Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12227 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12227 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a GROTTE il 06/02/1956
avverso l’ordinanza del 27/09/2024 del TRIBUNALE SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto avverso il decreto in data 18 ottobre 2023, con il quale era stata prorogata l’applicazione del regime detentivo di cui all’art. 41-bis Ord. pen., nei confronti di NOME COGNOME sottoposto all’esecuzione della pena dell’ergastolo, in conseguenza delle condanne per i delitti di associazione mafiosa, di omicidio volontario, di turbativa d’asta e di violazione della disciplina sulle armi.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, svolgendo doglianze con cui, con motivo unico, denunzia erronea applicazione dell’art. 41-bis, Ord. pen., e violazione dell’art. 125, cod. proc. pen., per la mera apparenza della motivazione e conseguente nullità.
Il Tribunale di sorveglianza, mancando di uniformarsi agliy insegnamenti di legittimità in materia concernenti la doverosa verifica demandagli, a proposito del requisito della capacità attuale del condannato di mantenere i rapporti con la criminalità organizzata di tipo mafioso, non ha svolto alcuna analisi circa la perdurante operatività della famiglia mafiosa di Grotte in cui il predetto era stato ritenuto inserito prima dell’arresto nel 1998, posto che si è limitato a far riferimento a risultanze di procedimenti riguardanti invece il mandamento di Canicattì che non erano, comunque, riferibili alla posizione del ricorrente COGNOME.
Allo stesso modo del tutto inconferenti risultano altri generici riferimenti, come quelli relativi ad una confisca del 1999 e ai procedimenti disciplinari in carcere, il cui numero andava comunque rapportato a una detenzione di 25 anni.
Anche da ciò è derivata una verifica in concreto dei presupposti della proroga in contrasto con gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità in materia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
Va anzitutto rilevato che il provvedimento impugnato (pagg. 2 e 3), quanto al perimetro del controllo demandato al Tribunale di sorveglianza, non si è limitato ad affermare quanto riportato a pagina 5 del ricorso, ma immediatamente dopo ha anche correttamente delineato l’estensione dei compiti della verifica, secondo i principi e gli insegnamenti di legittimità che al contempo ha richiamato (a cominciare da Sez. 1, n. 18434 del 23/04/2021, Mulè, Rv. 281361 – 01).
Lo stesso Tribunale, rappresentando in ‘seguito le ragioni del positivo scrutinio degli elementi in concreto addotti a supporto del decreto ministeriale, ha dato prova di uniformarsi all’insegnamento di questa Corte, secondo cui, ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della norma citata, si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime (fra le altre, Sez. 1 , n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912 – 01).
I Giudici di merito, prendendo le mosse dagli elementi che avevano dato luogo all’applicazione e al mantenimento del regime detentivo speciale ha rammentato la posizione di primo piano e le funzioni direttive assunte dal ricorrente nel contesto associativo di riferimento del sodalizio Cosa nostra (la famiglia di Grotte operante all’interno del mandamento di Canicattì), sottolineando altresì che da ciò erano derivati il diretto coinvolgimento del ricorrente in sanguinose faide mafiose nel territorio della provincia di Agrigento e suoi solidi legami anche con qualificati esponenti del palermitano del sodalizio, favoriti da un perdurante carisma mafioso.
Il Tribunale, inoltre, ha dato atto di come il medesimo contesto associativo di riferimento del ricorrente (quello del mandamento di Canicattì), continuasse a costituire l’epicentro nevralgico delle relazioni mafiose nell’intera provincia, come ancora confermato dagli esiti di più recenti indagini fino agli arresti del 2023.
A tale quadro di elementi indicativi della sponda attuale dei collegamenti criminali da prevenire – come ancora favoriti dal ruolo mafioso assunto dal ricorrente e dalla radicata e quanto mai elevata capacità criminale che egli, in stato di libertà, aveva per lungo tempo manifestato dimostrando ramificati legami – si sono aggiunte le considerazioni su quanto riscontrato in sede di prevenzione n ordine alle disponibilità illecite accumulate dal condannato e al comportamento in carcere dello stesso non solo privo di tangibili segnali di resipiscenza e di una presa di distanza dai gravi fatti delittuosi, ma anche caratterizzato dalla violazione delle regole interne di convivenza, tanto da derivarne ben quaranta sanzioni disciplinari.
In tutto ciò, dunque, si è sostanziata la ragionevole e per nulla apparente motivazione della decisione, in linea con i parametri valutativi richiesti in materia.
Ciò posto, le doglianze mosse nel ricorso non possono dimostrare le violazioni di legge evocate, neppure con riguardo all’apparenza della motivazione.
L’intero iter critico rimane, invero caratterizzato dall’impropria scomposizione degli elementi complessivamente considerati ai fini della decisione di merito.
In tale contesto la difesa svolge rilievi che non si rapportano con le precisazioni nel provvedimento sull’inserimento del ricorrente nel mandamento di Canicattì, in quanto capo della famiglia di Grotte operante in tale mandamento.
Introduce ricostruzioni meramente rivalutative circa l’attuale posizione associativa del ricorrente, fondate su asserzioni in ordine alla non inclusione dello stesso fra gli esponenti mafiosi agrigentini coinvolb, a mezzo di un comune legale, in iniziative volte a violare i divieti di comunicazione di cui al regime differenziato.
Isola dall’intero percorso valutativo le considerazioni in ordine alle risultanze emerse in sede di prevenzione, così come ai comportamenti in carcere, esponendo a tal riguardo riletture circa la cadenza nel lungo periodo dei fatti sanzionati disciplinarmente, senza così negarne il verificarsi nell’elevato numero indicato.
Alla stregua di tutte queste considerazioni, il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 09/01/2025.