Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27751 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27751 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NAPOLI il 05/09/1956
avverso l’ordinanza del 24/01/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale della Corte di Cassazione, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto da COGNOME NOME avverso il decreto ministeriale del 9 dicembre 2024 di proroga del regime detentivo speciale ai sensi dell’ad. 41-bis, comma 2, Or. pena., nonché ha dichiarato non luogo a provvedere in ordine al reclamo avverso il rigetto della revoca del precedente decreto ministeriale di proroga del 16 dicembre 2022.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo, la violazione di legge e la mancanza di motivazione ai sensi dell’art. it 606, comma 1, letyi b) ed e) cod. pro,e. pen,‹ in relazione all’art. 41-bis, comma 2, Ord. pen. riguardo alla sussistenza del requisito della pericolosità sociale intes quale persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata, non valutando il contenuto della sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di appello di Napoli il 28 marzo 2024 in ordine al reato di cui all’ad. 416-bis c.p. contestato dal 2000 al 2013.
2.1. La difesa, in particolare, ha evidenziato di aver dedotto in sede di reclamo che la motivazione del decreto di proroga dello speciale regime detentivo non aveva tenuto conto della circostanza che la sentenza della Corte d’Appello non solo ha escluso la responsabilità dal reato associativo contestato, ma ha riscontrato la tesi difensiva in ordine all’allontanamento del COGNOME dal contesto associativo e soprattutto la sua ferma volontà di rifiutare qualsiasi richiesta d parte di esponenti della criminalità organizzata locale di incontro o di partecipazione o di consultazione per semplici pareri anche al fine di dirimere contrasti.
Secondo la difesa, il presupposto della pericolosità sociale, inteso, come pericolo di ripristino dei collegamenti, è stato smentito dalla sentenza indicata, circostanza trascurata non solo dal Ministro in sede di rivalutazione dei presupposti del mantenimento del regime detentivo speciale, ma anche dal Tribunale di Sorveglianza cui veniva inoltrato il reclamo.
Il ricorrente ha, inoltre, evidenziato che Corte d’Appello ha rigettato l’appello del rappresentante dell’accusa in ordine all’ intervenuta assoluzione dal reato associativo contestato in relazione agli anni 2000/2010 estendendo la pronuncia assolutoria anche al periodo dal 2010 al 2013, venendo così meno la fondatezza della tesi accusatoria secondo cui il ricorrente aveva continuato a dirigere il sodalizio dal carcere; inoltre, nel ricorso sono riportati parti del
sentenza del giudice di merito che evidenziano insuperabili dubbi circa l’esistenza di un canale di comunicazione tra COGNOME NOME trasferitosi a Roma e gli affiliati di Afragola.
Tanto precisato, il ricorrente ha dedotto che l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza ha omesso qualsiasi confronto con la sentenza della Corte d’appello, limitandosi a indicare che il ricorrente è detenuto anche per fatti oggetto di un’ordinanza di custodia cautelare per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., contestato dagli anni 90 e afferma che COGNOME risponde di tale delitto per avere diretto l’associazione criminosa in concorso con altri soggetti (COGNOME NOME, NOME e NOME), senza tenere conto della disgregazione di cui fa menzione la sentenza assolutoria, finendo con l’affermare l’apparenza della dissociazione e men che meno la sussistenza di una recisione dei rapporti con il sodalizio di appartenenza.
Inoltre, il provvedimento impugnato non si sarebbe confrontato con le sentenze che non hanno applicato l’ergastolo e con i comportamenti del COGNOME durante lo stato di libertà nella città di Roma.
Secondo la difesa, poi, il nuovo decreto di proroga ha richiamato elementi di novità costituiti da ulteriori ordinanze di custodia cautelare degli anni 2023 e 2024 a carico di soggetti ritenuti gravitanti nel clan COGNOME, citando plurime ordinanze che però non hanno riguardato NOME COGNOME e che il Tribunale di sorveglianza afferma essere rilevanti ai fini della sussistenza di una base logistica idonea a ricevere eventuali direttive dal COGNOME qualora venisse assegnato al regime detentivo ordinario.
Infine, nel ricorso è stata richiamata la relazione comportamentale della esperta psicologa del 21 gennaio 2025, pur indicata dal Tribunale, nella quale si afferma che il ricorrente ha operato una revisione critica del passato, l’abbandono della mentalità del clan COGNOME, dimostrandosi aperto al dialogo. Tale elemento, diversamente da quanto affermato dal Tribunale di sorveglianza deporrebbe per l’assenza di pericolosità sociale e per la necessità di attenuare il regime detentivo, al fine di assecondare il percorso di revisione critica intrapreso da tempo.
Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore generale della Corte di Cassazione, NOME COGNOME ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.
1.1. Va premesso che l’ambito del sindacato di legittimità sui provvedimenti del Tribunale di sorveglianza in materia di proroga del regime detentivo speciale
di cui all’art. 41bis Ord. pen. è limitato, ai sensi del comma 2-sexies della stessa disposizione, alla violazione di legge.
Il controllo suscettibile di essere effettuato nel giudizio di legittimità pertanto, riguarda solo l’osservanza delle disposizioni di legge, sostanziale e processuale, e l’assenza di motivazione nei termini in cui la stessa deve essere articolata a norma dell’art. 41, comma 2-sexies Ord. pen., che impone al Tribunale di sorveglianza di motivare sui presupposti per l’adozione del provvedimento e la congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2.
Sul punto si è formato un consolidato orientamento nella giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui nella materia in questione il vizio della violazione di legge include, quale mancanza di motivazione, tutti i casi nei quali essa appaia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare soltanto apparente o comunque non idonea – per evidenti carenze di coordinazione e per oscurità del discorso – a rendere comprensibile il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito (Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, COGNOME, Rv. 230303) oppure si riveli assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano così scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. 1, n. 449 del 14/11/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 226628).
Trova, dunque, concreta applicazione il principio generale secondo cui qualora il ricorso per cassazione sia ammesso esclusivamente per violazione di legge, è comunque deducibile la mancanza o la mera apparenza della motivazione, atteso che in tal caso si prospetta la violazione della norma che impone l’obbligo della motivazione nei provvedimenti giurisdizionali (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 224611).
Diversamente, il controllo del Tribunale di sorveglianza ha ad oggetto profili più ampi se si considera che l’ambito della relativa cognizione è stato definito dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41-bis Ord. Pen. dalla legge n. 94 del 2009, il controllo di legalità del Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato consiste nella verifica, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza» (Sez. 7, Ordinanza n. 19290 del 10/03/2016, 3 Giuliano, Rv. 267248; Sez. 1, n. 18434 del 23/04/2021, Mulè, Rv. 281361).
Tale controllo, deve dunque avere ad oggetto la verifica della sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, ma non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti (Sez. 1, n. 18791 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 263508, che ha affermato il principio in relazione ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo l’utilizzo delle attestazioni di pendenza di procedimenti penali per nuovi reati di associazione di stampo mafioso, quali fonti informative sufficienti ad indicare la sussistenza di collegamenti del detenuto con associazioni criminali).
Si è anche affermato che l’accertamento avente ad oggetto la circostanza che non sia venuta meno la capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione criminale deve essere condotto alla stregua di una serie predeterminata di parametri quali il profilo criminale, la posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, la perdurante operatività del sodalizio e la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, elementi tutti che devono essere considerati mediante l’indicazione di indici fattuali sintomatici di attualità del pericolo di collegamenti con l’esterno, non neutralizzata dalla presenza di indici dimostrativi di un sopravvenuto venir meno di tale pericolo (Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, COGNOME, Rv. 253713).
I poteri cognitivi del Tribunale di Sorveglianza si sostanziano, dunque, in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912 – 01, principio affermato in un caso in cui la Corte ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di proroga fondato, tra l’altro, sulla posizione di rilievo assunta dal ricorrente in un “clan” camorristico ancora attivo e operativo nell’ambito territoriale di riferimento e sui suoi legami familiari con l’esponente di vertice).
i I 2. Tanto premesso, va rilevato che`Orovvedimento impugnato si è attenuto ai principi della giurisprudenza di legittimità enunciati, non avendo trascurato il ragionato apprezzamento di tutti i presupposti di legge come correttamente individuati.
La motivazione adottata, per nulla apparente e priva di profili di palese illogicità e incoerenza, nel dare contezza delle ragioni della decisione, ha illustrato la posizione di rilievo assunta dal ricorrente nel clan camorristico di riferimento secondo quanto già giudizialmente accertato e si è confrontata con la sentenza della Corte d’appello, della quale il difensore lamenta l’omessa valutazione da
parte dell’ordinanza censurata che, invece, l’ha ampiamente valutata, nel complessivo quadro della storia criminale del Moccia.
