Regime 41-bis: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile
L’applicazione del Regime 41-bis rappresenta una delle misure più severe del nostro ordinamento penitenziario, finalizzata a recidere i legami tra i detenuti e le organizzazioni criminali di appartenenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del sindacato di legittimità sui provvedimenti che dispongono tale regime, sottolineando come il ricorso non possa trasformarsi in una richiesta di riesame del merito.
I Fatti del Caso
Un detenuto, già sottoposto al regime detentivo speciale, presentava reclamo avverso il decreto ministeriale che ne prorogava l’applicazione per altri quattro anni. Il Tribunale di Sorveglianza rigettava il reclamo, confermando la sussistenza dei presupposti per il mantenimento del cosiddetto ‘carcere duro’.
Avverso tale decisione, il detenuto proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge. In particolare, sosteneva che la motivazione del Tribunale fosse ‘inesistente o apparente’, basata su una valutazione superficiale degli elementi e su meri sillogismi presuntivi, senza un’effettiva e rigorosa verifica delle prove e delle argomentazioni difensive.
La Decisione della Corte: i limiti al sindacato sul Regime 41-bis
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il punto centrale della decisione risiede nella natura stessa del ricorso per cassazione in materia di Regime 41-bis. L’articolo 41-bis, comma 2-sexies, dell’ordinamento penitenziario stabilisce chiaramente che tale ricorso è ammesso solo per ‘violazione di legge’.
Questo significa che la Corte di Cassazione non può entrare nel merito della vicenda e sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del Tribunale di Sorveglianza. Il suo compito è limitato a verificare che il giudice di merito abbia applicato correttamente la legge e abbia fornito una motivazione logica, coerente e non meramente apparente.
Analisi della Motivazione del Tribunale di Sorveglianza
La Cassazione ha ritenuto che, nel caso di specie, la motivazione del provvedimento impugnato fosse tutt’altro che apparente. Il Tribunale di Sorveglianza aveva infatti fondato la sua decisione su elementi concreti e specifici:
* Il ruolo di rilievo rivestito dal ricorrente all’interno dell’associazione mafiosa di appartenenza, definito in sentenza di ‘rilevantissima gravità’.
* Gli elementi emersi da diverse sentenze, inclusa una molto recente.
* La prova che il detenuto, anche durante la detenzione, aveva continuato a mantenere rapporti e a operare in ambito associativo attraverso contatti e corrispondenza.
Questi elementi, secondo la Corte, giustificavano ampiamente la valutazione sulla sussistenza di collegamenti attuali con l’associazione e sul concreto pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Le Motivazioni
La Corte ha ribadito un principio consolidato: il giudizio sulla pericolosità che giustifica il Regime 41-bis deve essere espresso in termini di ‘adeguata valutazione della probabilità’ che il detenuto, se non sottoposto a restrizioni, possa riprendere o mantenere i contatti con l’organizzazione criminale. Il Tribunale di Sorveglianza aveva correttamente compiuto questa valutazione probabilistica, basandola su fatti concreti.
Di conseguenza, le censure del ricorrente non denunciavano una reale violazione di legge, ma miravano a sollecitare una ‘diversa valutazione degli elementi in atti’. Questo tipo di richiesta, tesa a ottenere un terzo grado di giudizio sul merito, è preclusa in sede di legittimità. La motivazione del provvedimento era logica e coerente, rendendo il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.
Le Conclusioni
Questa ordinanza conferma la linea rigorosa della giurisprudenza in materia di Regime 41-bis. Il ricorso per cassazione non è una sede per rimettere in discussione le valutazioni di fatto operate dal Tribunale di Sorveglianza sulla pericolosità del detenuto e sull’attualità dei suoi legami con la criminalità organizzata. Il sindacato della Suprema Corte è circoscritto alla verifica della legalità del provvedimento e della congruità logica della sua motivazione. Qualsiasi tentativo di ottenere un riesame delle prove si scontra inevitabilmente con una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali.
Per quali motivi si può fare ricorso in Cassazione contro l’applicazione del regime 41-bis?
Il ricorso è ammesso solo per ‘violazione di legge’. Ciò significa che non si possono contestare le valutazioni sui fatti compiute dal Tribunale di Sorveglianza, ma solo eventuali errori nell’applicazione delle norme giuridiche o la presenza di una motivazione inesistente o puramente apparente.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove che giustificano il regime 41-bis?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione non è un giudice di merito e non può effettuare una ‘diversa valutazione degli elementi in atti’. Il ricorso che mira a questo obiettivo è considerato inammissibile.
Cosa valuta il giudice per decidere se applicare o mantenere il regime 41-bis?
Il giudice valuta la probabilità che il detenuto, in assenza delle restrizioni speciali, possa riprendere o mantenere i contatti con l’associazione criminale. Questa valutazione si basa su elementi concreti come il ruolo ricoperto nell’organizzazione, le sentenze di condanna e la persistenza di collegamenti anche durante la detenzione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 16862 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 16862 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PALERMO il 16/01/1965
avverso l’ordinanza del 24/10/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che, con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il decreto ministeriale di applicazione per anni quattro del regime di cui all’art. 41 bis ord. pen.;
Rilevato che con il ricorso si deduce la violazione di legge, evidenziando che la motivazione del provvedimento impugnato è inesistente o apparente in quanto non conterrebbe una rigorosa ed effettiva verifica degli elementi emersi e, non avendo considerato le richieste della difesa e gli argomenti da questa esposti, si baserebbe su di una valutazione superficiale e su sillogismi di carattere presuntivo nei quali sono esternate mere affermazioni di stile;
Rilevato che il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi dal Tribunale di Sorveglianza in materia di regime di cui all’art. 41 bis ord. pen. è ammesso solo per violazione di legge (cfr. art. 41 bis, comma 2 sexies ord. pen.);
Rilevato che la motivazione del provvedimento impugnato -con gli specifici riferimenti al ruolo rivestito dal ricorrente nella famiglia mafiosa del Villaggio Santa Rosalia (condotta definita in sentenza “di rilevantissima gravità”), agli elementi emersi nelle sentenze pronunciate, come da ultimo quella del 4 marzo 2024,e del fatto che lo stesso anche durante la detenzione abbia continuato a mantenere rapporti e a operare in ambito associativo, mediante i contatti e corrispondenza (cfr. pagine 3, 4 e 5 del provvedimento impugnato) – risulta adeguata e coerente quanto alla sussistenza in concreto di collegamenti con l’associazione di appartenenza e della sussistenza e attualità del pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, ciò anche considerato, come correttamente evidenziato, che il giudizio deve essere espresso in termini di adeguata valutazione della probabilità che, in mancanza delle restrizioni conseguenti al regime di detenzione differenziato, il detenuto possa riprendere ovvero mantenere i contatti (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, 2019, COGNOME, Rv. 274912 – 01; Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, COGNOME, Rv. 253713 – 01);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile,in quanto la censura proposta, tesa a sollecitare una diversa valutazione degli elementi in atti, non è consentita in questa sede (cfr. Sez. 1, n. 18434 del 23/04/2021, COGNOME, Rv. 281361-01; Sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016, Giuliano, Rv. 26724801);
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore
della cassa delle ammende.
Così deciso il 6/3/2025