Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 31420 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 31420 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Palermo il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 30/11/2023 del Tribunale di Sorveglianza di Roma udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO per l’inammissibilità. A
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con ordinanza in data 30/11/2023, ha rigettato il reclamo avverso il decreto ministeriale del 4/4/2023 di proroga del regime di cui all’art. 41 bis ord. pen. disposto dal 27/4/2009 (in precedenza dall’ano DATA_NASCITA all’anno 2006) nei confronti di COGNOME NOMENOME
Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’interessato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 41 bis ord. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen. Nel primo motivo la difesa rileva ché vfribunale, prese le mosse da un’errata prospettiva, avrebbe omesso di verificare in concreto la sussistenza dei presupposti normativi che legittimano la proroga del regime detentivo di cui all’art. 41 bis ord. pen. Diversamente da quanto indicato nel provvedimento impugnato, infatti, il controllo che il Tribunale è chiamato a effettuare non è esclusivamente di tipo “esterno” e teso a verificare la logica e congruita della motivazione del decreto ministeriale quanto, piuttosto, è quello di verificare, in
concreto e sulla base degli elementi in atti, l’effettiva capacità del soggetto di mantenere contatti con l’esterno e impartire ordini qualora fosse sottoposto a un regime detentivo di minor rigore. Sotto altro profilo, poi, il Tribunale avrebbe omesso di acquisire alcuni li atti indicati dalla difesa che erano necessari a comprendere e a verificare l’attualità e la persistenza della capacità di intrattenere contatti con l’esterno.
2.2. Violazione di legge ed erronea applicazione dell’art. 41 bis ord. pen. in relazione agli artt. 4 bis ord. pen., 7 C.e.d.u. e alla L. 94 del 2009. Nel secondo motivo la difesa rileva che il Tribunale avrebbe erroneamente fatto riferimento all’attuale formulazione degli articoli 4 bis e 41 bis ord. pen. laddove, considerato che i reati commessi da COGNOME sono tutti antecedenti l’anno 2009, si sarebbero dovute applicare le norme vigenti sino all’entrata in vigore della L. 94 del 2009 allorché la normativa era più favorevole.
2.3. Incostituzionalità del combinato disposto degli artt. 4 bis e 41 bis ord. pen. per violazione degli artt. 3 e 27 cost., anche in relazione .all’art. 3 C.e.d.u., nella parte in cui precludono in forma assoluta ai detenuti ristretti in tale regime l’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione in carcere. Nel terzo motivo la difesa, facendo riferimento al contenuto della sentenza n. 32 del 2020 della Corte costituzionale, rileva che anche a seguito del D.L. 162 del 2022 il combinato disposto degli artt. 4 bis e 41 bis ord. pen. preclude in termini assoluti la concessione di benefici penitenziari ai detenuti e agli internati sottoposti al regime speciale di detenzione e che ciò, confermando l’effetto ostativo dell’ergastolo, contrasterebbe con gli articoli 3 e 27 cost., anche con riferimento alla C.E.D.U. La questione sarebbe rilevante anche per il ricorrente che a oggi ha trascorsi trenta anni in regime di 41 bis ord. pen. Tale trattamento, d’altro canto, violerebbe anche le convenzioni adottate in sede internazionale come le c.d. Mandela Rules che vietano che il condannato sia sottoposto all’isolamento indefinito e prolungato, con ciò intendendosi tutti i casi per cui il detenuto è confinato per almeno 22 ore al giorno e per un periodo superiore a 15 giorni.
In data 4 marzo 2024 sono pervenute in cancelleria le conclusioni scritte con le quali il AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO)/AVV_NOTAIO chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 41 bis ord. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen. evidenziando che Tribunale avrebbe omesso di verificare in concreto la sussistenza dei presupposti normativi che legittimano la proroga del regime detentivo di cui all’art. 41 bis ord. pen. in quanto avrebbe fatto riferimento a un errato criterio di valutazione, così anche omettendo di acquisire alcuni gi atti indicati dalla difesa che erano necessari a comprendere e a verificare l’attualità e la persistenza della capacità di intrattenere contatti con l’esterno.
