Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43237 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43237 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME SANTA CRISTINA D’ASPROMONTE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Giova premettere che, in materia dei provvedimenti di applicazione o proroga del regime detentivo di cui all’art. 41-bis Ord. pen., il controllo di legittimità affidato alla Corte di cassazione rimane circoscritto alla violazione di legge, cosicché, quanto alla motivazione, gli unici rilievi che possono trovare ingresso sono quelli che ne rappresentano la mancanza sotto il profilo dell’assenza dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità in relazione agli elementi sui quali deve cadere la verifica dei presupposti di legge, tanto poter ritenere che la motivazione sia solo apparente, in quanto assolutamente inidonea – per evidenti carenze di coordinazione e per oscurità del riscorso – a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito nel pervenire alla decisione (Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, Santapaola, Rv. 230303).
Solamente in tali ipotesi è, invero, configurabile una violazione di legge, poiché il provvedimento risulta privo del requisito della motivazione richiesto dall’art. 125 cod. proc. pen. e dal comma 2-sexies dell’art. 41-bis Ord. pen. Restano, di contro, estranei all’ambito della verifica di legittimità consentita in materia non solo tutti quei rilievi che invocano il diverso apprezzamento degli elementi acquisiti riservato alle valutazioni di merito, ma anche il controllo della motivazione sotto il profilo della semplice contraddittorietà o illogicità.
Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che il decreto ministeriale ex art. 41-bis, comma 2, Ord, pen. risultava adeguatamente argomentato circa la posizione di vertice di COGNOME NOME nell’ambito della realtà associativa di tipo mafioso di riferimento, circa il suo ruolo di direzione della stessa e circa l’attualità della operatività di tale sodalizio, come emerso dalla lettura dell’ordinanza del 14 febbraio 2022, con la quale il G.i.p. del Tribunale di Roma aveva applicato nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere in ordine ai reati di associazione di tipo mafioso e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti con l’aggravante della connessione mafiosa.
Secondo il Tribunale di sorveglianza, inoltre, il ruolo di primaria importanza svolto da COGNOME nell’ambito del sodalizio mafioso aveva trovato conferma nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME, il quale aveva riferito che il primo fosse il capo della realtà associativa locale di Anzio e Nettuno, e nel fatto che il c.d. RAGIONE_SOCIALE, prima di poter svolgere attività illegali sul territorio di Anzio, doveva ottenere l’autorizzazione da parte di COGNOME
Alla luce di tali considerazioni e dei.principi giurisprudenziali sopra esposti, la Corte ritiene che il ricorso non sia consentito in sede di legittimità, essendo costituito da doglianze del tutto infondate.
A fronte delle censure di mancanza di motivazione, infatti, va rilevato che il Tribunale di sorveglianza ha dato pienamente conto dell’attualità della pericolosità sociale del detenuto e della sussistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata, accettando, in tal modo, la ricorrenza dei presupposti legali dai quali dipende il provvedimento di applicazione del regime carcerario differenziato.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di ‘una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/10/2024