Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 16791 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 16791 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a PALERMO il 13/07/1974
avverso l’ordinanza del 28/11/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Considerato, anzitutto, che deve disporsi la correzione – ai sensi dell’art. 619 del codice di rito – dell’errore di diritto in cui è incorsa l’ordinanza impugnata nel parte in cui si sostiene che il sindacato del Tribunale di sorveglianza sul decreto ministeriale è di mera legittimità, mentre esso invece è di merito;
Considerato poi che il ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione dell’art. 41-bis Ord. Pen., dell’art. 125 cod. proc. pen. in cui sarebbe incorso il Tribunale di sorveglianza di Roma, nel rigettare il suo reclamo avverso il decreto del Ministro della Giustizia in data 6 gennaio 2021, con il quale è statcLprorogata la sottoposizione di NOME COGNOME allo speciale regime di cui al citato art. 41-bis;
Rilevato che l’art. 41-bis, comma 2-bis, Ord. Pen., sostituito dall’art. 2, legge 23 dicembre 2002, n. 279, prevede che i provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato possano essere prorogati “nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari a due anni”, purché non risulti che il detenuto o l’internato abbia perso la capacità di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive. L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione, delineato dal comma 2-sexies della disposizione in esame, si limita alla verifica della violazione di legge, sulla base del ricorso presentato dal Procuratore generale presso la Corte di appello, l’internato o il difensore avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, tale limitazione ai motivi di ricorso implica che il controllo affidato al giudice legittimità si estenda non solo all’inosservanza di specifiche disposizioni di legge sostanziale e processuale, ma anche alla mancanza di motivazione. Quest’ultima, infatti, costituisce una violazione autonoma sia del disposto generale dell’art. 125 cod. proc. pen., sia della prescrizione dell’art. 41-bis Ord. pen., comma 2-sexies, secondo la quale il Tribunale di Sorveglianza “decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 cod. proc. pen., sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2”.
Ritenuto che, sulla base di tali premesse, l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che si pronunci sul reclamo avverso il decreto applicativo del regime detentivo differenziato, oppure quello di proroga, è censurabile col ricorso per cassazione nei casi in cui la motivazione risulti del tutto assente, limitandosi al
mero dispositivo, o nei casi in cui l’apparato giustificativo del provvedimento sia privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, risultando meramente apparente o assolutamente inidoneo a rendere comprensibile la “ratio decidendi”. Tale inidoneità si configura qualora le argomentazioni esplicative siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da compromettere l’intelligibilità della decisione, ovvero quando le questioni sollevate con il reclamo non siano adeguatamente affrontate o siano sostanzialmente eluse, pur in presenza di una motivazione formale che non assolve, tuttavia, la funzione ad essa affidata (Sez. Un. 28/5/2003, COGNOME, Rv.224611; Sez. 1, 9/11/2004, COGNOME, Rv. 230203);
Considerato, per contro, che la violazione di legge non può essere estesa ai vizi di insufficienza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, i quali no possono, dunque, trovare ingresso nel giudizio di legittimità in merito all’applicazione o alla proroga del regime detentivo differenziato.
Rilevato che il provvedimento impugnato ha ancorato il giudizio sulla persistenza di detto pericolo alla varia ed allarmante carriera criminale del ricorrente, al suo ruolo apicale nell’ambito dell’associazione criminale di riferimento, alla perdurante attività del gruppo criminale di appartenenza confermata dalle varie operazioni di polizia, alle segnalazioni della D.D.A. di Palermo circa due omicidi avvenuti nel territorio di riferimento del mandamento mafioso di Porta Nuova, all’operatività di molteplici società operanti nel settore del trasporto dei malati e dei servizi funebri, direttamente o indirettamente riconducibili alla famiglia mafiosa di Porta Nuova, nonché per l’assenza di segni di dissociazione del ricorrente rispetto alla organizzazione criminale di appartenenza, come segnalato nella relazione comportamentale del 25 ottobre 2024 e per la permanenza del ruolo del COGNOME all’interno del medesimo sodalizio, come emerso da alcune intercettazioni di colloqui in carcere fra affiliati;
Considerato, pertanto, che i giudici di merito hanno ritenuto che l’assenza di elementi indicativi di dissociazione, unitamente all’attuale operatività del clan ed al ruolo apicale rivestito dal reclamante, portano a concludere nel senso che, in assenza delle attuali restrizioni detentive, lo stesso potrebbe riattivare i propri legami criminosi, reintroducendosi nel contesto per riprendere il controllo del circuito delinquenziale. Il Tribunale di sorveglianza ha logicamente valorizzato una consolidata massima di esperienza, secondo la quale, anche durante la detenzione, i capimafia conservano inalterati i poteri di intervento e deliberativi e, servendosi di familiari ed altri soggetti ammessi ai colloqui, riescono a trasmettere all’esterno del carcere direttive ed istruzioni operative;
Ritenuto, dunque, che deve escludersi la lamentata violazione dei compiti valutativi imposti al Tribunale di sorveglianza e dei criteri dettati dalla disposizion
di legge di riferimento, oltre che per l’insussistenza del denunciato vizio di violazione di legge nella specie della mera apparenza motivazione dell’ordinanza
impugnata;
pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
Ritenuto, condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte cost., sent. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025
GLYPH
Il Con:)siglier tensore GLYPH
Il Presidente