La doglianza è infondata.
2.1. Il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi dal Tribunale di Sorveglianza in materia di regime di cui all’art. 41 bis ord. pen. è ammesso solo per violazione di legge (art. 41 bis, comma 2 sexies ord. pen.).
Tale vizio, in generale, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, comprende sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692 – 01; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296 – 01; con specifico riferimento all’art. 41 bis ord. pen. Sez. 1, n. 23538 del 20/5/2021, Fragapane, n.m.; Sez. 1, n. 48494 del 9/11/2004, Rv 230303; Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, COGNOME, Rv. 230303 – 01; Sez. 1, n. 449 del 14/11/2003, dep. 2004, Ganci, Rv. 226628 – 01).
In questi casi, infatti, la motivazione del provvedimento impugnato è da ritenersi del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato . (Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01; Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Rv 264011 – 01; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Rv 254893 – 01).
2.2. La situazione che si determina nel caso di omessa risposta a specifiche deduzioni difensive, d’altro canto, sempre in termini generali, si pone in termini differenti.
In questa specifica ipotesi, infatti, la pacifica giurisprudenza di legittimità evidenzia che l’omessa considerazione degli elementi indicati e degli argomenti contenuti in una memoria difensiva, ovvero nell’atto di impugnazione, configura un vizio di motivazione deducibile in cassazione e non una violazione di legge (cfr. Sez. 3, n. 36688 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 277667 – 01; Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018, COGNOME, Rv. 272542 – 01).
La carenza di specifica risposta alle critiche esposte dalla difesa, infatti, non determina alcuna nullità (in tal senso Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259488 – 01; Sez. 1, n. 31245 del 07/07/2009, COGNOME, Rv. 244321 – 01; Sez. 1, n. 45104 del 14/10/2005, COGNOME, Rv. 232702 – 01) ma può, invece, influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018, COGNOME, Rv. 272542 – 01) e può, pertanto, essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, potendo la motivazione risultare indirettamente viziata per la mancata considerazione di quanto illustrato, in relazione alle questioni sostenute nell’atto difensivo ovvero devolute con l’impugnazione (Sez. 3, n. 36688 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 277667 – 01; Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271600 – 01; Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. 29/01/2016, COGNOME, Rv. 267561 – 01; Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012, COGNOME, Rv. 252713 – 01; Sez. 1, n. 37531 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248551- 01).
Per tali ragioni, al fine della deduzione e della verifica dell’effettiva esistenza in concreto di tale vizio, quindi, si deve fare riferimento al criterio decisorio tipi della fase e alla decisività del tema introdotto dalla difesa, che deve appunto essere tale da risultare idoneo a destrutturare la conclusione cui il giudice è pervenuto proprio sulla base dello standard probatorio applicato (Sez. 2, n. 38834 del 07/06/2019, Forzini, Rv. 277220 – 01). Ciò in quanto il giudice non è comunque tenuto a prendere in considerazione ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente .che nella motivazione indichi le ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver tenuto c:osì presente ogni fatto decisivo, tanto che la sola ipotizzabilità di una diversa valutazione delle medesime risultanze processuali non costituisce vizio di motivazione valutabile in sede di legittimità (così Sez. 1, n. 6128 del 07/11/2013, dep. 2014, Mancuso, Rv. 259170 – 01).
2.4. In conformità con i principi generali richiamati, con specifico riferimento al procedimento di cui all’art. 41 bis ord. pen., si deve pertanto ribadire il principio per cui «in tema di trattamento penitenziario differenziato, non costituisce violazione di legge, unico vizio legittimante il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione o di proroga del regime previsto dall’art. 41 bis della legge n. 354 del 1975, l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali il Tribunale di Sorveglianza non abbia ritenuto rilevanti gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa, ove i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti
o fittizi» (Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2014, Triglia, Rv. 260803 – 01; Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, COGNOME, Rv. 230303 – 01).
In tale ipotesi, infatti, la motivazione è incompleta ma non inesistente o apparente e, non rilevando quale violazione di legge, non determina la nullità del provvedimento impugnato.
