Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11166 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11166 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 05/03/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 750/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a PALERMO il 18/05/1954 avverso l’ordinanza del 07/11/2024 del TRIBUNALE DI RAGIONE_SOCIALE di Roma
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Proc. Gen. Dr. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Dato avviso al difensore;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto del Ministro della giustizia in data 18 ottobre 2023 con il quale Ł stato prorogato per la durata di anni due il regime detentivo differenziato dell’articolo 41bis legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.), già applicatogli nel 1996 all’atto dell’arresto, essendo stato condannato per avere rivestito un ruolo apicale nell’associazione mafiosa ‘cosa nostra’, per avere concorso in cinque omicidi, due stragi (Capaci e INDIRIZZO) e altri reati.
Ricorre NOME COGNOME a mezzo dei difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, sviluppando quattro motivi.
2.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in relazione agli artt. 41bis ord. pen. e 7 Convenzione EDU, per non essere stata applicata, nella valutazione della disposta proroga, la disciplina dell’art. 41bis ord. pen. nella formulazione vigente prima delle modifiche introdotte dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, trattandosi di soggetto detenuto per fatti commessi in data anteriore al 2009, alla luce del principio espresso dalla Corte costituzionale con sentenza n. 32 del 2020 in merito alla irretroattività delle norme penitenziarie che influiscono sulla libertà del detenuto.
Anche l’attuale disciplina del regime ex art. 41bis ord. pen., introdotta a seguito delle modifiche apportate dal decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (convertito con modificazioni dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199), Ł peggiorativa delle condizioni di detenzione là dove introduce la
preclusione assoluta all’accesso a qualsiasi beneficio, sicchØ non può essere applicata retroattivamente alle condanne relative a fatti anteriori al 1996.
D’altra parte, l’accentramento sul Tribunale di sorveglianza di Roma della competenza in merito ai reclami sui provvedimenti ministeriali di applicazione del regime dell’art. 41bis ord. pen. costituisce un ulteriore frustrazione dei diritti del detenuto, poichØ sottrae la valutazione delle complessive condizioni del detenuto al Magistrato di sorveglianza competente per il luogo di detenzione, in violazione dell’art. 27 Cost.
Tali restrittive modifiche al regime speciale, succedutesi a partire dalla riforma del 2009 e ulteriormente aggravatesi con quella del 2022, determinano una trasformazione della natura della pena che incide concretamente sulla libertà personale del condannato.
2.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge, in relazione agli artt. 41bis ord. pen. e 125 cod. proc. pen., con riguardo alla mancata risposta alle censure introdotte con il reclamo, in merito alla: vetustà degli elementi valutati dal decreto (i fatti risalgono a prima del 1996); assenza di nuove incriminazioni durante i ventisette anni di applicazione del regime; scissione del gruppo mafioso cui in origine apparteneva il ricorrente (il ‘mandamento’ di Santa Maria di Gesø, cui apparteneva il ricorrente, Ł stato assorbito in quello di Villagrazia di Carini, con conseguente riorganizzazione della ‘commissione provinciale’ di ‘cosa nostra’ avvenuta già nel 2018); assenza di valutazione del percorso detentivo, con risocializzazione e condotta positiva (rivisitazione del passato; richiesta di partecipazione a un percorso di giustizia riparativa).
Il Tribunale si Ł limitato a un controllo formale del decreto, mentre doveva sindacarlo nel merito alla luce delle doglianze difensive, come imposto dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 18434/2021).
Il Tribunale ha fatto leva su presunzioni assolute, circa la presunta permanenza del vincolo associativo, che sono in contrasto con i principi dettati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 253 del 2019; sentenza n. 162 del 2024), così, pure, ribaltando l’onere della prova circa la sussistenza della pericolosità, onere della prova che, invece, grava sull’autorità amministrativa che limita i diritti del detenuto.
2.3. Il terzo motivo denuncia la ‘incostituzionalità dell’art. 41bis , comma 2, l. n. 354/1975, per violazione degli artt. 3 e 13, comma II, Cost.’
Si chiede alla Corte di cassazione di sollevare la questione di legittimità costituzionale con riguardo all’attribuzione al Ministro della giustizia organo dell’esecutivo del potere di limitare la libertà personale, potere che spetta unicamente all’autorità giudiziaria.
Il decreto applicativo, infatti, invoca la natura di misura di prevenzione del provvedimento adottato, così rendendo palese il contrasto con la Costituzione, poichØ il giudice delle leggi ha chiarito che la libertà personale Ł violata da ogni misura che comporti coazione fisica della persona (sentenza n. 203 del 2024), come accade per il regime speciale che isola l’essere umano, lo sottopone a pesantissime restrizioni e gravosi obblighi e limitazioni della sua libertà personale.
