Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46307 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46307 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SESSA AURUNCA il 27/01/1959
avverso l’ordinanza del 21/06/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
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RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME – detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo, come da provvedimento di cumulo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli del 15/09/2017, per reati di associazione di stampo mafioso con il ruolo di promotore e organizzatore, nonché plurimi omicidi aggravati e altro – avverso il provvedimento del 17/10/2023 del Ministro della giustizia, che ha disposto, ai sensi dell’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, la sospensione dell’applicazione delle regole del regime intrannurario ordinario per il periodo di anni due, prorogando il precedente regime speciale di cui all’art. 2, comma 2-bis legge 23 dicembre 2002, n. 279.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione alle disposizioni contenute nell’art. 41-bis, comma 2-bis Ord. pen.
Erroneamente il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha ritenuto qualificata e perdurante la pericolosità del condannato, ad onta dell’ormai prolungato stato di detenzione dello stesso e nonostante COGNOME, in tale lungo periodo, non abbia riportato condanne relative a reati di tipo associativo, né abbia avuto rapporti con esponenti del clan. Da ciò la erroneità del vaglio compiuto, circa la congruità della motivazione del decreto ministeriale. Il Tribunale di sorveglianza – ponendosi in modo acritico, nei confronti del decreto ministeriale esaminato – ha ricavato irragionevolmente, dalle sentenze emesse a carico di esponenti del clan di riferimento, elementi atti a giustificare il giudizio di pericolosità, effettuato inve nei confronti di COGNOME
Non sono stati addotti dati, dai quali sia effettivamente possibile giungere alla conclusione che COGNOME goda ancora di considerazione, nell’ambito della criminalità organizzata, né a tal fine è sufficiente la condanna – intervenuta a carico di alcuni familiari del ricorrente – per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Le valutazioni espresse circa il nucleo familiare del condannato, inoltre, sono prive di elementi di fatto giustificativi. Né possono rivestire una valenza indiziante la lettera indirizzata alla moglie, oppure l’altra missiva, ricevuta da tal NOME COGNOME
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Giova preliminarmente ricordare come l’art. 41-bis Ord. pen. stabilisca la possibilità di sospendere – in tutto o in parte – le regole del trattamento, nei confronti dei soggetti condannati per taluno dei delitti ivi menzionati, allorquando ricorrano “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva”.
Secondo quanto già rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte, con orientamento consolidato dal quale questo Collegio non vede ragioni per discostarsi, la chiara formulazione della norma indica come – ai fini del riconoscimento di detta condizione, nonché, diversamente da quanto richiesto dal sistema processuale, per formulare un giudizio di responsabilità “al di là di ogni ragionevole dubbio” – non sia necessario acquisire la dimostrazione, in termini di certezza, in ordine alla sussistenza dei detti collegamenti, essendo invece necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile, in forza degli elementi di valutazione e conoscenza acquisiti (Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, COGNOME, rv. 279221; Sez. 1, n. 24134 del 10/05/2019, COGNOME, rv. 276483; Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, rv. 274912; Sez. 1, n. 18791 del 06/02/2015, COGNOME, rv. 263508; Sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, COGNOME, rv. 256495; Sez. 1, n. 4428 del 14/01/2009, COGNOME, rv. 242797; Sez. 1, n. 5842 del 22/01/2008, COGNOME, rv. 242784; Sez. 1, n. 47521 del 02/12/2008, COGNOME, Rv. 242071; Sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005, COGNOME, rv. 232684; Sez. 1, n. 46013 del 29/10/2004, COGNOME, rv. 230136).
2.1. Va sottolineato, inoltre, che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è stabilito dal comma 2-sexies dell’art. 41-bis, come novellato dalla legge nr. 94 del 2009, a norma del quale il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore possono proporre – entro dieci giorni della sua comunicazione – ricorso per cassazione nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, che abbia respinto il reclamo avverso il decreto ministeriale di sottoposizione al regime differenziato, unicamente per dedurre il vizio di violazione di legge.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge deve essere intesa, peraltro, nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso – oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale – alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali l’apparato argomentativo risulti del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente,
ovvero assolutamente inidoneo a rendere comprensibile il ragionamento logico seguito dal giudice di merito, per ritenere giustificata l’adozione del provvedimento, ovvero quei casi in cui l’apparato argomentativo sia talmente scoordinato e carente, nei suoi passaggi logici, da far restare ignote o non comprensibili le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. U. 28/5/2003, COGNOME, rv. 224611; Sez. 1, 9/11/2004, COGNOME, rv. 230203; Sez. 1, n. 449 del 14/11/2003, COGNOME, rv. 226628).
2.2. È, invece, da escludere che la violazione di legge possa riconnprendere il vizio di illogicità, contraddittorietà o insufficienza della motivazione, che – sot questo profilo – non può evidentemente trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
Tanto premesso – ai soli fini del corretto inquadramento, sotto il profilo giuridico, della questione dedotta – deve ritenersi coerente ed esaustiva, dunque destinata a rimanere immune da qualsivoglia stigma in sede di legittimità, l’avversata ordinanza adottata dal Tribunale di sorveglianza di Roma.
3.1. Nel provvedimento impugnato, infatti, vi è un ampio riferimento sia alla attuale situazione dell’associazione camorristica omonima, descritta come ancora pienamente attiva, sia al ruolo di vertice, ricoperto dal condannato all’interno del sodalizio.
Vengono poi richiamate le note della D.N.A. e della D.D.A. di Napoli, oltre che gli esiti dell’osservazione condotta dagli organismi centrali delle Forze dell’ordine; trattasi di fonti di valutazione e conoscenza che collimano tra loro alla perfezione, nel delineare la figura dell’COGNOME, in termini di perdurante pericolosità. Del tutto coerente con tali premesse, del resto, è il dato costituito dai tentativi di intessere contatti con l’esterno, sostanziatisi tanto nell’invio alla moglie NOME COGNOME NOME di una lettera giudicata di contenuto ambiguo, quanto nella ricezione di altra missiva, rimessagli da NOME COGNOME condannato parimenti assoggettato a regime detentivo speciale.
Di univoca significazione logica, infine, è stato ritenuto il dato della provvista economica, sulla quale può contare il nucleo familiare e che non risulta conciliabile con le effettive entrate vantate dallo stesso; tale elemento è stato ritenuto, dal Tribunale di sorveglianza, evocativo del fatto che COGNOME sia ancora una figura di spicco, all’interno del clan.
3.2. A fronte di tale apparato motivazionale – che è congruo, lineare e privo del pur minimo spunto di contraddittorietà – la difesa si limita a spendere deduzioni meramente contestative e fattuali, che non riescono a oltrepassare lo stadio della mera critica apodittica.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 29 ottobre 2024.