2.5. In ordine alla natura dei poteri cognitivi demandati alla giurisdizione di sorveglianza in riferimento ai provvedimenti di applicazione o di proroga del ·regime detentivo differenziato, d’altro canto, si deve ribadire che la verifica del Tribunale di sorveglianza, in quanto organo giurisdizionale di merito, non è circoscritta al solo rispetto delle norme di legge costituenti il parametro del giudizio espresso nel decreto ministeriale (Sez. 1, Sentenza n. 18434 del 23/04/2021, Mulè, Rv. 281361 – 01).
Il controllo del giudice della sorveglianza, infatti, si deve estendere alla motivazione resa in riferimento alle circostanze di fatto valutate nel provvedimento ministeriale, come desunte dalle fonti compulsate, per riscontrarne la valenza e l’idoneità rappresentativa della capacità del soggetto sottoposto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata e della sua pericolosità sociale e assicurare il collegamento funzionale tra prescrizioni imposte e tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza.
Proprio sotto tale profilo si apprezza la distinzione con i margini più limitati di intervento del sindacato del giudice di legittimità, riguardante il solo vizio di violazione di legge sostanziale e processuale e quindi esercitabile, quanto alla legalità della decisione sul reclamo, in riferimento ai parametri normativi che regolano il procedimento e la materia e alla presenza di motivazione, reale ed effettiva, senza potersi addentrare in considerazioni sul materiale probatorio, la sua corretta valutazione e la logicità del procedimento inferenziale che ha condotto alla decisione, né poter prendere in esame, per quanto già esposto, eventuali profili di illogicità o contraddittorietà della motivazione.
Ciò in quanto l’accertamento che deve svolgere il Tribunale ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, circa l’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, deve essere svolta tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2 bis della norma citata e si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime (Sez. 1, Sentenza n. 18434 del 23/04/2021, Mulè, Rv. 281361 – 01; Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912).
Nel caso di specie – sebbene l’affermazione del Tribunale per cui il controllo a questo demandato “attiene comunque a un vaglio di tipo esterno” sia impropria – l’ordinanza oggetto di ricorso risulta corredata da motivazione effettiva e chiaramente esplicativa delle ragioni della decisione, che ha investigato i profili fattuali necessari per ravvisare la legittima proroga della sottoposizione del ricorrente al regime penitenziario differenziato di cui all’art. 41 bis L. n. 354 del 1975.
Nel provvedimento impugnato, infatti, il giudice della sorveglianza ha dato atto di avere considerato tutti gli elementi di fatto emersi e di avere su questi fondato il proprio giudizio prognostico in merito all’attuale e perdurante sussistenza del pericolo di mantenimento di contatti tra il ricorrente e l’organizzazione di appartenenza (Sez. 1, n. 1391 del 19/04/2016, Durali, Rv 268295 – 01; Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, COGNOME, Rv 253713 – 01; Sez. 1, n. 41731 del 15/11/2005, COGNOME, Rv. 232892 – 01; Sez. 1, n. 40220 del 20/10/2005, COGNOME, Rv. 232466 – 01; Sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005, NOME, Rv. 232684 – 01; Sez. 1, n. 36302 del 21/09/2005, COGNOME, Rv. 232114 – 01).
Ciò in quanto la conclusione, coerentemente esposta nella pagine 5 e 6 quanto all’esistenza e operatività del RAGIONE_SOCIALE, così come la coesione con questa mostrata da tutti i membri, tra cui il ricorrente, che non ha posto in essere condotte dissociative né avviato un percorso di revisione critica, risulta ancorata sugli specifici elementi di fatto contenuti nel parere della RAGIONE_SOCIALE e alle ulteriori fonti in questa citate (le operazioni Cupola 2.0 del 2019 e “mani in pasta” del 2022, e le circostanze che hanno portato nel 2021 allo scioglimento del Comune di San NOME Jato), nonché nella relazione comportamentale del 24 novembre 2023 (cfr. pagina 2 dell’ordinanza impugnata).
