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Regime 41-bis: limiti alla cottura cibi in cella

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di un detenuto in regime 41-bis contro le limitazioni orarie per l’uso di fornellino e pentolame. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che tali limitazioni sono legittime se basate su concrete esigenze organizzative e di sicurezza, e non costituiscono una misura discriminatoria o vessatoria, anche se diverse da quelle previste per i detenuti comuni.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Regime 41-bis e Diritti dei Detenuti: Legittimi i Limiti Orari per Cucinare in Cella

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25382/2025, è tornata a pronunciarsi su un tema delicato che riguarda i diritti dei detenuti, in particolare quelli sottoposti al regime 41-bis. La questione centrale riguarda la legittimità delle restrizioni orarie imposte dall’amministrazione penitenziaria per la cottura dei cibi all’interno delle camere di detenzione. La pronuncia chiarisce il confine tra legittima regolamentazione e trattamento discriminatorio, offrendo importanti spunti di riflessione sull’equilibrio tra esigenze di sicurezza e diritti fondamentali della persona.

I Fatti del Caso: La Contestazione del Detenuto

Un detenuto, ristretto in un istituto penitenziario in regime 41-bis, presentava reclamo contro una circolare interna che limitava l’utilizzo di fornellino e pentolame a una specifica fascia oraria: consegna alle ore 7 del mattino e ritiro alle ore 20. A sostegno del suo ricorso, il detenuto lamentava l’assenza di ragioni di sicurezza che potessero giustificare tale limitazione, evidenziando come questa configurasse un trattamento deteriore e ingiustificatamente più restrittivo rispetto a quello riservato ai detenuti “comuni”, ai quali non era imposto alcun limite orario.

Secondo il ricorrente, tale differenziazione violava i principi costituzionali di uguaglianza (art. 3 Cost.) e la finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.), risolvendosi in una misura puramente vessatoria. Il Tribunale di Sorveglianza, tuttavia, confermava la legittimità del provvedimento, motivando la decisione sulla base di esigenze organizzative. Contro questa ordinanza, il detenuto proponeva ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte e la disciplina del regime 41-bis

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Gli Ermellini hanno ribadito l’orientamento, già consolidato, secondo cui la possibilità per i detenuti di accedere ai piccoli gesti della vita quotidiana, come la cottura dei cibi, è un diritto riconosciuto anche a chi si trova in regime differenziato, come sancito dalla Corte Costituzionale con la storica sentenza n. 186 del 2018. Tuttavia, questo non implica l’esistenza di un diritto assoluto e non regolamentato.

L’amministrazione penitenziaria conserva un potere organizzativo per disciplinare le modalità di esercizio di tale attività, anche attraverso la fissazione di fasce orarie. La legittimità di tale regolamentazione è però condizionata: non deve ripristinare quella maggiore afflittività del trattamento detentivo che la stessa Corte Costituzionale ha già dichiarato illegittima.

Le motivazioni

Il punto cruciale della motivazione della Cassazione risiede nella valutazione della giustificazione addotta per la differenziazione di trattamento tra detenuti comuni e quelli in regime 41-bis. La Corte ha ritenuto che una diversità di disciplina non sia di per sé discriminatoria, a patto che sia sorretta da ragioni concrete e non si riveli, in concreto, vessatoria.

Nel caso di specie, il Tribunale di Sorveglianza aveva motivato la decisione sulla base di due fattori:

1. Esigenze organizzative e di sicurezza: la limitazione oraria per i detenuti al 41-bis è legata all’attenuazione dei controlli durante le ore notturne.
2. Diverse condizioni abitative: i detenuti comuni, spesso alloggiati in celle multiple, hanno la possibilità di cucinare per tutta la giornata proprio per evitare che, se tutti cucinassero contemporaneamente, le celle diventino disagevoli e insalubri. Questa esigenza non sussiste per i detenuti al 41-bis, che si trovano in celle singole.

La Cassazione ha ritenuto questa motivazione sufficiente e non manifestamente illogica, affermando che il ricorrente non aveva fornito elementi specifici per dimostrare che tali ragioni fossero pretestuose o irragionevoli. La limitazione, pertanto, non è stata considerata una mera “scelta di penalizzazione”, ma una disposizione inserita in un quadro organizzativo più ampio, rispettoso dei principi costituzionali.

Le conclusioni

La sentenza consolida un importante principio: la regolamentazione della vita detentiva, anche per aspetti quotidiani come la cottura dei cibi, deve sempre bilanciare le esigenze di ordine e sicurezza dell’istituto con il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti. Le differenze di trattamento tra diverse tipologie di detenuti sono ammissibili, ma solo se giustificate da ragioni oggettive, verificabili e non discriminatorie. La decisione di imporre fasce orarie ai detenuti in regime 41-bis è legittima se l’amministrazione è in grado di dimostrare che essa risponde a concrete necessità organizzative e non rappresenta una forma di afflizione ingiustificata.

È legittimo limitare l’orario per cucinare in cella per un detenuto in regime 41-bis?
Sì, è legittimo. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’amministrazione penitenziaria può regolamentare le modalità di esercizio del diritto di cucinare in cella, anche attraverso la previsione di fasce orarie, a condizione che tale regolamentazione non si traduca in una misura eccessivamente afflittiva che annulli di fatto il diritto stesso.

La previsione di orari diversi per i detenuti in regime 41-bis rispetto ai detenuti comuni è discriminatoria?
Non necessariamente. Una differenziazione è ammissibile se è sorretta da una giustificazione concreta e non è meramente vessatoria. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto valida la giustificazione basata su esigenze organizzative, come l’attenuazione dei controlli in orario notturno, e sulle diverse condizioni abitative tra le due categorie di detenuti.

Quale criterio usa la Corte per valutare la legittimità di queste restrizioni?
La Corte verifica se la restrizione sia un legittimo esercizio del potere organizzativo dell’amministrazione penitenziaria o se, invece, sia una misura irragionevole, priva di giustificazione e quindi discriminatoria. Il trattamento previsto per i detenuti “comuni” all’interno dello stesso istituto viene usato come parametro di riferimento per stabilire la legittimità della previsione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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