27 giugno 2024, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto, ai sensi dell’art. 41-bis della legge 26 luglio 1975 e succ. modd. (Ord. pen.), da NOME COGNOME detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo con anni due di isolamento diurno, in quanto condannato per omicidio, partecipazione ad associazione di stampo mafioso e altri reati – avverso il decreto del Ministro della Giustizia in data 9 ottobre 2023 di applicazione del provvedimento di sospensione di alcune regole di trattamento, afferente alla proroga del corrispondente regime differenziato per la durata di anni due, rispetto al precedente periodo biennale disposto da decreto ministeriale del 12.10.2021.
Il Tribunale – ricordato che COGNOME è risultato essere un elemento di spicco dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, da lui capeggiata, avente il suo baricentro nella zona cosentina del territorio calabrese, connotazione soggettiva che il decreto ministeriale aveva tenuto in conto, unitamente alle pregresse vicende giudiziarie, ai titoli in esecuzione, al processo per ulteriore omicidio, ancora pendente, e al contenuto dei pareri forniti dagli organi investigativi e giudiziari competenti, per concludere nel senso della necessità dell’applicazione del succitato regime penitenziario differenziato – ha preso atto che, con il reclamo, la difesa del detenuto aveva dedotto che le indicazioni fornite dal decreto impugnato erano datate, essendo state riprese dai precedenti decreti ministeriali, senza essere confrontate con la situazione attuale, profondamente mutata, come aveva reso chiaro lo sviluppo dell’ultimo maxiprocesso Reset, nel quale fra gli imputati non comparivano né NOME, né i suoi familiari, né altre persone ricollegabili a quello che era stato il suindicato gruppo criminale, che attualmente il detenuto non aveva alcun legame con la criminalità organizzata, come da intercettazione citata a conferma, che erano emerse le risorse lecite con cui i suoi familiari e, in particolare, la moglie avevano avviato un’attività commerciale, essendo, al riguardo, da considerare anche gli sviluppi positivi inerenti alla posizione di NOME COGNOME a cui era stata revocata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, era stata accordata la riabilitazione e non era stata applicata la libertà vigilata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Preso atto di tali fattori e svolta l’analisi inerente agli altri dati acquisit Tribunale di sorveglianza è pervenuto alla conclusione della persistenza degli elementi sintomatici dell’attuale capacità di COGNOME di mantenere i collegamenti con l’associazione criminale di riferimento e la sussistenza di concreti riscontri della perdurante dei gravi motivi di ordine e sicurezza legittimanti la proroga del regime differenziato disposta dal suindicato decreto ministeriale.
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso i difensori di Cicero chiedendone l’annullamento ed esponendo unico, articolato motivo con cui si lamenta l’erronea applicazione degli artt. 41-bis Ord. pen., 3 e 27 Cost.
Il Tribunale, secondo la difesa, ha espresso il convincimento dell’attuale persistenza degli indici di pericolosità del detenuto tali da legittimare il rinnovo del regime differenziato a causa della mancata disamina degli elementi concreti, oggettivamente documentati, dimostrativi dell’insussistenza di tale presupposto.
In particolare, si evidenzia che questi elementi, contrariamente alle affermazioni contenute nel provvedimento, erano stati illustrati nella memoria depositata il 5 aprile 2024, con specifico riferimento ai dati contrastanti le argomentazioni contenute nel decreto reclamato in ordine: al profilo criminale e alla posizione rivestita da NOME in seno all’organizzazione; alla perdurante operatività del gruppo criminale; all’addotta sopravvenienza di nuove incriminazioni non considerate in precedenza, al tenore di vita dei familiari; agli esiti del trattamento inframurario.
A fronte delle dettagliate controdeduzioni offerte dalla difesa su ciascuno degli indicati temi, la risposta data dal Tribunale di sorveglianza viene considerata apparente, giacché l’ordinanza impugnata è priva di un autonomo percorso argomentativo, finalizzato a sondare l’effettiva posizione di Cicero rispetto alle dinamiche criminali del territorio di appartenenza.
La conclusione contestata si sarebbe basata, quindi, esclusivamente sul pregiudizio inerente al persistente ruolo del detenuto e priva di agganci con l’accertata inoperatività del clan di appartenenza e con il percorso resipiscente, non soltanto del figlio NOME, che era stato riabilitato, ma dello stesso NOME COGNOME il quale aveva chiarito per iscritto il suo totale distacco dalla vita precedente.
