Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30974 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30974 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/03/2024 del TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto del Ministro della giustizia in data 21 settembre 2023 con il quale è stato prorogato per la durata di anni due il regime detentivo differenziato dell’articolo 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.).
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando la violazione di legge, in relazione all’art. 41-bis ord. pen., per mancanza di specificità della motivazione che si riferisce a fatti di epoca remota.
Il Tribunale, nonostante sia stato costretto a dare atto che il decreto ministeriale conteneva delle erronee affermazioni di rilevante valore nella prospettiva preventiva adottata (condanne per omicidio; tentativi di contatto con l’esterno), non ha neppure indicato gli elementi di presunta attualità della permanenza dell’associazione camorristica cui apparteneva il detenuto e ha apoditticamente fatto riferimento, per sostenere il sospetto di legami criminali, al tenore di vita dei famigliari che, tuttavia, non è affatto stato indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che propone in larga parte censure inammissibili perché generiche e manifestamente infondate e comunque non consentite, è nel complesso infondato.
È bene ricordare che il provvedimento del Tribunale di sorveglianza, che decide sul reclamo avverso il decreto del Ministro della giustizia che applica o proroga il regime differenziato di cui all’articolo 41-bis ord. pen, è impugnabile unicamente per violazione di legge. Si è, da tempo, chiarito che «in tema di regime carcerario differenziato, è legittima la proposizione del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza per violazione di legge, in tale vizio ricomprendendosi, come mancanza della motivazione, tutti i casi nei quali essa appaia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare soltanto apparente o comunque non idonea – per evidenti carenze di coordinazione e per oscurità del discorso – a rendere comprensibile il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito» (Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, Santapaola, Rv. 230303), e che «non costituisce
violazione di legge, unico vizio legittimante il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione o di proroga del regime previsto dall’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali il Tribunale di Sorveglianza non abbia ritenuto rilevanti gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa, ove i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti o fittizi» (Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2014, Trigila, Rv. 260805).
Non è, in effetti, fondata, sotto il profilo dell’assenza di motivazione, l doglianza concernente la riconosciuta insussistenza di condanne per omicidio e di concreti tentativi di instaurare contatti con l’esterno da parte del prevenuto, poiché il Tribunale, dopo avere dato atto della fondatezza della doglianza rivolta avverso il decreto ministeriale che riportava tali errate affermazioni, ha però illustrato, con motivazione non apparente, la sussistenza degli elementi che giustificano l’adozione del regime detentivo speciale.
3.1. Il ricorso si limita, in proposito, a dedurre la genericità del motivazione senza indicare in cosa essa consista, mentre il provvedimento impugnato riferisce e valuta specificamente la posizione del ricorrente, del quale illustra la caratura criminale anche quale esponente di assoluto rilievo del clan, nonché la piena e attuale operatività dell’organizzazione, come risulta da misure cautelari adottate proprio con riguardo alla perdurante operatività e controllo del territorio da parte del gruppo criminale sotto la direzione dello storico vertice familiare, essendo emerso il subentro di nuovi affiliati sempre afferenti alla famiglia (COGNOME NOME, nipote del prevenuto, figlio dei fondatori del clan COGNOME NOME e COGNOME NOME, è stato recentemente arrestato proprio per essere divenuto il reggente del clan, giudicato operativo e ben radicato nel territorio dall’ordinanza cautelare citata dal Tribunale) che stanno riprendendo il controllo del territorio anche mediante atti dimostrativi e intimidatori tipicamente mafiosi (le cd “stese”: sparatorie in strada, sovente nei pressi di clan rivali o d soggetti non sottomessi).
3.2. D’altra parte, il ricorso denuncia genericamente l’assenza di motivazione sui contatti con l’esterno, mentre il provvedimento impugnato ne ha illustrato la effettiva possibilità, così facendo applicazione dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale «ai fini della proroga della sospensione dell’applicazione delle
regole di trattamento nei confronti dei soggetti condannati per taluno dei delitti menzionati dall’art. 41-bis, comma 2, legge 26 luglio 1975 n. 354, la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, richiesta dalla norma, non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti» (Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, Farao, Rv. 279221).
3.3. È, per altro verso, priva di capacità critica la doglianza concernente il tenore di vita dei famigliari, non rivenendosi affatto tale elemento nel provvedimento impugnato.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M..
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 1° luglio 2024.