Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 431 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 431 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a VIBO VALENTIA il 23/03/1966
avverso l’ordinanza del 23/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del procuratore generale, in persona del sostituto procuratore NOME COGNOME che ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 23 marzo 2023 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il decreto del Ministro della Giustizia emesso il 04 aprile 2022, di sottoposizione al regime di cui all’art. 41 -bis Ord.pen. sul presupposto del suo inserimento ai massimi livelli di responsabilità nella cosca di indrangheta COGNOMECOGNOME, operativa nel territorio di Vibo Valentia.
Il Tribunale ha ritenuto infondate le affermazioni difensive, circa la non attuale operatività della cosca perché sgominata con un’operazione di polizia svolta nel 2020, il ristretto campo di azione di essa, l’esclusione da parte del Tribunale del riesame della responsabilità del reclamante per i reati-satellite contestati nel processo per il delitto di cui all’art. 416-bis cod.pen. ancora in corso, l’assenza di precedenti condanne per tale delitto, in quanto assolto in un diverso procedimento già concluso, e mai sottoposto, perciò alla misura di prevenzione che gli era stata applicata. Ha invece rilevato che il decreto ministeriale indica gli elementi sintomatici dell’esistenza di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblici, per l’aggressività della cosca in questione e il ruolo ricoperto in essa dal detenuto, arrestato nel 2020 dopo un anno di latitanza ed attualmente processato con l’accusa di essere capo promotore di un’autonoma ‘ndrina.
Il Tribunale ha ritenuto che le affermazioni difensive, dirette a mettere in dubbio l’attualità del pericolo che il reclamante mantenga contatti con l’associazione criminosa, non siano rilevanti per revocare il decreto ministeriale, dal momento che la sottoposizione al regime differenziato, essendo diretta ad evitare che il detenuto possa avviare contatti con il clan, non richiede la prova della effettività e attualità di tali contatti, ma solo l’attualità della capacit mantenerli o attivarli, dedotta dagli elementi indicati dalla norma stessa. L’esistenza di sodali ancora liberi e operativi, con i quali tali contatti potrebbero essere mantenuti o attivati, è dimostrata dalla sua latitanza, che è stata consentita dal sostegno ricevuto. Inoltre l’osservazione penitenziaria non ha evidenziato elementi sintomatici di dissociazione.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando due motivi, preceduti da un’ampia premessa riepilogativa dei motivi per cui il decreto ministeriale sarebbe infondato e le note della DDA di Catanzaro e della DNA, su cui esso si basa,
sarebbero inidonee a dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime differenziato.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., per essere la motivazione omessa o solo apparente.
L’ordinanza impugnata ha omesso di confrontarsi con i presupposti per l’applicazione del regime differenziato e con le doglianze difensive circa la fondatezza del decreto ministeriale. Quest’ultimo è totalmente generico, eyt non riporta alcun elemento che dimostri l’esistenza di sodali ancora liberi e la capacità del ricorrente di prendere contatto con essi. L’affermazione del Tribunale, che tale esistenza sarebbe provata dalla latitanza del ricorrente, è apodittica, dal momento che si ignoravquesta sia stata favorita da terzi, e di chi si tratterebbe. se
2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., per avere omesso di motivare la reiezione delle doglianze difensive. Il controllo del Tribunale di sorveglianza sul decreto ministeriale di proroga del regime differenziato è diretto a verificare la sussistenza dei presupposti normativi per l’applicazione di detto regime, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. Il Tribunale, invece, ha omesso di esaminare, o ha esaminato con motivazione apparente, in quanto apodittica e incongrua, i rilievi difensivi in merito al ruolo dirigenziale che la DDA di Catanzaro e la DNA hanno attribuito al ricorrente, quelli in merito alla sua possibilità di attivare contatti con soggetti all’esterno, diversi dai propri familiar i quali non sono stati sottoposti a misure cautelari, quelli sull’attuale operatività della cosca in cui egli occuperebbe tale ruolo dirigenziale, e infine in merito all’attualità della sua pericolosità sociale.
Di fatto, quindi, il Tribunale non ha verificato la sussistenza dei presupposti indicati nel decreto ministeriale per la proroga del regime differenziato, così emettendo un’ordinanza viziata per carenza motivazionale.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato in entrambi i motivi, e deve perciò essere rigettato.
L’ordinanza impugnata ha tenuto conto dell’ordinanza cautelare in virtù della quale il ricorrente è attualmente detenuto, ed ha ricavato da questa la
permanente attività della cosca di appartenenza, anche perché egli è accusato di essere il promotore di un’autonoma ‘ndrina collegata con la cosca Lo COGNOME, sicuramente ancora operante nel territorio di Vibo Valentia, ed il suo ruolo di capo, logicamente deducendo dalla sua capacità di rimanere latitante per circa un anno l’esistenza di appoggi, contatti e protezioni ampi e potenti, abitualmente posseduti dai soggetti ai vertici di un’associazione criminale.
E’ un principio ormai consolidato di questa Corte quello secondo cui «In tema di ordinamento penitenziario, anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41-bis ord. pen. dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, il controllo svolto da Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato, diversamente dal sindacato conducibile nel giudizio di legittimità, non è limitato ai profili di violazione della legge, ma si estende alla motivazione ed alla sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata’ della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza» (Sez. 1, n. 18434 del 23/04/2021, Rv. 281361). L’ordinanza impugnata ha applicato correttamente tale principio, in quanto ha effettuato un’autonoma valutazione circa la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge e dalla giurisprudenza per l’applicazione del regime differenziato previsto dall’art. 41-bis ord.pen., fornendo argomentazioni logiche e non contraddittorie. Peraltro deve ribadirsi che’ ai fini dell’applicazione del regime penitenziario differenziato, l’attualità del collegamento con l’organizzazione criminale non va confusa con l’attualità e la concretezza dei contatti malavitosi, poiché la finalità di tale regime, essendo di natura preventiva, è quella di impedire il realizzarsi o il mantenersi di tale collegamento nonostante lo stato di detenzione (vedi, tra le molte, Sez. 1, n. 40220 del 20/10/2005, Rv. 232466). La pericolosità del ricorrente, il ruolo elevato ricoperto nell’ambito del sodalizio criminoso ancora operante, i contatti precedenti dimostrati dal suo protratto stato di latitanza, e l’ipotizzata permanenza, in stato di libeità, di altri membri della cosca, dedotta dal fatto che, secondo le autorità di polizia, ci sono indagati ancora latitanti, sono stati correttamente ritenuti sufficienti per motivare l’applicazione del regime di cui all’art. 41-bis Ord.pen. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
COGNOME Il ricorrente oppone, a tale motivazione, solo delle considerazioni generiche, non fondate su accertamenti o su atti idonei a contrastare il contenuto del decreto ministeriale e le valutazioni del Tribunale di sorveglianza. In particolare non è idonea, a tal fine, la sentenza di assoluzione dal reato
associativo a lui ascritto nel procedimento penale denominato “RAGIONE_SOCIALE“, perché si tratta di una sentenza del 2010, nella quale il delitto di cui all’art. 416bis cod.pen. era contestato solo come commesso sino al 2007. Il provvedimento del Tribunale del riesame che annullò un’ordinanza cautelare a suo carico per un delitto non associativo, contestato come commesso nel 2017, è irrilevante, trattandosi di un reato a cui non è applicabile il regime differenziato e che non è sufficientemente dimostrativo dell’appartenenza o meno ad un’associazione criminosa. La sentenza di questa Corte n. 23380/2020, allegata al reclamo, è relativa al figlio del ricorrente, per il quale la sussistenza di sufficienti indiz appartenenza al clan di quest’ultimo è stata esclusa solo per motivi personali; in essa, anzi, l’esistenza della ‘ndrina che si ipotizza essere stata costituita dall’odierno ricorrente non viene esclusa, e si ripete, incidentalmente, che quest’ultimo ne è uno dei capi.
E’, al contrario, rilevante e significativo il fatto che il Tribunale del riesame pur annullando l’ordinanza cautelare emessa a carico del ricorrente in ordine a molti dei reati satellite a lui contestati, l’abbia confermata quanto al delitto di cu all’art. 416-bis cod.pen. e ad altri reati, in quanto impone di ritenere che per essi è stata affermata la sussistenza di elementi indiziari gravi, sufficienti per applicare la custodia in carcere; tali elementi sono stati, poi, ritenuti idonei anche per rinviare l’imputato al giudizio penale tuttora in corso.
Il ricorso, in realtà, mira a richiedere a questa Corte una diversa valutazione degli elementi che il Tribunale di sorveglianza ha posto a base della sua decisione, e che sono al momento oggetto di verifica e valutazione da parte del giudice della cognizione. Si deve, invece, ricordare che «In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativa mente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri» (Sez. U., n. 12 del 31/05/2000 Rv. 216260). Esula, pertanto, dai poteri di questa Corte la formulazione di una diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, in quanto il giudizio di legittimità può riguardare
solo la verifica dell’iter argomentativo esposto nel provvedimento impugnato, accertando se esso dia conto adeguatamente delle ragioni di quella decisione. Nel presente caso la motivazione dell’ordinanza impugnata, come detto, risulta sufficiente, non illogica e non contraddittoria, nonché corretta alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali in tema di applicazione del regime penitenziario differenziato. Non vi sono, quindi, ragioni per il suo annullamento.
Sulla base delle considerazioni che precedono il rico -so deve, pertanto, essere rigettato, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29 novembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente