Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1547 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1547 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 11/07/1971
avverso l’ordinanza del 26/01/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il decreto del Ministro della Giustizia in data 5 gennaio 2022 con cui veniva disposta la proroga della sospensione di alcune regole del trattamento, a norma dell’art. 41-bis Ord. pen.
Rilevava il Tribunale di Sorveglianza che il detenuto, per quanto emerso dal compendio documentale acquisito, aveva ricoperto un ruolo di rilievo nel “clan Sarno” di Ponticelli, quale componente di un gruppo di fuoco, e poi – al momento della scissione di quel gruppo – era rimasto affiliato al “clan De Luca Bossa”, assumendo un ruolo di vertice; aggiungeva che egli era stato riconosciuto capo e promotore di una cosca e condannato quale esecutore di diversi omicidi; chiariva perché alcune sue confessioni non potessero considerarsi con certezza indicative di un distacco dalla devianza mafiosa, né di ravvedimento; sottolineava che il suo clan era ancora operativo, come dimostrato da recenti operazioni di polizia che avevano interessato esponenti di rilievo, affiliati e fiancheggiatori del sodalizio.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo, violazione ed erronea applicazione dell’art. 41bis Ord. pen.
Il Tribunale avrebbe svilito gli argomenti difensivi incentrati sulla dichiarata dissociazione di COGNOME il quale aveva reso confessione in sei procedimenti tanto da indurre i giudici di merito a concedergli le circostanze attenuanti generiche, avendo essi apprezzato tale comportamento processuale come indicativo della volontà di allontanarsi dalle condotte devianti del passato.
Inoltre, il giudice a quo avrebbe travisato le risultanze processuali in relazione al ravvisato ruolo apicale rivestito dal ricorrente.
Il Procuratore generale presso questa Corte, nel!a sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono.
Giova premettere che, ai fini dell’adozione del provvedimento di applicazione del regime che, ai sensi dell’art. 41-bis, comma 2, Ord. pen., comporta la sospensione, in tutto o in parte, delle ordinarie regole del trattamento penitenziario nei confronti dei soggetti condannati o imputati per gravi reati espressamente individuati, occorrono «elementi tali da far ritenere la
sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva». Non si esige sul punto un giudizio di certezza secondo i parametri dell’accertamento probatorio ai fini dell’affermazione della responsabilità penale, ma la formulazione di una ragionevole previsione sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti, fra cui assumono primaria rilevanza quelli desumibili dai fatti di cui all condanne già intervenute o ai procedimenti ancora in corso (fra le altre, Sez. 1, n. 18434 del 23/4/2021, COGNOME, Rv. 281361; Sez. 7, n. 19290 del 10/3/2016, Giuliano, Rv. 267248).
Si tratta, quindi, di un accertamento prognostico diverso da quello finalizzato a verificare il pericolo di reiterazione delle medesime condotte delittuose perché, in un’ottica di tutela più anticipata, ha l’obiettivo di prevenir tramite le funzionali prescrizioni del regime detentivo speciale, già il solo collegamento operativo con il contesto di criminalità organizzata nel quale sono maturati i fatti di grave allarme sociale posti a fondamento della detenzione.
Ai fini della proroga del regime differenziato di cui trattasi, va, invece, apprezzato non tanto il concreto realizzarsi di momenti di collegamento esterno con il contesto di criminalità organizzata in ragione dell’elusione delle particolari disposizioni già predisposte per impedirli, quanto, più propriamente, la necessità di rendere ancora vigenti tali disposizioni, riscontrandosi – non necessariamente in considerazione di elementi sopraggiunti – la permanenza di quelle apprezzabili condizioni di pericolo che avevano giustificato originariamente il regime speciale (Sez. 1, n. 24134 del 10/5/2019, COGNOME, Rv. 276483; Sez.1, n. 2660 del 9/10/2018, dep. 2019, COGNOME Rv. 274912; Sez. 1, n. 41731 del 15/11/2005, Stranieri, Rv. 232892; Sez. 1, n. 36302 del 21/9/2005, COGNOME, Rv. 232114). Va, infatti, verificata, a mente dell’art. 41-bis, comma 2, cit., la «capacità» di mantenere quei collegamenti a suo tempo riscontrati, «anche» tenendo conto di alcuni parametri elencati, in termini non esaustivi: il profilo criminale, la posizione rivestita all’interno dell’associazione, la perdurante operatività della stessa, la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, gli esiti del trattamento penitenziario, il tenore di vita dei familiari del sottoposto. Mentre si sottolinea che il mero decorso del tempo non costituisce da solo elemento sufficiente a escludere la «capacità» di cui sopra.
Il perimetro e le modalità del controllo giurisdizionale sui provvedimenti ministeriali previsti dalla disposizione in commento, circoscritto nel testo attuale del comma 2-sexies alla verifica della “sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento” sono stati precisati da numerosi interventi della Corte costituzionale.
4.1. Con riferimento ai provvedimenti di applicazione del regime differenziato, il Giudice delle leggi ha affermato la loro piena sindacabilità, ad opera del giudice ordinario, e precisamente del Tribunale di sorveglianza adito col reclamo di cui all’art. 14-ter Ord pen., sia sotto il profilo dell’esistenza dei presupposti per tale applicazione e della congruità della relativa motivazione, sia sotto il profilo del rispetto – nel contenuto delle misure restrittive disposte limiti del potere ministeriale: tanto di quelli “esterni”, collegati cioè al divie incidere sul residuo di libertà personale spettante al detenuto, e dunque pure sugli aspetti dell’esecuzione che toccano, anche indirettamente, la qualità o la quantità della pena detentiva da scontare o i presupposti per l’applicazione delle misure così dette extramurali, quanto di quelli “interni”, discendenti dal necessario collegamento funzionale fra le restrizioni concretamente disposte e le finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza cui devono essere rivolti provvedimenti applicativi del regime differenziato, nonché dal divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e dall’obbligo di non vanificare la finalità rieducativa della pena (sentenza Corte cost. n. 376 del 1997 che, espressamente richiama le precedenti pronunce n. 349 del 1993 e n. 351 del 1996; e più, di recente, n. 186 del 2018 e n. 97 del 2020).
4.2. Con riguardo ai provvedimenti di proroga del regime differenziato, la Corte costituzionale è pervenuta a conclusioni dello stesso tenore, esplicitamente avallando la giurisprudenza di legittimità formatasi dopo le modifiche apportate all’art. 41-bis Ord. pen dalla legge n. 279 del 2002 e dalla legge n. 94 del 2009. Essa, dapprima, nell’esaminare le conseguenze dell’introduzione al comma 2-bis cit. dell’inciso «purché non risulti che la capacità del detenuto o dell’internato d mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno» (oggi soppresso), ha escluso che nella verifica dei presupposti possa operarsi una inversione dell’onere della prova (nello stesso senso Sez. 1, n. 15283 del 30/3/2006, COGNOME Rv. 234844; Sez. 1, n. 41316 del 23/9/2009, COGNOME, Rv. 245048), ribadendo che il provvedimento di proroga deve contenere un’adeguata motivazione sugli specifici ed autonomi elementi da cui risulti la persistente capacità del condannato di tenere contatti con le organizzazioni criminali (nello stesso senso, ex plurirmS, Sez. 1, n. 48396 del 6/10/2011, Lucchese, Rv. 251583) e che, conseguentemente, «in sede di controllo giurisdizionale spetterà al giudice verificare in concreto – anche alla luce delle circostanze eventualmente allegate dal detenuto – se gli elementi posti dall’amministrazione a fondamento del provvedimento di proroga siano sufficienti a dimostrare la permanenza delle eccezionali ragioni di ordine e sicurezza che, sole, legittimano l’adozione del regime speciale» (sentenza n. 417 del 2004). Successivamente, nel considerare infondata la censura relativa all’assetita
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cancellazione di ogni controllo di legalità, da parte del Tribunale di sorveglianza, sui contenuti del provvedimento ministeriale applicativo delle prescrizioni dettate dall’art. 41-bis, comma 2-quater, della legge n. 354 del 1975, nel testo modificato dalla legge n. 94 del 2009, con conseguente violazione degli artt. 13, secondo comma, 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, ha precisato, sulla base di ricostruzione sistematica delle norme dell’ordinamento penitenziario, che le proroghe – a prescindere dalla soppressione, nella disciplina del reclamo di cui al comma 2-sexies cit. contro il decreto applicativo del regime speciale, del riferimento al controllo sulla congruità di contenuto del provvedimento rispetto alle esigenze di sicurezza – al pari di tutti i provvedimenti adottati nei confronti dei detenuti lesivi di posizioni giuridiche che, per la lo stretta inerenza alla persona umana, sono qualificabili come diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, continuano ad essere reclamabili con lo strumento generale previsto dall’art. 14-ter Ord. pen. davanti al giudice dei diritti e cioè al giudice ordinario ai sensi dell’art. 24 della Costituzione (C. Cost., sentenza n. 190 del 2010). Il sindacato giurisdizionale attivato dai detenuti attraverso tale rimedio, proprio perché funzionale alla tutela di diritti soggettivi, si estende «non solo alla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento, ma anche al rispetto dei limiti posti dalla legge e dalla Costituzione in ordine al contenuto d questo», con la conseguenza che «eventuali misure illegittime, lesive dei diritti del detenuto, dovranno perciò essere a questi fini disattese, secondo la regola generale per cui il giudice dei diritti applica i regolamenti e gli a dell’amministrazione solo in quanto legittimi» (C. Cost., sentenza n. 351 del 1996, richiamata dalla n. 190 del 2010 ).
4.3. Conclusivamente, il controllo da parte del Tribunale di sorveglianza, adito in sede di reclamo avverso i provvedimenti di proroga del regime differenziato, lungi dal costituire un sindacato di mera legittimità sulla congruità della motivazione, come tale limitato alla valutazione della correttezza, logica e giuridica, del provvedimento reclamato, è, invece, volto a verificare la sussistenza, nel caso concreto, dei presupposti normativi di cui all’art. 41-bis Ord. pen. mediante il ponderato apprezzamento dell’intero materiale probatorio raccolto: quindi, non solo degli elementi fattuali posti a fondamento del decreto ministeriale, ma anche di quelli, eventualmente allegati dal reclamante o comunque emersi dall’istruttoria, al fine di riscontrarne, con congrue e pertinenti argomentazioni critiche sulle contrapposte prospettazioni, la idoneità dimostrativa della capacità del soggetto sottoposto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di
sicurezza (Sez. 1, n. 18434 del 23/4/2021, cit.; Sez. 7, n. 19290 del 10/3/2016, cit.; Sez. 1, n. 22721 del 26/3/2013, Di Grazia, Rv. 256495).
Ed in ciò si apprezza la distinzione con i margini più limitati di intervento del sindacato del giudice di legittimità sulla decisione sul reclamo, circoscritto al solo vizio di violazione di legge da intendersi nel senso che il controllo ha per oggetto, oltre che l’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, la mancanza di motivazione, con la precisazione che a tale vizio devono essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (cfr. Sez. U, n. 25080 del 28/5/2003, COGNOME, Rv. 224611).
5. Il Tribunale di sorveglianza si è attenuto alla cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento, valutando correttamente gli elementi risultanti dagli atti, già riportati nella superiore esposizione in fatto (che qui richiamano), e argomentando dagli stessi, con motivazione congrua, la sussistenza dei presupposti legittimanti la proroga del regime penitenziario differenziato.
La difesa lamenta, nella sostanza, che il Tribunale non si sia uniformato alle valutazioni operate dai giudici della cognizione, i quali avrebbero interpretato le varie confessioni rese dal COGNOME come sintomatiche di vera resipiscenza e di allontanamento definitivo dal clan di appartenenza.
Ritiene il Collegio, sul punto, che il giudice a quo abbia legittimamente esercitato la propria discrezionalità valutativa spiegando, con motivazione per nulla apparente (come dedotto in ricorso), le ragioni per le quali quelle confessioni non avrebbero potuto assumere il significato di un sicuro distacco dal proprio sodalizio: in particolare, evidenziando che l’imputato, in quelle sedi, non aveva speso mai una parola a proposito dei correi e delle ragioni sottese agli omicidi contestati, e sottolineando che gli stessi giudici della cognizione avevano spesso valutato come “generica” la dichiarazione di dissociazione resa.
La difesa del ricorrente, quindi, si è limitata ad esprimere un mero dissenso sull’adeguata motivazione adottata dal Tribunale, in termini, cioè, non consentiti in sede di legittimità.
Va, inoltre, precisato che questa stessa Sezione, con la sentenza n. 4058 del 12 gennaio 2022, nel rigettare il ricorso proposto da COGNOME avverso precedente ordinanza di proroga del regime differenziato, si è già pronunciata sul
tema, anche oggi dedotto, giudicando corrette le argomentazioni rese dal Tribunale di sorveglianza, sicché sul punto deve ormai ritenersi formato il giudicato (v. pag. 6 della menzionata decisione).
Manifestamente infondata, oltre che meramente assertiva, infine, è la censura con cui si rimprovera al Tribunale di sorveglianza di aver attribuito un ruolo “apicale” a COGNOME nel clan di appartenenza in travisamento delle risultanze processuali.
Il ricorrente non spiega rispetto a quali atti processuali il giudice di merito sarebbe incorso nel supposto travisamento’ quando, viceversa, a pag. 3 del provvedimento impugnato, nel dare atto delle risultanze probatorie, il Tribunale afferma, senza essere specificamente contestato sul punto, che COGNOMEha svolto mansioni di primo piano nell’associazione criminale di appartenenza, essendo stato riconosciuto il ruolo di responsabilità all’interno del sodalizio, quale partecipe in posizione sovraordinata, decisoria ed organizzativa dei diversi reati ascritti, e di avere collaborato personalmente e direttamente con NOME, curando la gestione degli aspetti economico-finanziari, fungendo da collegamento tra quest’ultima e i sodali operanti sul territorio e distribuendo i profitti illeciti accumulati tra i familiari dei detenuti appartenenti al clan e i s liberi”.
In conclusione, per le esposte considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile, dal che consegue la condanna del proponente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2023
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