L’aver trascurato il complesso di elementi addotti dalla difesa ha avuto, per il ricorrente, l’effetto travisante dell’obliterazione delle corrispondenti prove, fra cui va inserita anche quella relativa al processo Reset, gli imputati coinvolti nel quale vengono indicati come personaggi che nemmeno astrattamente possono essere riferiti all’associazione di appartenenza di NOME COGNOME.
Si stigmatizza, nel medesimo senso, l’illogicità del passaggio motivazionale che ha tratto la persistente capacità del detenuto di mantenere collegamenti con l’organizzazione di riferimento dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME il quale mai aveva affermato nulla di positivo sull’argomento, ma semplicemente non aveva parlato di COGNOME, sicché nessuna conclusione dal relativo silenzio avrebbe potuto desumersi.
Il Procuratore generale ha prospettato, con requisitoria articolata, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, osservando, fra l’altro, che il provvedimento impugnato ha illustrato compiutamente gli elementi da cui si desume che NOME è ancora in grado di mantenere contatti con esponenti in libertà dell’associazione e ha evidenziato l’irrilevanza, ai fini del venir meno della pericolosità sociale giustificativa dell’applicazione del regime differenziato, del tempo trascorso in detenzione, in assenza di segni di dissociazione dall’organizzazione di riferimento o di sopravvenienze comprovanti il mutamento dello status all’interno del clan, sicché in modo coerente si sono ritenute sussistenti le condizioni legittimanti la proroga del regime carcerario in esame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione non si rivela fondata ed è, pertanto, da rigettare.
Appare opportuno, a integrazione dei riferimenti esposti in parte narrativa, puntualizzare che il Tribunale di sorveglianza a fondamento dell’indicata GLYPH conclusione, GLYPH dopo GLYPH aver GLYPH evidenziato GLYPH che GLYPH la GLYPH relazione comportamentale proveniente dall’istituto di assegnazione ha segnalato che Cicero è incorso in vari rilievi disciplinari, ultimo dei quali il 27.01.2023, mentre i successivo comportamento era risultato regolare e collaborativo con i responsabili dell’area trattamentale, ha sottolineato che le deduzioni alla base del reclamo per buona parte afferivano a temi sollevati con il pregresso reclamo e quindi già esaminati – con esito negativo per il reclamante – nel procedete provvedimento reiettivo del 5 maggio 2022.
I giudici di sorveglianza hanno aggiunto che, per il resto, non erano stati prospettati elementi effettivi idonei a dimostrare, in concreto, la sopravvenuta carenza o attenuazione della pericolosità sociale del detenuto, laddove le evidenze istruttorie acquisite vengono ritenuta confermative delle rilevazioni compiute nel decreto ministeriale in merito alla radicata e storica affiliazione di COGNOME all’associazione di tipo mafioso succitata, nella quale egli, da libero, aveva rivestito il ruolo di capo storico, ruolo poi non dismesso nemmeno per effetto della carcerazione.
Il Tribunale ha del pari valorizzato il rilievo che è risultato mantenuto nel tempo da parte del condannato un saldo e perdurante legame con il sodalizio, pure durante la restrizione carceraria, nel corso della quale il detenuto aveva anche veicolato direttive per il tramite del figlio NOME, fatto giudiziariamente accertato.
Inoltre, è risultato riscontrato il dato dell’attuale operatività e vital
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dell’organizzazione criminale di riferimento, con potenzialità organizzative e capacità rigenerative mai venute meno.
I giudici specializzati evidenziando che neanche risultano emersi segnali di mutamento del ruolo di prestigio goduto dal reclamante all’interno del sodalizio criminale, così come non sono affiorati segnali di rivisitazione critica da parte di NOME in ordine alla sua impostazione di vita, del resto avendo egli subito rapporti disciplinari fino al 2023.
La complessiva analisi compiuta ha determinato il Tribunale di sorveglianza a considerare determinanti i seguenti elementi, significativi e convergenti nel senso di ritenere COGNOME ancora concretamente in grado di mantenere i contatti con gli esponenti dell’associazione di appartenenza: il ruolo rivestito nell’organizzazione mafiosa da COGNOME nel passato e all’attualità (egli è stato condannato più volte per associazione mafiosa ed è stato riconosciuto quale capo storico della sua consorteria, non ha mai dismesso tale status nemmeno per effetto della sua carcerazione, seguitando a conservare i contatti con il clan e impartendo disposizioni inerenti alle dinamiche interne e alla gestione delle corrispondenti attività criminose, relazionandosi con esso attraverso suo figlio NOME); la perdurante attività del gruppo criminale di appartenenza (essendosi accertate l’intatta potenzialità organizzativa e capacità rigenerativa di quella consorteria, pur con assestamenti, alleanze e modifiche soggettive della compagine, per modo che essa è stata ritenuta tuttora in grado di manifestare la sua forza intimidatrice ed esercitare il controllo del territorio per continuare a conseguire il predominio nello svolgimento delle attività illecite oggetto della cosca); l’assenza di elementi sintomatici di una sua dissociazione dalla suddetta organizzazione.
Dal complesso di questi dati si è tratta la conclusione dell’assenza di fattori rilevanti tali da consentire dimostrati la cessazione o quantomeno l’affievolimento dell’elevata e qualificata pericolosità sociale del sottoposto, considerato anche che, oltre a non essere affiorati segnali di un mutamento devitalizzante del ruolo svolto da NOME nel sodalizio criminale, l’osservazione penitenziaria non ha segnalato alcuna sua condotta concretamente dimostrativa di una sua autentica resipiscenza, essendosi egli limitato, anche nelle interlocuzioni scritte con il Tribunale di sorveglianza a rendere dichiarazioni reputate vaghe e inconsistenti dai giudici specializzati, mentre la condotta inframuraria ha fatto affiorare la sua refrattarietà a confrontarsi con i gravissimi reati commessi, non ha visto emergere segnali concreti di una sua rivisitazione critica del suo profilo comportamentale mafioso e ha registrato, anzi, sue infrazioni disciplinari fino al gennaio 2023.
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I rilievi e gli argomenti esposti nel provvedimento impugnato sono articolati in guisa tale da offrire una motivazione adeguata e, in ogni caso, effettiva a sostegno della decisione.
Deve, pertanto, ritenersi che, spiegando in modo non apparente tali ragioni, il Tribunale dì sorveglianza abbia considerato persistente, in relazione ai criteri indicati dall’art. 41-bis Ord. pen., come novellato dall’art. 2 legge 15 luglio 2009, n. 94, il pericolo che il detenuto eserciti il suo ruolo mantenendo i contatti con la criminalità organizzata in ragione del suo profilo delinquenziale, della posizione rivestita nel sodalizio e della persistente vitalità dell’organizzazione, con la conseguente emersione della necessità – posta a base del decreto – di prorogare per un biennio il regime detentivo differenziato.
3.1. Si considera, in relazione al decreto di proroga, che, una volta cristallizzata l’efficacia del precedente decreto applicativo, sia sufficiente a reggere la legittimità di quello successivo la constatazione, alla luce della verifica dei parametri cognitivi indicati dal comma 2-bis della norma, del mancato venir meno dei presupposti su cui si era fondato il primo.
Ai fini della proroga del regime detentivo differenziato dì cui all’art. 41-bis cit., è, dunque, necessario (anche a seguito della modifica apportata dalla legge n. 94 del 2009) accertare che la capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione criminale non sia venuta meno: e tale accertamento va condotto anche alla stregua di una serie predeterminata di parametri, quali il suo profilo criminale, la posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, la perdurante operatività del sodalizio e l’eventuale sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, elementi tutti che vanno ponderati attraverso l’indicazione di indici fattuali sintomatici dell’attualità del pericolo collegamenti con l’ambiente criminale esterno.
Siffatta evenienza, senza alcuna inversione del relativo onere, non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile, e non risulti, per contro, devitalizzata dalla presenza di indici dimostrativi del sopravvenuto venir meno del suindicato pericolo, di guisa che resti confermata la sussistenza del nesso funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza (fra le altre, Sez. 1 n. 18791 del 06/02/2015, Caporrimo; Rv. 263508 01; Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, COGNOME, Rv. 253713 – 01).
