Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38644 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38644 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Noto il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/04/2024 del TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarar l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 18 aprile 2024 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo presentato dal detenuto NOME COGNOME contro i decreto del Ministro della Giustizia dell’8 novembre 2022 che ha applicato nei suo confronti il regime detentivo differenziato di cui all’art. 41 -bis ord. pen.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito enunciati nei l strettamente necessari ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc.
Con il primo motivo deduce violazione di legge perché il Tribunale ha motivato sull’esistenza delle condizioni legittimanti la proroga del regime detentivo differenziato di cui al comma 2-bis dell’art. 41-bis ord. pen. mentre nel caso in esame si tratta di reclamo contro il provvedimento applicativo della misura, e non contro quello di proroga.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge perché il Tribunale ha motivato sull’esistenza delle condizioni legittimanti il regime differenziato senza introdurre elementi sopravvenuti rispetto alla ordinanza del 7 aprile 2017 con cui il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva revocato la stessa misura che in precedenza era già stata disposta a carico dell’interessato.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge perché mancavano nel caso in esame i presupposti per disporre il regime detentivo differenziato.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge per motivazione apparente sull’esistenza dei presupposti per disporre il regime detentivo differenziato.
Con il quinto motivo deduce violazione di legge per mancanza di motivazione sull’esistenza di collegamenti attuali tra il detenuto e la criminalità organizzata evidenziata anche dal positivo percorso detentivo dell’interessato.
Con il sesto motivo deduce violazione di legge, anche previa questione di legittimità costituzionale, perché l’ordinanza è stata emessa dal Tribunale di sorveglianza di Roma, cui con legge ordinaria è stata attribuita la competenza a decidere i reclami contro i provvedimenti applicativi del regime differenziato, quindi con legge ordinaria è stato, in definitiva, istituito un giudice speciale che ha sottratto competenza al giudice naturale, che è il Tribunale di sorveglianza del luogo di detenzione del detenuto.
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, AVV_NOTAIO, ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo è infondato, perché, pur se effettivamente l’ordinanza impugnata parla sempre di proroga, si tratta di un errore che non rende il provvedimento impugnato non conforme allo schema legale dell’ordinanza che decide un reclamo contro un provvedimento applicativo del regime differenziato, atteso che la differenza di contenuto tra il decreto applicativo e la proroga consiste nella circostanza che nel decreto applicativo deve darsi conto dell’esistenza di “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione
criminale, terroristica o eversiva” (art. 41-bis, comma 2, ord. pen.), mentre nel provvedimento di proroga deve risultare che “la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno” (art. 41-bis, comma 2-bis, ord. pen.), e la ordinanza impugnata, in particolare, a pag. 6, si preoccupa di verificare che nel decreto ministeriale vi fossero elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti tra il detenuto ed un’associazione criminale, in quanto spiega che dalle conversazioni intercettate emerge che NOME durante la detenzione in regime ordinario ha continuato a dirigere le strategie del clan familiare e veicolare direttive ai sodali.
2. Anche il secondo motivo è infondato.
NOME era già stato sottoposto in passato a regime differenziato, che era poi venuto meno a seguito di ordinanza del Tribunale di sorveglianza del 7 aprile 2017. Il regime differenziato era stato poi riapplicato al detenuto con decreto dell’8 novembre 2022.
Il ricorso deduce che, per casi come quello in esame, l’art. 41-bis, comma 2sexies, ord. pen. dispone “se il reclamo viene accolto, il Ministro della giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi del comma 2, deve, tenendo conto della decisione del Tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo”, e che nel caso in esame mancherebbero tali elementi nuovi.
L’argomento è infondato, perché, in realtà, l’ordinanza impugnata nelle pagine 5 e 6 si preoccupa proprio di individuare gli elementi sopravvenuti rispetto alla decisione del Tribunale di sorveglianza di sei anni prima, e considera decisive, a tal fine, le acquisizioni istruttorie che emergono dalla ordinanza cautelare del 30 aprile 2021, pacificamente successive alla ordinanza del Tribunale di sorveglianza del 7 aprile 2017, e le conversazioni intercettate una volta che il detenuto era tornato in regime ordinario.
Il terzo ed il quarto motivo, che possono essere affrontati congiuntamente, riguardano l’esistenza dei presupposti per applicare il regime differenziato.
In essi si sostiene che il significato dei dialoghi intercettati in carcere non è univoco, che le direttive che NOME dà alla moglie nella gestione degli affari non sono necessariamente direttive relative ad affari criminali, che è provata l’esistenza dell’azienda agricola della famiglia del ricorrente, che NOME non può essere stato così ingenuo, dopo il ritorno in regime detentivo ordinario, da veicolare direttive criminali nel corso dei colloqui con i familiari pur potendo immaginare di essere intercettato, e che in dibattimento nel controesame dell’ufficiale di p.g. questi avrebbe confermato che i dialoghi non hanno significato
univoco, e che non vi sono, d’altronde, riscontri dell’esecuzione da parte dei familiari delle direttive ricevute da NOME.
Questi argomenti non sono fondati.
Si ricorda preliminarmente che in questa materia il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge in forza della disposizione espressa dell’art. 41-bis, comma 2-sexies, ord. pen., e che soltanto “la carenza totale o la mera apparenza della motivazione” (Sez. 1, n. 19093 del 09/05/2006, Strisciuglio, Rv. 234179) può rifluire nella violazione di legge.
Nel caso in esame, l’ordinanza impugnata non si presta ad essere considerata totalmente carente di motivazione o provvista di motivazione meramente apparente.
