Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24365 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24365 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CASTELL’UMBERTO il 22/08/1972
avverso l’ordinanza del 24/10/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Considerato che il ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione dell’art. 41-bis Ord. Pen., dell’art. 125 cod. proc. pen. in cui sarebbe incorso il Tribunale di sorveglianza di Roma, nel rigettare il suo reclamo avverso il decreto del Ministro della Giustizia in data 29 novembre 2023, con il quale è stato prorogata la sottoposizione di NOME COGNOME allo speciale regime di cui al citato art. 41-bis;
Rilevato che l’art. 41-bis, comma 2-bis, Ord. Pen., sostituito dall’art. 2, legge 23 dicembre 2002, n. 279, prevede che i provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato possano essere prorogati “nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari a due anni”, purché non risulti che il detenuto o l’internato abbia perso la capacità di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive. L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione, delineato dal comma 2-sexies della disposizione in esame, si limita alla verifica della violazione di legge, sulla base del ricorso presentato dal Procuratore generale presso la Corte di appello, l’internato o il difensore avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, tale limitazione ai motivi di ricorso implica che il controllo affidato al giudice legittimità si estenda non solo all’inosservanza di specifiche disposizioni di legge sostanziale e processuale, ma anche alla mancanza di motivazione. Quest’ultima, infatti, costituisce una violazione autonoma sia del disposto generale dell’art. 125 cod. proc. pen., sia della prescrizione dell’art. 41-bis Ord. pen., comma 2-sexies, secondo la quale il Tribunale di Sorveglianza “decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 cod. proc. pen., sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ritenuto che, sulla base di tali premesse, l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che si pronunci sul reclamo avverso il decreto applicativo del regime detentivo differenziato, oppure quello di proroga, è censurabile col ricorso per cassazione nei casi in cui la motivazione risulti del tutto assente, limitandosi al mero dispositivo, o nei casi in cui l’apparato giustificativo del provvedimento sia privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, risultando meramente apparente o assolutamente inidoneo a rendere comprensibile la “ratio decidendi”. Tale inidoneità si configura qualora le argomentazioni esplicative siano
talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da compromettere l’intelligibilità della decisione, ovvero quando le questioni sollevate con il reclamo non siano adeguatamente affrontate o siano sostanzialmente eluse, pur in presenza di una motivazione formale che non assolve, tuttavia, la funzione ad essa affidata (Sez. Un. 28/5/2003, COGNOME, Rv.224611; Sez. 1, 9/11/2004, COGNOME, Rv. 230203);
Considerato, per contro, che la violazione di legge non può essere estesa ai vizi di insufficienza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, i quali non possono, dunque, trovare ingresso nel giudizio di legittimità in merito all’applicazione o alla proroga del regime detentivo differenziato.
Rilevato che il provvedimento impugnato ha ancorato il giudizio sulla persistenza di detto pericolo alla varia ed allarmante carriera criminale del ricorrente, al suo ruolo apicale nell’ambito dell’associazione mafiosa di riferimento, alla perdurante attività del gruppo criminale dei COGNOME–COGNOME, di cui il ‘gruppo COGNOME‘ (nel quale l’odierno ricorrente riveste ancora posizione di rilievo) costituisce il braccio armato, alla sua latitanza durata cinque anni ed al fatto che, al momento del suo arresto avvenuto in un casolare delle campagne di Lentini (Siracusa), egli è stato trovato in possesso di un vero e proprio arsenale;
Considerato, pertanto, che i giudici di merito hanno ritenuto che l’assenza di elementi indicativi di dissociazione, unitamente all’attuale operatività del clan ed al ruolo apicale rivestito dal reclamante, portano a concludere nel senso che, in assenza delle attuali restrizioni detentive, lo stesso potrebbe riattivare i propri legami criminosi, reintroducendosi nel contesto per riprendere il controllo del circuito delinquenziale. Il Tribunale di sorveglianza ha logicamente valorizzato una consolidata massima di esperienza, secondo la quale, anche durante la detenzione, i capimafia conservano inalterati i poteri di intervento e deliberativi e, servendosi di familiari ed altri soggetti ammessi ai colloqui, riescono a trasmettere all’esterno del carcere direttive ed istruzioni operative;
Ritenuto, dunque, che deve escludersi la lamentata violazione dei compiti valutativi imposti al Tribunale di sorveglianza e dei criteri dettati dalla disposizione di legge di riferimento, oltre che per l’insussistenza del denunciato vizio di violazione di legge nella specie della mera apparenza motivazione dell’ordinanza impugnata;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte cost., sent. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2025.