Senza che sul punto, d’altro canto, considerata l’efficacia dimostrativa di quelli indicati dal tribunale, possa assumere alcun rilievo la generica critica della difesa circa la mancata acquisizione di ulteriori e non meglio specificati elementi di segno contrario.
Nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 4 bis e 41 bis ord. pen. e 7 CEDU e alla L. 94 del 2009 evidenziando che al ricorrente dovrebbe essere applicata la disciplina in vigore in data anteriore all’anno 2009 in quanto questa sarebbe più favorevole, ciò anche alla luce della modifica ora apportata all’art. 4 bis, comma 2, orci. pen. con il D.L. 162 del 2022, convertito in L. 199 del 2022.
La doglianza è infondata.
Il ricorrente aveva chiesto al Tribunale di sollevare questione di legittimità costituzionale in ordine all’applicazione retroattiva delle modifiche normative concernenti le modalità esecutive della pena, con ciò sostenendo che al ricorrente avrebbe dovuto e dovrebbe applicarsi il testo dell’art. 41 bis ord. pen. in vigore in data anteriore alla riforma intervenuta con la L. n. 94 del 2009 in quanto la disciplina precedente sarebbe più favorevole.
Il Tribunale, facendo specifico riferimento ai principi enucleati da questa Corte nella sentenza Sez. 1, n. 31511 del 10/3/2022, COGNOME, n.m., che ha esplicato i contenuti della sentenza della Corte cost. n. 32 del 2020, ha evidenziato che «il legislatore, attraverso la regola fissata dall’art. 41-bis, comma 2 ultima parte, ord. pen, ha perseguito un fine perfettamente compatibile con la ratio sottesa al principio della tendenziale applicazione retroattiva della normativa sopravvenuta modificativa delle modalità esecutive della pena detentiva come declinata dalla Corte costituzionale. Ha, infatti, inteso evitare che il trattamento penitenziario dei detenuti sottoposti al regime speciale, dei quali, in relazione alla pena inflitta per i reati ostativi, è stata accerta l’elevata ed attuale pericolosità, in quanto in grado di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata ove sottoposti al regime ordinario, improvvisamente muti nel corso dell’esecuzione unitaria e senza soluzione di continuità, irrimediabilmente frustando le esigenze preventive rimaste, invece, immutate. In caso contrario, si creerebbe un irragionevole trattamento differenziato tra detenuti nella identica situazione perché parimenti condannati per reati ostativi e parimenti pericolosi. L’unico limite invalicabile al divieto irretroattività concerne «le modifiche normative in grado di determinare una trasformazione della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato», situazione che si verifica, per esempio, quando al momento del fatto sia prevista una pena suscettibile di essere eseguita “fuori” dal carcere e, per effetto di una modifica normativa sopravvenuta, la sua esecuzione debba avvenire di norma “dentro” il carcere. In tale ipotesi per ripetere le parole della Corte costituzionale «tra il “fuori” e il “dentro” differenza è radicale: qualitativa, prima ancora che quantitativa». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sempre secondo il Tribunale, quindi, «tra il regime penitenziario ordinario e il regime ex art. 41 bis ord. pen. non si ravvisa una differenza di tale consistenza in ragione delle caratteristiche di quest’ultimo, che, alla stregua della disciplina normativa attualmente in vigore e degli interventi correttivi della Corte costituzionale, determina una sospensione solo temporanea delle regole del trattamento comuni agli altri detenuti, persegue finalità di prevenzione dei reati indipendentemente dalla espiazione della pena, e non impedisce al detenuto né di continuare ad usufruire dei benefici penitenziari, sia pure con limiti più
rigorosi, né di partecipare al percorso rieducativo che non viene interrotto, ma anzi agevolato dalla rescissione dei collegamenti con l’organizzazione di appartenenza».
La risposta così resa sul punto, come rilevato dal Procuratore generale, è corretta e deve essere condivisa.
