Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1836 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1836 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Siracusa il 16.7.1970
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Sassari del 23.5.2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 23.5.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha provveduto su due reclami avverso un provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Nuoro in data 29.3.2024 relativo ad NOMECOGNOME detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis Ord. Pen.: uno presentato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, attinente alla parte in cui era stato consentito al detenuto di trascorrere nella saletta di socialità le due ore previste invece per il passeggio all’aria aperta, e uno presentato da COGNOME attinente alla parte in cui erano state dichiarate inammissibili la richiesta di
restituzione di una sua sedia in plastica in deposito presso altra Casa circondariale e la richiesta di consegna di dolciumi e fazzolettini ai familiari durante i colloqui.
Il Tribunale di Sorveglianza ha accolto, in primo luogo, il reclamo del D.A.P., osservando che laddove il detenuto non intenda fruire delle due ore d’aria previste dalla normativa in funzione delle esigenze di salute del detenuto – deve permanere nella camera detentiva, in quanto la frequentazione della sala socialità è limitata ad un’ora, nella quale il detenuto incontra gli altri reclusi, mentre la sala socialità non può fungere da luogo alternativo per espiare una parte della pena in solitudine. Peraltro, è ragionevole ritenere – ha osservato l’ordinanza – che il servizio di sorveglianza sia organizzato in relazione alla giornata-tipo e non debba subire stravolgimenti per un solo detenuto che occupi la sala socialità, così determinando un disservizio; deve tenersi conto, inoltre, che anche nelle giornate di pioggia è garantito, per la fruizione delle ore d’aria, un idoneo riparo.
E’ stato rigettato, invece, il reclamo di COGNOME, perché il Tribunale di Sorveglianza ha osservato, da un lato, che è onere del detenuto proprietario del bene, il quale non l’ha fatto, inoltrare istanza alla Direzione del carcere di provenienza, e, dall’altro, che il detenuto non ha un diritto soggettivo a consegnare dolciumi ai congiunti all’inizio del colloquio e a consumarli durante il colloquio stesso.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore di COGNOME COGNOME articolandolo in tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 35-bis e 83, comma 2, DPR n. 230 del 2000.
Lamenta che la motivazione dell’ordinanza impugnata sulla richiesta di restituzione della sedia è state resa in violazione dell’art. 83, comma 5, DPR n. 230 del 2000, il quale prevede che gli oggetti di spettanza del detenuto che non siano consegnati alla scorta o inclusi nel bagaglio personale devono essere trasmessi “nel più breve tempo possibile” dalla Direzione dell’istituto di provenienza. La trasmissione, dunque, non è subordinata alla presentazione di un’istanza, che comunque il detenuto ha presentato senza ricevere risposta.
2.2 Con il secondo motivo, deduce ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. artt. 1 e 35-bis Ord. Pen., 125, comma 3, cod. proc. pen.
Rileva che la motivazione di diniego fondata sulla possibile interferenza dell’apertura delle confezioni con l’ascolto del colloquio contrasta con la motivazione del Magistrato di Sorveglianza, nella quale era stato ricordato che l’apertura è possibile nei colloqui con i minori.
Il rigetto contrasta, altresì, con la sentenza n. 186/2018 della Corte cost., la quale ha affermato che non è consentito l’impiego di misure più restrittive nei confronti di singoli detenuti rispetto alle regole che valgono per tutti. Il collegio invece, non si pronuncia sulla ragionevolezza di un divieto che valga solo per i familiari dei detenuti assoggettati al regime di cui all’art. 41 -bis Ord. Pen.
2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 3 e 32 Cost., 16, commi 1 e 4, DPR n. 230 del 2000.
La motivazione sul diniego della fruizione della sala socialità non si confronta con il tenore della istanza del detenuto, il quale aveva chiesto di utilizzarla in caso di pioggia, non in via esclusiva ma con gli altri detenuti, a causa del fatto che la tettoia di riparo dalla pioggia è ridotta, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale di Sorveglianza, peraltro in contrasto con quanto aveva rilevato il Magistrato di Sorveglianza a seguito di un sopralluogo personale. Intesa in questo senso corretto la richiesta del detenuto, anche le considerazioni dell’ordinanza impugnata sull’organizzazione della sorveglianza sarebbero superate, perché, anzi, l’impegno sarebbe dimezzato, giacché in sala si può permanere un’ora anziché due.
Con requisitoria scritta in data 15.7.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto è da ritenersi che l’ordinanza impugnata abbia correttamente affermato la non fungibilità tra ora d’aria e sala socialità, aventi finalità diverse, e ricostruito le modalità di fruizione dei colloqui e d restituzione della sedia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato per le ragioni di seguito esposte.
Quanto al primo motivo, il Magistrato di Sorveglianza, pronunciando sull’originario reclamo proposto da COGNOME ex art. 35 -bis L. n. 354 del 1975, non ha disconosciuto il diritto del detenuto trasferito di ottenere gli oggetti di sua proprietà, ma ha osservato che non risultassero sue istanze di trasmissione degli oggetti stessi dal carcere di provenienza, in mancanza delle quali doveva ritenersi che non si fosse verificata alcuna violazione del diritto e che, pertanto, non fosse proponibile il reclamo ex art. 69, comma 6, L. n. 354 del 1975.
A sua volta, il Tribunale di Sorveglianza, nel respingere il reclamo del detenuto avverso tale provvedimento, ha ribadito che sostanzialmente l’esercizio del diritto da parte del detenuto richiedesse la previa formulazione di una apposita istanza
alla Direzione del carcere di provenienza, che COGNOME non ha dato tuttavia prova di avere presentato.
Dunque, né l’una, né l’altra autorità giudiziaria hanno formulato affermazioni contrarie alle disposizioni regolamentari di cui all’art. 83 d.P.R. n. 230 del 2000.
Piuttosto, i provvedimenti reclamati hanno rilevato, in modo del tutto ragionevole e congruo, la necessità di una specifica istanza per dare avvio al procedimento di restituzione.
Giacché il reclamo ex art. 69, comma 6, Ord. Pen. è proponibile in caso di attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti, l’istanza di restituzione, in difet di altri dati, serve anche per dare modo alla magistratura di sorveglianza di verificare che l’oggetto esista e sia di spettanza del detenuto: alla presentazione dell’istanza, possono seguire il provvedimento dell’amministrazione ovvero la sua inerzia, che a quel punto consentono il controllo giurisdizionale circa l’inosservanza di disposizioni regolamentari da cui consegua il pregiudizio concreto per il diritto del detenuto.
Senza l’istanza, invece, l’autorità giudiziaria, adita con lo strumento del reclamo, non dispone di elementi per dare eventualmente disposizione di espletare una condotta attuativa di un diritto affermato solo in astratto, che potrebbe rivelarsi in realtà non azionabile.
Peraltro, la necessità di una previa richiesta trova giustificazione anche nel disposto del comma 7 dell’art. 83 d.P.R. n. 230 del 2000, secondo cui le spese per la spedizione degli oggetti sono a carico dell’amministrazione fino al limite di dieci chilogrammi di peso: sicché, in difetto della manifestazione documentale di un effettivo interesse del detenuto alla trasmissione degli oggetti, l’amministrazione correrebbe il rischio di procedere a spedizioni che comportino un onere di carattere economico non giustificato.
Di conseguenza, non è ravvisabile nel caso di specie alcuna violazione di legge, come richiesto dall’art. 35-bis, comma 4-bis, Ord. Pen., giacché non v’è evidenza che il diritto del detenuto sia stato in concreto pregiudicato con un provvedimento negativo di rigetto della restituzione dell’oggetto o di disconoscimento del suo diritto alla restituzione.
Anche in relazione al secondo motivo di ricorso, non è ravvisabile alcuna violazione di legge, nemmeno sotto la specie della violazione dell’art. 125 cod., proc. pen., espressamente evocata dal ricorrente, in quanto la motivazione dell’ordinanza impugnata non è affatto mancante dei requisiti minimi di esistenza e non è meramente apparente.
Al contrario, il Tribunale di Sorveglianza e, prima ancora il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza alla cui conferma procede, fanno corretta applicazione
dell’art. 41 -bis, comma 2 -quater, lett. b), L. n. 354 del 1975, il quale impedisce il passaggio di oggetti nel corso dei colloqui.
Nella vicenda di specie, trattandosi di colloqui con persona maggiorenne, non si verte in alcuno dei casi in cui siano ravvisabili ragioni per disapplicare la circolare DAP del 2/10/2017, in virtù della quale l’amministrazione non ha consentito la consegna di beni alla compagna del detenuto all’inizio o nel corso del colloquio.
La deroga più volte affermata anche dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla consegna di dolciumi o giocattoli ai minori infradodicenni trova la sua ratio, in realtà, in ragioni di bilanciamento tra le esigenze di sicurezza e il diritt del detenuto di mantenere e coltivare il rapporto affettivo con i familiari infradodicenni (Sez. 1, n. 23433 del 2/5/2024, Ministero della Giustizia in proc. COGNOME, Rv. 286679 – 01; Sez. 1, n. 47186 del 18/11/2021, Ministero della Giustizia in proc. COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 28142 del 25/6/2021, Ministero della Giustizia in proc. COGNOME, non mass.), con la conseguenza che il riconoscimento della possibilità di consegnare il regalo al minore sin dall’inizio del colloquio è funzionale alla esigenza di consentire l’instaurazione di una più stretta relazione interpersonale e di rendere più significativo l’incontro con il detenuto.