Con puntuale indicazione, sono state infatti richiamate le note informative della D.N.A., della D.D.A. e del Ministero dell’Interno che evidenziano come all’assoluzione del COGNOME in ordine al delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso contestato fino all’anno 2013, pronunciata con la sentenza della Corte di appello di Napoli emessa il 28 marzo 2024, sia sopravvenuta l’ emissione, nei suoi confronti, di una nuova ordinanza – con la quale il ricorso non si confronta – applicativa della custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari di Napoli il 9 aprile del 2022, confermata dal Tribunale del riesame il 19 maggio del 2022 e dalla Corte di cassazione con sentenza del 9 maggio 2023, in ordine alla fattispecie di associazione per delinquere di stampo camorristico contestata fino all’anno 2019, nel cui ambito al ricorrente è contestata la qualifica di capo, dirigente e promotore, unitamente ai fratelli NOME NOME e al genero NOME, evidenziando che si tratta di una organizzazione che ha continuato ad operare anche nei periodi delle detenzioni grazie alle direttive impartite dal carcere attraverso i colloqui con i familiari.
Accanto a tale elemento di per sé già particolarmente significativo della sussistenza dei gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica che legittimano l’adozione del regime speciale, nell’ordinanza si evidenzia, altresì, che dal certificato dei carichi pendenti risultano numerosi procedimenti penali, tra i quali, quello di intestazione fittizia di beni con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa commessa dal 2008 al 30 aprile 2022, di associazione per delinquere di stampo camorristico con ruolo di promotore del COGNOME in epoca prossima al mese di settembre 2013 e ancora di intestazione fittizia di beni nel 2019; e inoltre che dal certificato penale emergono condanne concernenti la violazione della legge in materia di armi e il reato di associazione di stampo camorristico commesso nel 1994.
Parimenti dettagliati sono gli elementi dai quali il Tribunale di Sorveglianza ha desunto l’attualità e l’operatività dell’associazione camorristica di riferimento richiamando le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse in data 20 aprile 2022 nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e nei confronti di COGNOME NOME, indicato quale soggetto organico al sodalizio e ancora evidenziando che il gruppo criminale facente capo a COGNOME NOME, opera nel territorio di Afragola in quanto articolazione del clan COGNOME. Con diffusa motivazione l’ordinanza a pagina 5 dà, poi, conto delle numerose altre vicende processuali che hanno interessato ulteriori soggetti che nell’anno 2023 sono stati
attinti da provvedimenti restrittivi in relazione a fatti commessi quali esponenti del clan riconducibile al ricorrente.
Il provvedimento impugnato ha fornito poi ampia giustificazione – riportandosi integralmente alla propria precedente valutazione – dei motivi per i
quali la dissociazione del reclamante, sia in considerazione delle sentenze intervenute nel 2000 (sentenza della Corte di Assise di Napoli) e nel 2005
(sentenza della Corte di Assise di Appello di Napoli) è stata qualificata
“apparente”, perché ricondotta ad una negoziazione processuale tesa ad evitare condanne all’ergastolo, non essendo stati rilevati elementi conducenti ad una
diversa valutazione della riproposta questione della dissociazione, in rapporto al potenziamento del potere di “governance” facente capo al COGNOME negli anni più
recenti e, dunque, in mancanza delle condizioni per affermare la rescissione dei rapporti con il sodalizio di appartenenza.
Il Collegio giudicante ha pertanto esaustivamente affermato, pur a fronte della valutazione della regolare condotta del ricorrente all’interno Vistituto
carcerario, la sussistenza di elementi certi, perduranti e incontrovertibili del suo ruolo apicale all’interno del sodalizio criminoso e della conseguente persistente
capacità di mantenere collegamenti con i sodali operanti all’esterno del carcere.
In conclusione, analiticamente considerando le emergenze istruttorie, .1e. Tribunale di Sorveglianz> si è attenuto ai principi della giurisprudenza di legittimità sopra ricordati e ha correttamente affermato la sussistenza del pericolo attuale di contatti del ricorrente con la criminalità organizzata, giustificativo del decreto ministeriale di proroga biennale del regime detentivo differenziato del 9 dicembre 2024 ed ha giustamente dichiarato il non luogo a provvedere in merito al reclamo avverso il rigetto della istanza di revoca del decreto ministeriale di proroga biennale del 16 dicembre 2022, stante l’affermata valutazione della legittimità del decreto del 9 dicembre 2024.
3.Dalla conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, stante i profili di colpa, della somma fissata in euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 3 aprile 2025. 5