2.4. Il quarto motivo denuncia la ‘incostituzionalità dell’art. 41bis , comma 2quater , l. n. 354/1975, per violazione degli artt. 3, 13 e 27 Cost., nonchØ dell’art. 117 Cost., in rapporto all’art. 3 CEDU’
La disposizione dell’art. 41bis , comma 2quater , lett. fbis , ord. pen. stabilisce l’esclusione dei detenuti sottoposti al regime differenziato dall’accesso ai programmi di giustizia riparativa, cui il legislatore assegna una funzione centrale e universale nel sistema penale, indipendentemente dalla gravità del reato e dalla posizione del reo, come pure stabilito dalla Direttiva 2012/29/UE e la Raccomandazione CM/Rec (2018)8 del Consiglio d’Europa. Tale esclusione, quindi, palesa la incostituzionalità dell’art. 41bis ord. pen.
Ulteriore profilo di incostituzionalità si riscontra nel fatto che i detenuti sottoposti al regime
differenziato sono gravati dall’onere di fornire un ‘elemento nuovo’ per superare la presunzione di pericolosità, ma ciò Ł impedito dalle preclusioni imposte con il regime in discorso, tanto che si determina un circolo vizioso: il detenuto, isolato per oltre venti anni e privo di opportunità di trattamento, Ł impossibilitato a dimostrare il proprio cambiamento sociale e personale proprio a causa del regime del quale Ł disposta la proroga.
I principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 41133/2024), secondo la quale il detenuto non può essere ammesso ai programmi di giustizia riparativa, contrastano con la Risoluzione ONU 2002/12, la Direttiva 2012/29/UE e la Raccomandazione CM/Rec (2018)8 del Consiglio d’Europa che sottolineano che la giustizia riparativa non Ł solo un diritto del reo, ma anche della vittima, che si vede così preclusa la possibilità di ottenere riparazione e riconciliazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che propone in larga parte censure inammissibili perchØ generiche e manifestamente infondate e comunque non consentite, Ł nel complesso infondato, mentre sono irrilevanti e manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale adombrate dal ricorso.
La compatibilità costituzionale del regime differenziato Ł già stata varie volte esaminata sotto i profili oggi riproposti dal ricorso.
2.1. ¨ già stata giudicata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41bis ord. pen., in relazione agli artt. 117 Cost. e 3 CEDU, non sussistendo, anche secondo la giurisprudenza consolidata della Corte EDU, alcuna incompatibilità strutturale tra l’adozione di un regime carcerario differenziato (dettato dalla necessità di neutralizzare l’allarme sociale derivante dal mantenimento da parte del detenuto di relazioni con l’esterno del carcere) e i contenuti della citata norma convenzionale, attesa la natura temporanea della misura, l’esistenza per il detenuto di spazi minimi e incomprimibili di relazionalità e il controllo giurisdizionale sulle ragioni giustificatrici del provvedimento originario e delle eventuali sue proroghe e sulla tipologia delle limitazioni imposte, come già ampiamente chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 190 del 2010 (cfr. Sez. 1, n. 44149 del 19/04/2016, COGNOME, Rv. 268294 – 01).
¨ vano richiamare, per sostenere che le misure di sicurezza imposte con il regime differenziato costituiscano modalità di esecuzione della pena non applicabili ai reati anteriormente commessi, pronunce del giudice delle leggi che hanno esaminato questioni del tutto diverse (ad es. sentenza n. 203 del 2024), poichØ si Ł già ampiamente chiarito che la natura di dette misure non Ł quella sanzionatoria, inutilmente predicata dal ricorso, ma piuttosto quella di evitare il mantenimento di contatti con l’esterno mediante l’adozione di misure organizzative e di sicurezza che rientrano, per la temporaneità e le esigenze di sicurezza, nel novero delle legittime e opportune limitazioni alla libertà afferenti al trattamento detentivo.
2.2. Questa Corte regolatrice ha già chiarito che «Ł manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41bis , comma 2, ord, pen. per contrasto con gli artt. 3, 27 e 117 Cost. in relazione all’art. 3 CEDU, posto che, a seguito delle modifiche apportate all’art. 4bis ord. pen. dal d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, la presunzione di pericolosità del condannato all’ergastolo per reati ostativi non collaborante Ł divenuta relativa, essendo tenuto il giudice alla valutazione, nel merito, delle istanze di concessione di benefici penitenziari» (Sez. 1, n. 51407 del 30/11/2023, COGNOME, Rv. 285578 – 01).
Premesso che la novella del 2022, che il ricorso pretenderebbe di non applicare al ricorrente perchØ ritenuta piø gravosa, Ł, invece, piø favorevole, risulta erroneo il presupposto dal quale muove il ragionamento della difesa.
