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Regime 41-bis: quando la dissociazione non basta

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto contro l’applicazione del regime 41-bis. La Corte ha stabilito che la sola dissociazione dal clan di appartenenza non è sufficiente a dimostrare il venir meno della pericolosità sociale, specialmente se altri elementi, come le informative delle forze dell’ordine e la natura strategica della dissociazione stessa, indicano la persistenza di legami con l’organizzazione criminale. La motivazione del Tribunale di Sorveglianza è stata ritenuta adeguata e non meramente apparente.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Regime 41-bis: La Dissociazione dal Clan Non Basta a Escludere la Pericolosità

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di criminalità organizzata e applicazione del regime 41-bis. Con la sentenza n. 18082 del 2025, la Suprema Corte ha chiarito che la sola dichiarazione di dissociazione di un detenuto dal proprio clan di appartenenza non è sufficiente, di per sé, a far decadere il regime di carcere duro se persistono elementi concreti che indicano un pericolo attuale di collegamenti con l’associazione criminale.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal reclamo presentato da un detenuto contro un decreto ministeriale che ne disponeva la sottoposizione al regime speciale previsto dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rigettato il reclamo, confermando la misura restrittiva. La decisione si basava principalmente sulle note informative della D.I.A., della D.D.A. e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, che attestavano la perdurante operatività del clan di appartenenza e il ruolo significativo ricoperto dal detenuto al suo interno.

L’applicazione del regime 41-bis e i motivi del ricorso

La difesa del detenuto ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale di Sorveglianza avesse errato nel non dare il giusto peso a due elementi cruciali: la formale dissociazione del proprio assistito dal gruppo criminale e le dichiarazioni da lui rese contro altri soggetti coinvolti in un omicidio. Secondo il ricorrente, questi fatti dimostravano un percorso di allontanamento dalla criminalità organizzata e, di conseguenza, l’assenza di un pericolo attuale di contatti con l’esterno. La difesa ha quindi lamentato una violazione di legge, in particolare una “motivazione apparente” del provvedimento, poiché non avrebbe adeguatamente ponderato questi elementi a favore del detenuto.

La decisione della Corte sul regime 41-bis

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo. I giudici supremi hanno innanzitutto ricordato che il ricorso contro i provvedimenti in materia di regime 41-bis è ammesso solo per violazione di legge. Tale vizio include non solo gli errori di diritto, ma anche i difetti di motivazione talmente gravi da renderla inesistente, illogica o contraddittoria, impedendo di comprendere il percorso logico seguito dal giudice.

Le motivazioni

Nel merito, la Corte ha stabilito che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza non era affatto apparente, ma adeguata e coerente. Il Tribunale aveva correttamente bilanciato tutti gli elementi a disposizione. In particolare, la presunta dissociazione era stata interpretata non come un reale allontanamento, ma come una mossa strategica finalizzata a screditare un collaboratore di giustizia e, in ultima analisi, a rafforzare il gruppo di appartenenza. Inoltre, la Corte ha sottolineato che il ruolo apicale del detenuto all’interno del clan e la continua operatività di quest’ultimo costituivano elementi solidi per giustificare la persistenza della pericolosità. Il giudizio del Tribunale, basato su parametri specifici indicati dal legislatore e su una valutazione completa delle informative e dell’osservazione penitenziaria, è stato ritenuto corretto e non sindacabile in sede di legittimità.

Conclusioni

Questa sentenza conferma un orientamento consolidato: per ottenere la revoca del regime 41-bis, non è sufficiente un atto formale come la dissociazione. È necessario che emerga un quadro complessivo dal quale si possa desumere con certezza il venir meno di ogni legame con l’organizzazione criminale e, di conseguenza, della pericolosità sociale del detenuto. La valutazione del giudice deve essere approfondita e basata su elementi concreti, andando oltre le mere dichiarazioni di intenti del singolo.

Una semplice dichiarazione di dissociazione è sufficiente per revocare il regime 41-bis?
No, secondo la sentenza, la sola dissociazione non è sufficiente. Il giudice deve valutare se, nonostante tale dichiarazione, persistano elementi concreti che indichino un pericolo attuale di collegamenti con l’organizzazione criminale. Nel caso di specie, la dissociazione è stata interpretata come una mossa strategica.

Quali sono i limiti del ricorso in Cassazione contro un provvedimento che applica il regime 41-bis?
Il ricorso è ammesso solo per violazione di legge. Questo include sia errori nell’applicazione delle norme, sia vizi di motivazione così radicali da renderla mancante, illogica o contraddittoria, ma non consente un riesame nel merito dei fatti già valutati dal giudice precedente.

Quali elementi valuta il giudice per decidere sulla persistenza della pericolosità di un detenuto in regime 41-bis?
Il giudice valuta una serie di elementi, tra cui: la perdurante operatività del clan di appartenenza, il ruolo ricoperto dal detenuto al suo interno, le informative degli organi investigativi (D.I.A., D.D.A., Carabinieri) e i risultati dell’osservazione penitenziaria. La valutazione deve essere complessiva e non basarsi su un singolo fattore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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