Nell’ordinanza impugnata il Tribunale di sorveglianza, infatti, evidenzia “le intercettazioni da cui si desume che NOME nel corso della detenzione non ha abdicato a dirigere il consesso perpetuando nelle strategie verso obiettivi specifici, veicolando ordine di informazioni attraverso i familiari ed occupandosi dei trattamenti stipendiali degli affiliati. In tale quadro le questioni sulla formazione della prova in dibattimento (…) non incidono sulla solidità dell’impianto indiziario , confermato in sede di riesame, e posto a fondamento del rischio concreto di mantenimento dei legami con l’esterno”; il Tribunale aggiunge anche che “le condotte di analoga portata del figlio del NOME corroborano la non cessata regia criminale esercitata dal predetto dal carcere”, il Tribunale sottolinea ancora che “neppure dal versante della struttura familiare risulta affievolita la forza del vincolo proveniente da NOME e il radicamento illecito delle attività del clan in base ad un assetto convergente delle fonti che rende non rilevante che la moglie di NOME sia stata assolta da una singola vicenda estorsiva del 2017, e non verosimile che l’ambito di azione della famiglia sia rimasto negli anni relegato all’azienda di allevamento del bestiame”.
Nella ordinanza impugnata il Tribunale aggiunge anche che “le vicende processuali delle misure di prevenzione non elidono la caratura criminale del gruppo COGNOME posto che l’annullamento del decreto del Tribunale di Catania del 28 giugno del 2019 è dipeso dal fatto che il predetto era all’epoca già sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza”, e si tratta di circostanza che in effetti risulta dalla lettura di pagina 5 del decreto della Corte d’appello di Catania del 8 giugno 2022 depositata in allegato al ricorso.
Il ricorso deduce che le conversazioni intercettate non hanno significato univoco e che poteva trattarsi di direttive ai familiari nella gestione delle aziende di famiglia, ma si tratta di argomento che non introduce un vizio di violazione di legge attenendo al significato da dare alle conversazioni intercettate che non è considerato sindacabile in sede di legittimità neanche sotto il profilo – qui, peraltro,
non consentito – del vizio di motivazione, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite” (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337).
Il ricorso deduce che NOME non può essere stato così ingenuo, dopo il ritorno in regime detentivo ordinario, da veicolare direttive criminali nel corso dei colloqui con i familiari pur potendo immaginare di essere intercettato, ma si tratta di argomento puramente ipotetico e congetturale, non idoneo ad evidenziare alcuna violazione di legge nel provvedimento impugnato.
Il ricorso deduce inoltre che in sede di controesame il teste di polizia giudiziaria avrebbe riconosciuto che le conversazioni intercettate non hanno contenuto univoco, ma si tratta di argomento che non è apprezzabile in sede di legittimità, sia per i limiti circoscritti del sindacato di violazione di legge, sia perc il ricorso allega soltanto il verbale del controesame del testimone di polizia giudiziaria ma non quello dell’esame, non consentendo, pertanto, di valutare nella sua interezza le dichiarazioni rese dal testimone, di cui peraltro neanche viene indicato un passaggio specifico della deposizione (il verbale di udienza del 30 giugno del 2023 davanti al Tribunale di Siracusa, in cui viene effettuato il controesame del testimone di polizia giudiziaria NOME COGNOME, è composto di 133 pagine) che dovrebbe in tesi essere favorevole alle ragioni del ricorrente.
In definitiva, gli argomenti contenuti nel terzo e quarto motivo sono infondati.
È infondato anche il quinto motivo che lamenta la mancanza di motivazione sull’esistenza di collegamenti attuali tra il detenuto e la criminalità organizzata, che sarebbe evidenziata anche dal positivo percorso detentivo dell’interessato.
Il motivo è infondato, perché nell’ordinanza la valutazione sull’esistenza di collegamenti attuali tra il detenuto e la criminalità organizzata, in realtà, è contenuta, ed è stata riportata in parte qua già nel punto 3 di questa sentenza, peraltro in un contesto di clan a base familiare, di cui il ricorrente è il vertic riconosciuto, e con cui pacificamente non risulta alcuna interruzione dei rapporti.
Il ricorso valorizza il positivo percorso penitenziario del detenuto, caratterizzato anche da encomi, ma l’argomento è infondato.
L’ordinanza impugnata prende posizione a pag. 7 su tale circostanza, nel senso che si tratta di elementi non decisivi da cui non è possibile desumere l’esistenza o meno di collegamenti criminali attuali, perché un soggetto può avere, in effetti, un comportamento corretto in carcere ma poi continuare ad avere collegamenti con la criminalità organizzata.
Il sesto motivo contesta la competenza speciale del Tribunale di Sorveglianza di Roma nella decisione del reclamo contro il provvedimento
applicativo del regime differenziato di cui all’art. 41-bis ord. pen. e quelli di proroga dello stesso, competenza introdotta dall’art. 2, comma 25, lett. g), I. 15 luglio 2009 n. 94, che, a giudizio del ricorrente, integrerebbe violazione dell’art. 102 Cost.
L’argomento è manifestamente infondato, in quanto già scrutinato dallo stesso giudice delle leggi, che ha ritenuto che “la previsione d’una speciale competenza territoriale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non viola il divieto d’istituzione di giudici straordinari o speciali” (Corte cost., ord 25/10/1999, n. 410).
In definitiva, il ricorso è nel complesso infondato. Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17 settembre 2024.