Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26234 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26234 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/11/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo presentato da NOME COGNOME (soggetto che si trova detenuto in espiazione della pena complessiva di anni undici, mesi dieci e giorni ventisei di reclusione, con pena residua pari ad anni sette, mesi quattro e giorni diciannove di reclusione, come da provvedimento di cumulo del Procuratore generale presso la Corte di appello di Messina del 11/05/2023, per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., commesso fino al settembre 2015), avverso il decreto ministeriale di proroga del regime detentivo speciale ex art. 41-bis, comma 2 legge 26 luglio 1975, n. 354.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo due motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciato vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., in relazione all’art. 41-bis comma 2-bis Ord. pen. Non vi è prova, anzitutto, del fatto che l’organismo associativo di appartenenza abbia continuato a operare anche in epoca successiva al 2015 e fino all’attualità. Non si è considerato come l’assoluzione pronunciata nei confronti dei fratelli COGNOME il 30/05/2022, ad opera della Corte di appello di Messina, renda ormai impensabile il collegamento, fra l’RAGIONE_SOCIALE e la micro propaggine criminale, diretta da NOME COGNOME fino al 2015. Poco rilevanti sono i riferimenti ai colloqui intrattenuti dal condannato con i familiari
2.2. Con il secondo motivo, si denunciano la violazione di legge e il difetto di motivazione, avuto riguardo all’omessa valutazione della funzione rieducativa della pena. L’ordinanza merita censura, in quanto ritiene la perdurante capacità di NOME di mantenere i collegamenti con il clan, senza tener conto dei risultati del trattamento carcerario già seguito. Trattasi di un soggetto detenuto da circa nove anni, che ha sempre tenuto una buona condotta e ha sempre partecipato proficuamente alle iniziative trattamentali, tanto da aver fruito di un periodo di liberazione anticipata. La stessa sottoposizione al regime ex art. 41-bis Ord. pen., del resto, non può non aver prodotto la cessazione dei pregressi legami, tra il condannato e gli ambienti criminali di provenienza.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. Il Tribunale di Sorveglianza ha compiutamente esposto le ragioni poste a
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fondamento della proroga del regime detentivo differenziato, così risultando infondata la deduzione di apparenza della motivazione. Le considerazioni svolte nel primo motivo, ad ogni modo, presentano una natura fattuale. Il secondo motivo è aspecifico e, peraltro, non si confronta con il contenuto della decisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Giova preliminarmente ricordare come l’art. 41-bis Ord. pen. stabilisca la possibilità di sospendere, in tutto o in parte, le regole del trattamento nei confronti dei soggetti condannati per taluno dei delitti ivi menzionati, allorquando ricorrano “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’RAGIONE_SOCIALE criminale, terroristica o eversiva”. Secondo quanto già rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte, con orientamento consolidato al quale questo Collegio intende dare continuità, la chiara formulazione della norma indica come – ai fini del riconoscimento di detta condizione, nonché diversamente da quanto richiesto dal sistema processuale, per formulare un giudizio di responsabilità “al di là di ogni ragionevole dubbio” – non sia necessario acquisire la dimostrazione, in termini di certezza, in ordine alla sussistenza dei detti collegamenti, essendo invece necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile, in forza degli elementi di valutazione e conoscenza acquisiti (Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279221; Sez. 1, n. 24134 del 10/05/2019, COGNOME, Rv. 276483; Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912; Sez. 1, n. 18791 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 263508; Sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, COGNOME, Rv. 256495; Sez. 1, n. 4428 del 14/01/2009, COGNOME, Rv. 242797; Sez. 1, n. 5842 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 242784; Sez. 1, n. 47521 del 02/12/2008, COGNOME, Rv. 242071; Sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005, Emmanuello, Rv. 232684; Sez. 1, n. 46013 del 29/10/2004, Foriglio, Rv. 230136). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1. Va sottolineato, inoltre, che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di Cassazione è stabilito dal comma 2-sexies dell’art. 41-bis, come novellato dalla legge nr. 94 del 2009, a norma del quale il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, che abbia respinto il reclamo avverso il decreto ministeriale di sottoposizione al regime differenziato, unicamente per dedurre il vizio di violazione di legge. La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge deve essere intesa, peraltro, nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità esteso – oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e pr,a cessuale
alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali l’apparato argomentativo stesso risulti del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente, ovvero assolutamente inidoneo a rendere comprensibile il ragionamento logico seguito dal giudice di merito, per ritenere giustificata l’adozione del provvedimento, ovvero nei casi in cui l’apparato argomentativo sia talmente scoordinato e carente, nei suoi passaggi logici, da far restare ignote o non comprensibili le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. U. 28/5/2003, COGNOME, Rv. 224611; Sez. 1, 9/11/2004, ric. COGNOME, Rv. 230203; Sez. 1, n. 449 del 14/11/2003, COGNOME, Rv. 226628).
2.2. È, invece, da escludere che la violazione di legge possa riconnprendere il vizio di illogicità, contraddittorietà o insufficienza della motivazione, che – sot questo profilo – non può evidentemente trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
Tanto premesso – ai soli fini del corretto inquadramento, sotto il profilo giuridico, della questione dedotta – deve ritenersi coerente ed esaustiva, dunque destinata a rimanere immune da qualsivoglia stigma in sede di legittimità, l’avversata ordinanza adottata dal Tribunale di sorveglianza di Roma.
3.1. Quanto al primo motivo, dal momento che la proroga del regime detentivo postula la permanenza attuale dei pericoli, per l’ordine e la sicurezza, sembra chiaro come il provvedimento impugnato, rifuggendo da qualsiasi forma di automatismo, abbia ancorando la propria valutazione a dati oggettivamente apprezzabili, sintetizzabili come segue:
NOME COGNOME ha riportato condanna, oltre che per diversi reati-satellite, anche per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., per esser stato a capo di una RAGIONE_SOCIALE mafiosa ancora oggi operante in territorio messinese;
attraverso l’analisi dei colloqui intrattenuti dal soggetto in ambiente penitenziario, è agevole evincere il suo perdurante interesse per le dinamiche mafiose;
la sua posizione apicale, all’interno del suddetto clan, è cristallizzata anche nelle dichiarazioni rese dal collaboratore NOME COGNOME;
non emerge alcuna forma di rivisitazione critica, o di almeno iniziale ravvedimento, rispetto al passato deviante;
non sono stati acquisiti elementi di valutazione e conoscenza, atti a ritenere la rescissione dei precedenti legami con gli ambienti criminali di provenienza.
3.2. Il secondo motivo, oltre a riprendere censure sostanzialmente già contenute nella prima doglianza, soffre di una marcata connotazione di aspecificità, oltre a invocare nulla più, se non una rilettura degli atti ad opera di questa Corte.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Così deciso in Roma, 09 aprile 2024.