Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31210 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31210 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso contro l’ordinanza con cui il Tribunale di sorveglianza di Roma, in data 29 febbraio 2024, ha respinto il suo reclamo avverso il decreto ministeriale di proroga per due anni del regime di cui all’art. 41-bis Ord.pen., sul presupposto del suo permanente inserimento nella cosca di appartenenza, tuttora attiva, e dell’assenza di resipiscenza e di revisione critica per i gra delitti per i quali è stato condanNOME, nonché affermando l’infondatezza delle eccezioni di incostituzionalità del regime differenziato proposte dal reclamante;
rilevato che il ricorrente deduce la violazione di legge per mancanza della motivazione, non avendo l’ordinanza verificato la sussistenza del pericolo attuale e concreto di ripristino dei collegamenti con l’associazione di appartenenza, nonostante che l’assenza di nuove incriminazioni, il corretto comportamento penitenziario, il tenore di vita dei familiari, il lungo tempo trascorso in regim differenziato, dimostrino il suo allontanamento da logiche criminali e associative, rilevabile anche dalla positiva relazione del capo area educativa del carcere di Rebibbia, risalente al 2015 e sempre aggiornata;
ritenuta la manifesta infondatezza del ricorso, avendo l’ordinanza impugnata valutato l’attuale pericolosità del ricorrente, come indicata nel decreto ministeriale impugNOME, per il ruolo apicale da lui rivestito, e ancora oggi riconosciutogli, la persistente attività dell’associazione e la sua ancora rilevante pericolosità, e per l’assenza di qualunque segno di dissociazione che dimostri il venir meno del legame con la stessa;
ritenuto che l’ordinanza impugnata abbia applicato correttamente il consolidato principio di questa Corte, secondo cui, ai fini della proroga dell’applicazione del regime penitenziario differenziato, la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti (vedi Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, Rv. 27922; Sez. 1, n. 241:34 del 10/05/2019, Rv, 276483; Sez. 1, n. 18791 del 06/02/2015, Rv. 263508);
ritenuto che il ricorso sia inammissibile per manifesta infondatezza laddove ribadisce le possibili violazioni di principi costituzionali, avendo questa Corte già dichiarato manifestamente infondate varie questioni, con le sentenze Sez. 1, n.
44149 del 19/04/2016, Rv. 268294 e Sez. 1, n. 18790 del 06/02/2015, Rv. 263555 (in motivazione, quanto al non contrasto con la finalità rieducativa della pena), ed avendo la stessa Corte costituzionale escluso violazioni, con l’ordinanza n. 417/2004 e con la sentenza n. 376/1997, specificamente relative alla legittimità dei provvedimenti di proroga, e infine con la sentenza n. 197/2021, nella parte in cui ribadisce la legittimità dei provvedimenti restrittiv a carico dei detenuti sottoposti al regime differenziato, se conformi ai criteri d proporzionalità e congruità più volte stabiliti dalla Corte costituzionale stessa, bilanciati con le esigenze di prevenzione speciale e di tutela della sicurezza pubblica, e comunque non contrastanti con la finalità di rieducazione, e nella parte in cui richiama le pronunce della CEDU, che non ha mai stabilito un principio di necessaria predeterminazibne di durata della restrizione di sicurezza;
ritenuta l’insussistenza anche di violazioni della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, alla luce dell’orientamento manifestato dalla Corte EDU, che in più occasioni ha ritenuto non in contrasto con l’art. 3 della CEDU il regime di cui all’art. 41-bis Ord.pen., anche se applicato «per lunghi periodi di tempo» (vedi sentenza in data 25 ottobre 2018, COGNOME contro Italia, che al par. 147 circa molti suoi precedenti sul punto);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 01 luglio 2024
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Il Consigliere estensore
Il Pr sidente