Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2684 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2684 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/07/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto del Ministro della giustizia con il quale è stato prorogato per la durata di anni due il regime detentivo differenziato dell’articolo 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.).
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando la violazione di legge, in relazione all’art. 41-bis ord. pen., per mancanza di specificità della motivazione che si riferisce a fatti di epoca remota e che neppure motiva sulla attuale operatività dell’organizzazione camorristica.
Il ricorso propone censure inammissibili perché generiche e manifestamente infondate e comunque non consentite.
3.1. È bene ricordare che il provvedimento del Tribunale di sorveglianza, che decide sul reclamo avverso il decreto del Ministro della giustizia che applica o proroga il regime differenziato di cui all’articolo 41-bis ord. pen, è impugnabile unicamente per violazione di legge. Si è, da tempo, chiarito che «in tema di regime carcerario differenziato, è legittima la proposizione del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza per violazione di legge, in tale vizio ricomprendendosi, come mancanza della motivazione, tutti i casi nei quali essa appaia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare soltanto apparente o comunque non idonea – per evidenti carenze di coordinazione e per oscurità del discorso – a rendere comprensibile il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito» (Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, Santapaola, Rv. 230303), e che «non costituisce violazione di legge, unico vizio legittimante il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione o di proroga del regime previsto dall’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali il Tribunale di Sorveglianza non abbia ritenuto rilevanti gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa, ove i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti o fittizi» (Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2014, Trigila, Rv. 260805).
3.2. Il ricorso si limita a dedurre la genericità della motivazione senza indicare in cosa essa consista, mentre il provvedimento impugnato riferisce e valuta specificamente la posizione del ricorrente, del quale illustra la caratura criminale anche quale esponente di assoluto rilievo del clan, nonché la piena e
attuale operatività dell’organizzazione, come risulta da misure cautelari adot proprio con riguardo alla perdurante operatività e controllo del territorio da del gruppo criminale sotto la direzione dello storico vertice.
La motivazione adottata, per nulla apparente, ha illustrato la posizione rilievo assunta dal ricorrente all’interno della cosca di appartenenza anc seguito della confederazione con altri gruppi. Ha, altrettanto correttamen valorizzato le più recenti acquisizioni investigative, avvallate in gran par sentenze irrevocabili di condanna, che hanno dimostrato la capacità operativa e il persistente radicamento nel territorio dell’assetto confederativo costituito principali cosche operanti nel territorio di Crotone, sia pure rinnovato rispettive compagini.
3.3. D’altra parte, NOME COGNOME ha tenuto una condotta carceraria, non solo tutt’altro che regolare incorrendo in più infrazioni disciplinari, m espressione della pericolosità mafiosa e della palese intenzione, non solo e tanto di influenzare il personale della polizia penitenziaria incaricato vigilanza, ma anche e soprattutto di esteriorizzare nella comunità carcerari all’esterno il proprio ruolo e lo specifico “potere mafioso”.
Si tratta di logiche considerazione con le quali il ricorso non si confronta.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della cau di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2023.