L’argomento ora evidenziato nel ricorso, per cui la recente introduzione nel comma 2 dell’art. 4 bis ord. pen. di una preclusione alla concessione dei benefici ai detenuti a cui è applicato il regime differenziato inciderebbe sul “dentro” e il “fuori” dell’esecuzione della pena e renderebbe l’attuale disciplina più sfavorevole, infatti, non coglie nel segno.
L’attuale normativa, pure volendo prescindere dalle ulteriori considerazioni di carattere generale evidenziate nel punto che segue, risulta comunque complessivamente più favorevole di quella precedente nella quale l’art. 4 bis cod. proc. pen., in assenza di collaborazione ovvero dell’accertata irrilevanza o impossibilità della stessa, prevedeva una preclusione assoluta per i soggetti che avevano commesso uno dei reati previsti e, quindi, per i soggetti cui era stato applicato il regime differenziato di cui all’art. 41 bis ord. pen.
Nel terzo motivo, nella sostanza collegato al precedente, la difesa chiede a questa Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 4 bis e 41 bis ord. pen. per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., e dell’art. 3 CEDU nella parte in cui prevedono una presunzione assoluta per cui ai detenuti in regime differenziato sarebbe preclusa la concessione di benefici penitenziari e del solo art. 41 bis ord. pen. nella parte in cui non prevede un limite di durata al regime differenziato.
Le questioni sono manifestamente infondate.
5.1. La limitazione prevista appare coerente al sistema delineato nei commi 1 e 1 bis dello stesso art. 4 bis ord. pen.
Il regime differenziato di cui all’art. 41 .bis ord. pen., è applicato ovvero prorogato all’esito di una valutazione tesa a verificare la sussistenza o persistenza di collegamenti con la criminalità organizzata ovvero del pericolo di ripristinare i contatti con tali contesti.
La circostanza che il detenuto o internato sia sottoposto a tale regime, pertanto, è la conseguenza di una valutazione negativa in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti in generale, per tutti i detenuti che hanno commesso reati ostativi, dal comma 1 bis dello stesso art. 4 bis ord. pen.
Sotto altro profilo, d’altro canto, la previsione contenuta nel secondo comma per cui “i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi al detenuto o internato sottoposto a regime speciale di detenzione previsto dall’art. 41 bis
solamente dopo che il provvedimento applicativo di tale regime speciale sia stato revocato o non prorà gato” non è configurabile come preclusione assoluta alla concessione dei benefici (cfr. anche considerazioni in Corte cost. sent. 227 del 2022).
In una corretta prospettiva ermeneutica, infatti, la limitazione è collegata all’esistenza di un provvedimento nel quale è esposta una valutazione in termini di sussistenza di circostanze ostative alla concessione dei benefici e tale provvedimento, qualora le condizioni mutino, può essere revocato ovvero lo stesso può non essere prorogato ,
Ragione questa per la quale la scelta del legislatore non risulta illegittima né irragionevole, ciò anche considerato che quanto specificato nell’art. 4 bis, comma 2, ord. pen., sarebbe comunque in realtà enucleabile da una complessiva interpretazione sistematica.
5.1. Ad analoghe conclusioni si deve pervenire in merito alla seconda e in parte distinta questione di legittimità costituzionale che la difesa chiede a questa Corte di sollevare e che risulta manifestamente infondata.
Come correttamente evidenziato dal Tribunale di sorveglianza, infatti, l’art. 41 bis ord. pen. prevede una revisione periodica degli elementi posti a fondamento dell’applicazione del regime differenziato per cui l’affermazione che questo non avrebbe un limite di durata non è corretta.
Ciò anche considerato che la Corte costituzionale si è più volte già in passato espressa per la legittimità costituzionale del regime detentivo introdotto con l’art. 41 bis ord. pen. (Corte cost. n. 190 del 2010; n. 266 del 2009; ordinanze nn. 220 e 313 del 2009; n. 417 del 2004; n. 351 del 1996; n. 33222 del 1994; n. 410 del 1993; n. 349 del 1993) e da ultimo con specifico riferimento all’ergastolo c.d. ostativo (Corte cost. sent. 227 del 2022).
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 3/5/2024