In merito al riscontro della persistenza di tali indici con riferimento alla situazione di NOME COGNOME il Tribunale ha, come si evince richiamo sopra indicato, fornito una giustificazione adeguata e non meramente apparente.
In questa precisa prospettiva può ritenersi acquisita la tenuta costituzionale
dell’assetto richiamato (ribadita da Corte cost. n. 190 del 2010; cfr., nella stessa prospettiva, Sez. 1, n. 44149 del 19/04/2016, COGNOME, Rv. 268294 – 01, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis Ord. pen., in relazione agli artt. 117 Cost. e 3 CEDU, nonché da Sez. 1, n. 29143 del 22/06/2020, Libri, Rv. 279792 – 01, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41bis cit., in relazione agli artt. 2, 3, 13, 24, 111 e 117 Cost. nella parte in cui esso assegna al Ministro della giustizia e non all’Autorità giudiziaria, la competenza a disporre l’applicazione o la proroga del suddetto regime detentivo; anche per altro e diverso aspetto, quello inerente alla parte in cui assegna al direttore dell’istituto penitenziario e non all’autorità giudiziaria, la competenza ad autorizzare i colloqui telefonici con i familiari e i conviventi del detenuto, i disposto normativo in esame non ha evidenziato fondati sospetti di contrarietà alla Carta fondamentale e alla CEDU secondo l’articolata valutazione fattane da Sez. 5, n. 6409 del 13/11/2023, dep. 2024, Gallico, Rv. 285979 – 01).
Nella direzione indicata, deve essere nuovamente evidenziato che non è necessario – per legittimare la proroga – l’accertamento della permanenza dell’attività della cosca di appartenenza e della mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa, ma è sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario, di guisa che a tal fine la stessa sussistenza di collegamenti con il sodalizio criminale richiesta dalla norma non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile, sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti (Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279221 – 01; Sez. 1, n. 24134 del 10/05/2019, COGNOME, Rv. 276483 – 01).
Sotto altro aspetto, la struttura della previsione normativa della proroga di tale regime impone di non assegnare al decorso del tempo il ruolo di elemento risolutivo, fermo restando che non si esige il pieno accertamento della perdurante condizione di affiliato al gruppo criminoso, bensì la verifica della sussistenza di elementi idonei a corroborare ragionevolmente la persistenza del concreto pericolo dei contatti con la realtà criminale di provenienza.
In definitiva, è da ritenere che, per la proroga del regime detentivo di cui all’art. 41-bis cit., l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati (in termini non esaustivi) dal comma 2-bis della norma citata, costituisce l’esito del ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi – non necessariamente sopravvenuti – rivelatori della permanenza delle
condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912 – 01). In via speculare, deve, dunque, ribadirsi che onde pervenire all’accoglimento del ricorso avverso il provvedimento di proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis cit. deve addivenirsi all’individuazione di elementi specifici e concreti indicativi della sopravvenuta carenza di pericolosità sociale, i quali, però, non possono identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, né possono essere rappresentati dall’apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività riferita al trattamento penitenziario (Sez. 1, n. 32337 del 03/07/2019, COGNOME, Rv. 276720 – 01; né l’insegnamento che il ricorrente propone di valorizzare, ossia Sez. 1, n. 32952 del 14/07/2022, NOMECOGNOME non mass., somministra, per vero, nozioni e prospettive esegetiche confliggenti con le coordinate ermeneutiche ora enunciate).
3.2. Nel caso di specie, l’accertamento dell’intatta evenienza del concreto pericolo rappresentato da NOME COGNOME ha formato oggetto di una conclusione lineare, esitata da un percorso argomentativo esposto dai giudici di sorveglianza in modo chiaro, oltre che adeguatamente fondato su tutte le informative e sugli ulteriori dati acquisiti e citati dal provvedimento di proroga, senza che alcuno dei criteri normativi risulti essere stato violato, pur all’esito dell’analisi delle svariate deduzioni articolate dalla difesa del ricorrente.
Il ricorrente, nella parte centrale dell’impugnazione, più che dimostrare la carenza di motivazione su uno o più punti decisivi dell’iter logico seguito nel provvedimento del Tribunale, si è limitato a enunciare tale vizio riportando in nota il contenuto della pregressa memoria così riproponendone il contenuto, ma senza farne derivare una determinante analisi critica a sostegno del denunciato vuoto motivazionale.
Per il resto, gli elementi evidenziati in modo più percepibile nell’ultima parte del ricorso si profilano per lo più orientati a prospettare un inquadramento assoggetto a rivalutazione una rivalutazione del materiale su cui ha ragionato il TDS che all’enucleazione della carenza motivazione necessaria per disarticolare il provvedimento.
Con specifico riferimento alla prospettabile emenda connotante la condotta di alcuni componenti della famiglia del ricorrente, essa risulta segnalata dal Tribunale di sorveglianza (alla pag. 5 dell’ordinanza) con particolare riferimento alla posizione di NOME COGNOME figlio di NOME COGNOME per il quale si è preso atto dell’avvenuta revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, dell’applicazione della libertà vigilata nei suoi confronti e, infine, della sua riabilitazione. La valutazione di tale fatto come elemento non determinante per
la posizione del ricorrente non appare, tuttavia, suscettibile di una critica destrutturante il filo logico della motivazione in un suo snodo qualificante: la strada positiva che pare imboccata dal suddetto congiunto non comporta la necessità logica che, per ciò solo, il padre abbia seguito o stia seguendo il medesimo percorso, in esso inclusa una scelta dissociativa che possa dirsi assodata.
In quest’ultimo senso, la valorizzazione da parte della difesa dell’appunto manoscritto richiamato nell’atto di impugnazione non si profila, quindi, sufficiente a sovvertire la diversa valutazione compiuta dal Tribunale di sorveglianza, sull’argomentata scorta delle vicende, in primo luogo, processuali finora adeguatamente censite.
Quanto ai riferimenti all’attualità e alla concretezza della possibilità che NOME COGNOME istituisca, se detenuto in regime ordinario, ulteriori collegamenti con l’ambiente criminale di riferimento, evenienza immanente e non adeguatamente arginabile con il regime carcerario ordinario, i giudici di sorveglianza hanno convenientemente spiegato su quali precisi dati di fatto si è fondata, già nel decreto ministeriale di proroga e poi nel provvedimento impugnato, la ragionevole probabilità di tale pernicioso epilogo, sicché risulta asseverata la sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del detenuto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni prorogate con il decreto ministeriale in questione e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza.
3.3. Nell’illustrato quadro, deve sempre tenersi in conto che, ex art. 41-bis, comma 2-sexies, Ord. pen., il vizio di motivazione non è deducibile per l’impugnazione del provvedimento in esame: e le considerazioni svolte escludono senz’altro che il tessuto argomentativo esposto dal Tribunale di sorveglianza possa considerarsi vulnerato da mera apparenza, così da far degradare l’ordinanza fra quelle sostanzialmente prive di motivazione e, come tali, censurabili per violazione di legge.
È, del resto, assodato che, ove l’unico vizio deducibile sia, come è nel caso in esame, la violazione di legge, incorre in tale vizio soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, la quale si verifica anche quando il provvedimento omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo, nel senso che esso, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio, restando pur sempre esclusa da tale vaglio l’illogicità (pur se manifesta), deducibile invece, quando ammessa, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. (v. in generale, sul limite posto dall’impugnabilità per sola violazione di legge Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014,
Repaci, Rv. 260246 – 01; fra le successive Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119 – 01).
Assodato ciò, deve prendersi atto che, in ordine ai principali snodi che il ricorrente assume essere stati scrutinati senza un’effettiva motivazione, emerge l’articolazione da parte del Tribunale di puntuali risposte al reclamo.
Il provvedimento impugnato, quindi, è risultato dotato di una motivazione effettiva e rispettosa dei parametri stabiliti dal comma 2 bis dell’art. 41-bis Ord. pen., inerenti alla verifica della persistenza della pericolosità specifica del detenuto, tale da far emergere – al di là dell’attuale condotta inframuraria – la solida acquisizione della perdurante capacità di NOME COGNOME di mantenere i collegamenti con la consorteria di riferimento, anche in relazione al suo notevole profilo criminale e alla posizione rivestita nel sodalizio.
Ciò conduce a considerare attualmente preclusa al ricorrente la possibilità del reingresso nel contesto carcerario ordinario.
Discende da tali rilievi il rigetto dell’impugnazione, a cui consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29 ottobre 2024
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