I provvedimenti reclamati hanno dato adeguatamente conto che tale esigenza non ricorre nel caso di colloqui con persone maggiorenni e che, pertanto, la pretesa equiparazione di disciplina tra le due tipologie di colloqui non è giustificata, in quanto le modalità esecutive degli incontri tra il detenuto e il congiunto di maggiore età non sono suscettibili di determinare alcuna lesione di un diritto fondamentale.
Destituita di fondamento, poi, è ogni doglianza del ricorrente circa una presunta disparità di trattamento riveniente da un divieto che valga solo per i familiari dei detenuti sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41 -bis L. n. 354 del 1975.
Qui basti ricordare che la previsione da parte del legislatore di un regime dei colloqui differenziato rispetto a quello ordinario risponde alla peculiare esigenza di limitare le possibilità per il detenuto di qualificata pericolosità sociale di mantenere contatti con l’ambiente esterno all’istituto e con l’organizzazione di appartenenza: questa esigenza si è ragionevolmente tradotta, tra l’altro, nella previsione di strumenti di controllo dei comportamenti tenuti dai partecipanti ai colloqui e di accorgimenti funzionali ad ostacolare in senso fisico il trasferimento di oggetti tra i colloquianti.
Quanto al terzo motivo, in disparte la censura relativa alla inosservanza delle norme costituzionali che non può formare oggetto della denuncia di violazione di legge (Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, COGNOME, n.m. sul punto; Sez.
2, n. 12623 del 13/12/2019, dep. 2020, Leone, Rv. 279059 – 01), deve ritenersi che non sussista la violazione – lamentata dal ricorrente – dell’art. 16 d.P.R. n. 230 del 2000, il quale al comma 4 prevede che gli spazi destinati alla permanenza all’aperto debbano offrire possibilità di protezione dagli agenti atmosferici.
Nel caso di specie, si rileva dal provvedimento del Magistrato di Sorveglianza che la Direzione dalla Casa circondariale di Nuoro abbia comunicato, su richiesta dell’autorità giudiziaria, che il locale passeggi sia munito di apposita tettoia, idonea a riparare i detenuti da eventuali intemperie durante la fruizione dell’ora d’aria; l’ordinanza impugnata ha espressamente dato atto di tale circostanza per fondare la sua decisione di accoglimento del reclamo del DAP.
Altrettando adeguatamente, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha richiamato la differente funzione delle ore d’aria, da un lato, e dell’ora di socialità, dall’altro, per motivare in modo congruo la impossibilità di convertire le une nell’altra.
A tal proposito, più volte questa Corte – chiamata a pronunciarsi sulla speculare situazione in cui era stata l’Amministrazione penitenziaria a convertire lo svolgimento della seconda ora d’aria nella sale destinate alla socialità – ha affermato che la permanenza all’aperto e la socialità devono essere tenute distinte, in quanto preordinate alle differenti finalità, rispettivamente, di tutelare la salute e di garantire il soddisfacimento delle esigenze culturali e relazionali dei detenuti (Sez. 1, n. 50847 del 17/11/2023, Ministero della Giustizia, Rv. 285662 – 01; Sez. 1, n. 17580 del 28/2/2019, Casa circondariale di Sassari, Rv. 275333 – 01).
Tale opzione ermeneutica è improntata alla netta differenziazione concettuale tra l’interesse del detenuto alla fruizione di spazi all’aperto (interesse al mantenimento del benessere psicofisico) e l’interesse tutelato mediante le attività espletabili all’interno delle salette (interesse di natura risocializzante).
Dunque, i due istituti non possono essere sovrapposti e l’ora di socialità non può essere considerata come una modalità di fruizione delle ore di permanenza all’aperto: tale principio è stato bene sviluppato nell’ordinanza impugnata, la quale ha appropriatamente motivato circa il fatto che la sala socialità non è un’alternativa alla camera detentiva quale luogo di espiazione della pena e che la sua fruizione ha un senso solo ove utilizzata da più detenuti, conformemente alla sua funzione di favorire le relazioni con gli altri soggetti ristretti.
Sulla base di tali premesse, il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente affermato che, laddove il detenuto non intenda beneficiare dell’ora d’aria, deve permanere nella camera detentiva, anche sulla base della ragionevole considerazione che una diversa soluzione comporterebbe uno stravolgimento della organizzazione del servizio di sorveglianza, costretto sostanzialmente a “sdoppiarsi”.
Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 1’11/10/2024