In disparte la pronuncia citata dal ricorrente (Sez. 1, n. 41133/2024) che costituisce un orientamento isolato, la questione secondo la quale sarebbe precluso al ricorrente l’accesso ai programmi di giustizia riparativa Ł irrilevante, quanto al regime differenziato cui Ł sottoposto, posto che il presente giudizio non riguarda affatto l’accesso a tali misure, ma la proroga del regime previsto dall’art. 41bis ord. pen.
Del resto, l’accesso alla giustizia riparativa non Ł affatto precluso.
¨ sufficiente ricordare, a ulteriore conforto della manifesta infondatezza e palese irrilevanza della questione agitata, che l’art. 1 del D.L. 162 del 2022, così come convertito nella L. 192 del 2022 ha modificato i commi 1 e 1 bis dell’art. 4bis ord. pen.
Il comma 1 ora, analogamente al passato, prevede che i benefici previsti dalla norma (tutti, non soltanto i permessi) possono essere concessi ai detenuti e internati che hanno commesso i reati c.d. ostativi di prima fascia quando questi collaborano con la giustizia a norma dell’art. 58ter ord. pen.
Il comma 1bis prevede l’ipotesi della mancata collaborazione e, in ossequio alla sentenza n. 259 del 2019 della Corte cost., stabilisce che la presunzione di pericolosità di cui al comma 1 ha natura relativa in quanto può essere superata se i detenuti e gli internati per i reati ostativi ivi elencati: a) dimostrino di avere adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento; b) alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere: -b1) l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato Ł stato commesso, -b2) il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile; c) pongano in essere iniziative a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.
A fronte dell’attuale formulazione, la distinzione normativa tra la mancata collaborazione volontaria e quella c.d. impossibile o inesigibile risulta essere venuta meno, tanto che il regime probatorio differenziato richiesto nei due casi per superare la presunzione relativa di pericolosità ha perso ragione di essere.
La norma, infatti, impone al giudice di fare riferimento a una griglia di criteri che complessivamente si compone in un unico, e particolarmente gravoso, standard probatorio nel quale, comunque, si deve tenere conto ‘delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione’.
L’art. 3 D.L. 162 del 2022 prevede la disciplina applicabile ai detenuti e internati la cui collaborazione sia impossibile o inesigibile e che hanno commesso i reati ostativi prima dell’entrata in vigore della modifica normativa. Per questa specifica ipotesi la disposizione transitoria stabilisce che al fine della concessione dei benefici il giudice di sorveglianza, seguita la procedura di cui al comma 2 dell’art. 4bis ord. pen., deve verificare che sia esclusa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e non anche che non sussista il pericolo che tali collegamenti siano ripristinati.
In virtø del tenore letterale della norma (‘i benefici di cui al comma 1 dell’articolo 4bis della citata legge n. 354 del 1975 e la liberazione condizionale possono essere concessi, secondo la procedura di cui al comma 2 dell’articolo 4 bis della medesima legge n. 354 del 1975, purchØ siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva’), infatti, si deve ritenere che il tema di prova sul quale si deve pronunciare il Tribunale di sorveglianza sia quello relativo all’esistenza o meno di contatti perduranti tra il detenuto
e il contesto associativo di provenienza e sia quindi circoscritto all’esclusione dell’attualità dei collegamenti (Sez. 1, n. 4012 del 28/5/2021, Di Piazza, n.m.).
2.3. Da quanto sopra emerge, quindi, la manifesta infondatezza e irrilevanza delle questioni sollevate dalla difesa.
Venendo alle doglianze sviluppate con i primi due motivi di ricorso, Ł bene ricordare che il provvedimento del Tribunale di sorveglianza, che decide sul reclamo avverso il decreto del Ministro della giustizia che applica o proroga il regime differenziato di cui all’articolo 41bis ord. pen, Ł impugnabile unicamente per violazione di legge.
Si Ł, da tempo, chiarito che «in tema di regime carcerario differenziato, Ł legittima la proposizione del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza per violazione di legge, in tale vizio ricomprendendosi, come mancanza della motivazione, tutti i casi nei quali essa appaia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare soltanto apparente o comunque non idonea – per evidenti carenze di coordinazione e per oscurità del discorso – a rendere comprensibile il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito» (Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, COGNOME, Rv. 230303), e che «non costituisce violazione di legge, unico vizio legittimante il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione o di proroga del regime previsto dall’art. 41bis della legge n. 354 del 1975, l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali il Tribunale di Sorveglianza non abbia ritenuto rilevanti gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa, ove i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti o fittizi» (Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2014, Trigila, Rv. 260805).
La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, chiarito che «ai fini della proroga della sospensione dell’applicazione delle regole di trattamento nei confronti dei soggetti condannati per taluno dei delitti menzionati dall’art. 41bis , comma 2, legge 26 luglio 1975 n. 354, la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, richiesta dalla norma, non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti» (Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279221).
Si Ł anche recentemente chiarito che «ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41bis legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della citata disposizione, si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime» (Sez. 1, n. 37887 del 27/06/2024, COGNOME, Rv. 287080 – 01).
3.1. Con specifico riferimento all’applicazione delle regole vigenti in epoca anteriore alla novella del 2009, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che «l’applicabilità del regime di detenzione differenziata a norma dell’art. 41bis , L. 26 luglio 1975 n. 354 per qualsiasi delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare le associazioni di tipo mafioso, indipendentemente dal riferimento ai delitti menzionati nell’art. 4bis , comma 1, della citata legge – come prevista dall’art. 2, comma 25, L. 15 luglio 2009 n. 94 (disposizioni in materia di sicurezza pubblica) – Ł consentita con effetto immediato anche con riferimento a fatti commessi prima della sua entrata in vigore, in forza del principio tempus regit actum » (Sez. 1, n. 41567 del 18/09/2009, COGNOME, Rv. 245045 – 01) e non vi sono ragioni per discostarsi da tale impostazione anche alla luce della sentenza n. 190 del 2010 della Corte Costituzionale che ha ribadito l’esistenza del controllo giurisdizionale sulla decisione ministeriale e l’applicabilità delle nuove disposizioni a tutti coloro che sono sottoposti al
regime differenziato.
3.2. Parimenti manifestamente infondata Ł la questione, che già molti anni fa aveva interessato gli operatori del diritto, della competenza unica nazionale del Tribunale di sorveglianza di Roma.
Si Ł da tempo chiarito che «in tema di regime detentivo differenziato, la competenza unica nazionale del Tribunale di sorveglianza di Roma Ł limitata ai provvedimenti ministeriali di sottoposizione del detenuto al trattamento previsto dall’art. 41bis della legge n. 354 del 1975, nonchØ a quelli di proroga o revoca dello stesso, e, quindi, alla verifica della sussistenza dei presupposti legittimanti il suo mantenimento, mentre permane la competenza del magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione, prevista in via generale dall’art. 677 cod. proc. pen., per le questioni riguardanti i profili applicativi delle singole restrizioni e la loro incidenza sui diritti soggettivi del detenuto» (Sez. 1, n. 37835 del 10/09/2015, Russo, Rv. 264622 – 01, la Corte ha dichiarato la competenza del Magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione, in relazione alla richiesta di fruire del prolungamento della durata del colloquio mensile con i familiari, proposta da persona ristretta in regime penitenziario differenziato; in senso conforme n.37836/15, 37837/15, 37838/15, 37839/15,37840/15, 37841/15).
3.3. Già si Ł detto al paragrafo n. 2 che l’attuale disciplina del regime ex art. 41bis ord. pen., introdotta a seguito delle modifiche apportate dal decreto-legge n. 162 del 2022 (convertito in legge n. 199 del 2022), non introduce affatto una preclusione assoluta all’accesso a qualsiasi beneficio penitenziario, sicchØ anche questa doglianza Ł manifestamente infondata, nØ presunzioni assolute di pericolosità, essendo, piuttosto, previsto che il detenuto possa allegare elementi idonei a escludere l’esistenza di collegamenti, elementi che, nel caso in esame, non risulta avere allegato.
Sono, del resto, infondate le censure che riguardano l’esame del reclamo proposto dall’interessato al Tribunale di sorveglianza in merito al decreto ministeriale di proroga del regime differenziato.
Non Ł affatto vero, oltre a ridondare nella denuncia del vizio di motivazione che non Ł consentita in questa sede, che il Tribunale di sorveglianza si sia limitato a un controllo formale del provvedimento di proroga, tanto Ł vero che ha fornito specifica risposta alle doglianze difensive che vengono oggi riproposte pedissequamente (vedi pag. 6 del ricorso) con l’odierno atto di ricorso.
Il Tribunale, in realtà, ha fornito una pertinente risposta, che non ridonda nella violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. unica doglianza ammissibile in relazione alla motivazione che deve essere graficamente assente o apparente , circa lo sviluppo delle compagini associative, che non hanno comportato alcuna modificazione del rilevantissimo ruolo ricoperto dal detenuto, che non ha mai manifestato alcun reale ed effettivo distacco dall’organizzazione e non ha mai neppure manifestato alcuna considerazione per le vittime (ciò anche a riprova della strumentalità della agitata questione concernente la giustizia riparativa), come pure logicamente desunto dalle condizioni della famiglia di origine che, nonostante sia priva di significativi redditi, conduce una vita agiata e sostiene economicamente in modo stabile il detenuto.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 05/03/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME