Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1941 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1941 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VITTORIA il 13/04/1974
avverso l’ordinanza del 27/06/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo presentato da NOME COGNOME detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo, come da provvedimento di cumulo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di L’Aquila del 01/02/2022, per reati di associazione, omicidi plurimi aggravati, violazione legge armi e per i più recenti reati di danneggiamento aggravato, minaccia e minaccia a p.u., GLYPH commessi in corso di detenzione – avverso il decreto emesso dal Ministro della Giustizia di proroga del regime differenziato applicatogli ai sensi dell’art. 41 -bis ord. pen..
Avverso tale ordinanza COGNOME ricorre, tramite il proprio difensore avv. NOME COGNOME deducendo, quale unico motivo di ricorso, la violazione ed erronea applicazione dell’art. 41 bis ord. pen. e dell’art. 125 cod. proc. pen., ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) e c) cod. proc. pen.
La difesa censura l’assenza di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi di fatto che potevano giustificare la proroga del regime differenziato in capo al Mangione; ci si duole in particolare che il Collegio non abbia ammesso le acquisizioni probatorie offerte dalla Difesa, in contrasto con un orientamento della stessa Corte di legittimità.
Evidenzia ancora la Difesa come l’ordinanza impugnata abbia svilito due argomenti decisivi sollevati con il reclamo: da un lato la circostanza che il Mangione, nell’unica sentenza emessa nei suoi confronti, fosse stato condannato quale mero partecipe dell’associazione criminale, e non come capo promotore; dall’altro, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, previa approfondita istruttoria, effettuata tramite l’interlocuzione con la D.D.A, la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate.
La motivazione del provvedimento impugnato è inoltre generica, dal momento che non viene effettuata alcuna valutazione della specifica posizione del ricorrente e dei motivi dedotti nel reclamo, finendo con l’essere caratterizzata da considerazioni generiche ed astratte, mere espressioni di stile, incapaci di dimostrare l’attuale persistenza di pericoli di comunicazioni e contatti con il gruppo criminale di appartenenza.
Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott. NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. L’art. 41-bis, comma 2-bis, Ord. Pen., sostituito dall’art. 2, legge 23 dicembre 2002, n. 279, e da ultimo dall’art. 2, comma 25, lett. d), legge 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono prorogabili nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni, quando «risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno»
2.1. Secondo quanto già rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte, con orientamento consolidato dal quale questo Collegio non vede ragioni per discostarsi, la chiara formulazione della norma indica come – ai fini del riconoscimento di detta condizione, nonché, diversamente da quanto richiesto dal sistema processuale, per formulare un giudizio di responsabilità “al di là di ogni ragionevole dubbio” – non sia necessario acquisire la dimostrazione, in termini di certezza, in ordine alla sussistenza dei detti collegamenti, essendo invece necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile, in forza degli elementi di valutazione e conoscenza acquisiti (Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, COGNOME, rv. 279221; Sez. 1, n. 24134 del 10/05/2019, COGNOME, rv. 276483; Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, rv. 274912; Sez. 1, n. 18791 del 06/02/2015, COGNOME, rv. 263508; Sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, COGNOME, rv. 256495; Sez. 1, n. 4428 del 14/01/2009, COGNOME, rv. 242797; Sez. 1, n. 5842 del 22/01/2008, COGNOME, rv. 242784; Sez. 1, n. 47521 del 02/12/2008, COGNOME, Rv. 242071; Sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005, COGNOME, rv. 232684; Sez. 1, n. 46013 del 29/10/2004, COGNOME, rv. 230136).
2.2. Va sottolineato, inoltre, che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è stabilito dal comma 2-sexies dell’art. 41-bis, come novellato dalla legge nr. 94 del 2009, a norma del quale il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore possono proporre – entro dieci giorni della sua comunicazione – ricorso per cassazione nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, che abbia respinto il reclamo avverso il decreto ministeriale di sottoposizione al regime differenziato, unicamente per dedurre il vizio di violazione di legge.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere
comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argonnentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (tra le altre, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, dep. 10/06/2003, COGNOME, Rv. 224611; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, dep. 26/06/2008, COGNOME, Rv. 239692).
Si è, da tempo, chiarito che non costituisce violazione di legge, unico vizio legittimante il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione o di proroga del regime previsto dall’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali il . Tribunale di Sorveglianza non abbia ritenuto rilevanti gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa, ove i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti o fittizi (Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2014, Trigila, Rv. 260805); ed ancora si è affermato che ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della norma citata, si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, (Sez. 1, n. 2660 del 9/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912), quali: il profilo criminale del soggetto, la posizione dal medesimo rivestita in seno all’associazione, la perdurante operatività del sodalizio e la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, anche considerata l’assenza di elementi di fatto dimostrativi di un sopravvenuto venir meno di tale pericolo (Sez. 5, n. 40673 del 30/5/2012, COGNOME, Rv. 253713), che non possono identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, né essere rappresentati da un apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività di trattamento penitenziario (Sez. 1, n. 32337 del 3/7/2019, Graviano, Rv. 276720). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3. Tanto premesso – ai soli fini del corretto inquadramento, sotto il profilo giuridico, della questione dedotta – deve ritenersi coerente ed esaustiva, dunque destinata a rimanere immune da qualsivoglia stigma in sede di legittimità, l’avversata ordinanza: il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha infatti proceduto, con corretta interpretazione ed esatta applicazione dei principi di diritto in materia, – diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente – alla verifica della permanenza dei dati indicativi della capacità di collegamento del ricorrente con la criminalità organizzata, evidenziando gli elementi sui quali ha fondato la valutazione della pericolosità del medesimo e della legittimità e fondatezza dell’applicazione, in proroga, della misura in oggetto.
La motivazione adottata, per nulla apparente, nel dare contezza delle ragioni della decisione / ha illustrato il ruolo di spicco del soggetto nell’ambito del clan COGNOME, parte integrante della mafia gelese, da anni contrapposto al clan Dominante della Stidda per il controllo del territorio di Vittoria; ha messo in evidenza il concreto pericolo di una riviviscenza delle attività criminali sul territorio di riferimento sia per il pericolo di ripresa della faida, a seguito di recenti scarcerazioni di affiliati delle due fazioni contrapposte, nonché per la presenza sul territorio di ex collaboratori di giustizia intenzionati a tessere rapporti con imprenditori locali e a fronte del rifiuto dei familiari dei collaboratori NOME NOME e NOME di ricevere misure di protezione, indice sintomatico che i membri della famiglia confidano di non correre pericolo di ritorsioni nell’ambito di un contesto di fiducia verso l’organizzazione criminale di riferimento; ha evidenziato l’assenza, in capo al COGNOME, di qualsiasi revisione critica del proprio passato e di qualsiasi elemento positivo di 4alutazione per ritenere maturata o in corso di elaborazione una dissociazione dal gruppo di appartenenza del COGNOME, che anche di recente ha rivendicato la propria scelta non collaborativa.
Quanto alla condotta inframuraria del ricorrente, si è dato atto dei continui e numerosi, anche recentissimi, procedimenti disciplinari non sempre marginali subiti dal detenuto.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, condotta nel rispetto dei principi di legge, come interpretati dalla giustizia costituzionale e da quella di legittimità di questa Corte, nonché in conformità a logica argonnentativa coerente e lineare, si sottrae alle non fondate quanto generiche censure proposte dal ricorrente, solo formalmente anche sulla base di assunte violazioni di legge, ma sostanzialmente su profili di merito o di motivazione, incidenti su circostanze non decisive, non proponibili in questa sede: in tale solco si inseriscono le doglianze attinenti l’asserita mancata considerazione del ruolo non apicale rivestito dal COGNOME nel clan di appartenenza, e la sua ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che, all’evidenza, lungi dal costituire elementi dotati di decisività, si risolvono in deduzioni generiche, inammissibili in questa sede.
Quanto, infatti, all’avvenuta condanna del COGNOME per mera partecipazione ad associazione mafiosa, si osserva come il Tribunale nell’impugnata ordinanza abbia risposto (pag. 20) alla deduzione difensiva, osservando, da un lato, come la norma di cui all’art. 41 bis comma 2 bis ord. pen. non richieda espressamente che il detenuto abbia rivestito un ruolo apicale nel clan mafioso di appartenenza, e dall’altro «che il COGNOME abbia rivestito un ruolo di spicco risulta con evidenza dai rapporti strettissimi con i COGNOME mandanti della strage di Vittoria del 1999 che ha visto il COGNOME correo». La circostanza, poi, che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato non può certo costituire elemento dal quale desumere
la insussistenza delle condizioni per l’applicazione (o la proroga) dello speciale regime.
La genericità, infine, del riferimento alla mancata acquisizione, da parte del Tribunale di sorveglianza romano, di documentazione, di cui non si apprezza la rilevanza ed ancor meno la decisività, non consente di ritenere superato il vaglio di ammissibilità anche con riferimento a detta censura.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/11/2024