Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 4993 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 4993 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Belmonte Mezzagno l’1/7/1934
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma del 27/6/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME. NOME COGNOME che ha chiesto dichi ararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27.6.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto da COGNOME avverso il decreto di proroga del regime speciale ex art. 41bis Ord. Pen.
In relazioni ai profili che hanno poi costituito motivo del successivo ricorso per cassazione, l’ordinanza ha affermato, circa la lamentata inapplicabilità dell’art. 2, comma 25, L. n. 94 del 2009, che è consentita l’applicazione del regime in essa previsto anche a fatti commessi prima della sua entrata in vigore in forza del principio ‘tempus regit actum’ e, circa la lamentata inapplicabilità dell’art. 4 -bis
L. n. 354 del 1975 ad un omicidio per il quale non è stato applicato l’art. 7 L. n. 203 del 1991, che il catalogo dei delitti cui applicare il detto regime va individuato non in modo formale, ma sostanziale, con riferimento alla natura e alle finalità dell’illecito.
Il Tribunale ha aggiunto, con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2020, che i casi in essa trattati sono diversi e riguardano i delitti contro la pubblica amministrazione inseriti nell’elenco dei reati di cui all’art. 4bis L. n. 354 del 1975, con una modifica che aveva reso più disagevole l’accesso alle misure alte rnative e la sospensione dell’ordine di esecuzione; ciò che aveva avuto un innegabile effetto sulla pena inflitta e sulla libertà personale. Diverso è il caso dell’art. 41 -bis Ord. Pen., che attiene alle modalità di esecuzione della pena e non rileva come norma penale sostanziale. Anche con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 193 del 2020, la dottrina ha escluso che il principio di irretroattività venga in questione quando l’effetto sia di una pena non più suscettibile di esecuzione fuori dal carcere.
L’ordinanza richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui deve escludersi una violazione del divieto di retroattività in caso di applicazione del regime differenziato a reati commessi prima della sua introduzione, in quanto con il provvedimento di unificazione delle pene concorrenti la pena deve essere considerata come unica e la disciplina relativa al regime differenziato incide solo sulle modalità esecutive della pena senza comportare la trasformazione della sua natura.
2. Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la violazione de ll’art. 25, comma 2, Cost. e dell’art. 2, comma 4, cod. pen., come interpretato dalle sentenze della Corte costituzionale. nn. 32 del 2020 e 193 del 2020.
Il ricorso lamenta che l’ordinanza impugnata abbia contravvenuto al principio della irretroattività della norma penale sfavorevole, affermando l’applicabilità della disciplina introdotta dalla L. n. 279 del 2002 a fatti commessi precedentemente e così violando il principio per cui vanno comminate le pene in vigore al tempo della commissione del reato.
L’ordinanza ha giustificato tale applicazione con il riferimento a precedenti giurisprudenziali superati, che richiamano il principio ‘tempus regit actum’ o che affermano che il catalogo dei delitti cui applicare il regime differenziato non va inteso in se nso formale. L’ordinanza richiama altresì opinioni della dottrina per escludere che le indicazioni delle sentenze della Corte costituzionale facciano
riferimento alla pena extra-muraria e non anche a quella intra-muraria, così dando vita ad una ingiustificata diseguaglianza.
Anche il richiamo alla L. n. 94 del 2009 e agli indicatori da essa introdotti circa la probabilità dei collegamenti con la criminalità organizzata viola la irretroattività della legge penale sfavorevole, mentre avrebbe dovuto essere applicata la normativa precedente che richiedeva l’attualità dei collegamenti.
Con requisitoria scritta in data 16.10.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile, in quanto la motivazione dell’ordinanza impugnat a è congrua e richiama puntualmente i principi costantemente affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, mentre il ricorso si limita a reiterare le doglianze già valutate dal Tribunale di Sorveglianza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Non è incorso in alcuna violazione di legge il Tribunale di Sorveglianza di Roma, che nell’ordinanza impugnata ha operato appropriato e congruo riferimento ad una consolidata linea interpretativa propugnata dalla giurisprudenza di legittimità, sec ondo cui il regime di cui all’art. 41 -bis L. 354 del 1975 si applica anche a fatti commessi prima della sua entrata in vigore, in quanto incidente sulle sole modalità esecutive della pena.
Sotto questo profilo, è stato affermato che, ai sensi dell’art. 41bis , comma 2, ultima parte, ord. pen., il regime detentivo differenziato può essere disposto o prorogato anche in relazione a reati commessi anteriormente all’introduzione del citato regime, dovendosi escludere, in tal caso, una violazione del divieto di retroattività della legge penale di cui all’art. 25, comma 2, Cost., come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2020, atteso che: 1) con il provvedimento di unificazione delle pene concorrenti, la pena deve essere considerata, ai fini del regime speciale, quale pena unica; 2) la disciplina relativa al regime speciale incide sulle sole modalità esecutive della pena senza comportare la trasformazione della sua natura (Sez. 1, n. 36706 del 15/6/2021, Rv. 281906 -01).
Si è ritenuto, altresì, che l’applicabilità del regime di detenzione differenziata a norma dell’art. 41bis L. n. 354 del 1975 per qualsiasi delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare le associazioni di tipo mafioso, indipendentemente dal riferimento ai delitti menzionati nell’art. 4bis , comma primo, della citata legge – come prevista dall’art. 2, comma 25, L. 15 luglio 2009 n. 94 – è consentita con effetto immediato anche con riferimento a fatti commessi
prima della sua entrata in vigore, in forza del principio “tempus regit actum”. (Sez. 1, n. 41567 del 18/9/2009, Rv. 245045 -01), in quanto le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto non soggiacciono alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 cod. pen. e dall’art. 25 della Costituzione (Sez. U, n. 24561 del 30/5/2006, Rv. 233976 -01).
In questo ambito, il catalogo dei reati, in relazione alla condanna per i quali è applicabile il regime di detenzione differenziato di cui all’art. 41bis L. n. 354 del 1975, non va individuato in maniera formale e non postula, pertanto, l’avvenuta contestazione della circostanza aggravante prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, ma deve essere identificato in modo sostanziale, con riferimento alla natura e alle finalità dell’illecito, nonché al contesto in cui lo stesso fu commesso (Sez. 1, n. 50922 del 27/11/2013, Rv. 258755 -01; Sez. 1, n. 374 del 23/11/2004, dep, 2005, Rv. 230539 -01).
Ne discende, dunque, che l’ordinanza confermativa, adottata nei confronti dell’odierno ricorrente, della proroga del regime detentivo differenziato previsto dall’art. 41 -bis L. n. 354 del 1975 ha fatto corretta applicazione dei principi costantemente affermati in materia dalla sopra ricordata giurisprudenza di legittimità.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 6/11/2024