Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31843 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31843 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Torre Annunziata 1’11/11/1986
avverso la sentenza del 7/5/2024 della Corte d’appello di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 maggio 2024 la Corte d’appello di Ancona, provvedendo sulla impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 28 marzo 2022 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ancona, con la quale lo stesso COGNOME, a seguito di giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena di un anno e due mesi di reclusione e 2.000,00 euro di multa, in relazione a quattro contestazioni del reato di cui all’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309/90 (di cui ai capi 3, 4, 5 e 6 della rubrica), ha assolto l’imputato dai reati di cui ai 3) e 4) per non aver commesso il fatto e ha rideterminato la pena per i residui reati di cui ai capi 5) e 6) in un anno di reclusione e 1.400,00 euro di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a un unico articolato motivo, mediante il quale ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione del divieto di reformatío in pejus, nonché dei criteri di proporzionalità, adeguatezza e progressività della pena, oltre che un vizio della motivazione, sempre nella parte relativa alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Ha esposto che con l’atto di impugnazione aveva, tra l’altro, chiesto la rideternninazione del trattamento sanzionatorio, con l’applicazione del minimo edittale e il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Nella sentenza di primo grado il reato più grave era stato considerato quello di cui al capo 4), per il quale era stata stabilita una pena base di un anno di reclusione, aumentata di sei mesi per la recidiva, e di ulteriori tre mesi di reclusione per gli altri tre reati ascrittigli.
Nella sentenza di secondo grado, a seguito della assoluzione dal reato ritenuto più grave di cui al capo 4) e anche da quello di cui al capo 3), il reato più grave era stato considerato quello di cui al capo 5), per il quale era stata stabilita, senza specifica motivazione e senza considerare la richiesta difensiva di mitigazione del trattamento sanzionatorio, una pena base di un anno di reclusione, con un aumento per la recidiva di quattro mesi di reclusione e di due mesi per la continuazione, ossia proporzionalmente superiori a quelli disposti con la sentenza di primo grado, in quanto questi ultimi erano relativi a quattro reati, in assenza di adeguata giustificazione, nonostante la minore gravità delle residue condotte ascrittegli.
Si lamenta, pertanto, la violazione del divieto di reformatio in pejus e anche dell’obbligo di adeguatamente giustificare il trattamento sanzionatorio, non essendo state indicate le ragioni dello scostamento dal minimo edittale nella
determinazione della pena base e neppure della misura degli aumenti di pena per la recidiva e la continuazione.
Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando che l’aumento di pena per la recidiva aggravata non può essere inferiore a un terzo, cosicché l’aumento di quattro mesi stabilito dalla Corte d’appello risultava pari al minimo edittale, e che nel caso, come quello in esame, di mutamento della struttura del reato continuato, il giudice dell’impugnazione può apportare per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento di pena maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore, nonché l’adeguatezza della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio come rideterminato dalla Corte d’appello.
A tali richieste il ricorrente ha replicato con memoria del 12 marzo 2025, ribadendo la violazione del divieto per il giudice dell’impugnazione di apportare aumenti per la recidiva o la continuazione superiori a quelli stabiliti dal prim giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
Va, in premessa, rammentato quanto stabilito nella sentenza n. 16208 del 2014 delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653 – 01), secondo cui non viola il divieto di reformatio in pejus previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (nel medesimo senso Sez. 2, n. 48538 del 21/10/2022, COGNOME, Rv. 284214 – 01; Sez. 1, n. 26645 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276196 – 01; Sez. 3, n. 1957 del 22/06/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272072 – 01).
Nel caso in esame, è mutata, come evidenziato dallo stesso ricorrente, la struttura del reato continuato, a seguito della assoluzione dal reato ritenuto più grave di cui al capo 4) e anche da quello di cui al capo 3), con la considerazione come più grave di quello di cui al capo 5), cosicché ben poteva il giudice dell’impugnazione apportare aumenti di pena per la recidiva e la continuazione proporzionalmente superiori a quelli stabiliti dal primo giudice, avendo, comunque, ridotto la pena finale, che nella sentenza di primo grado era pari, considerata la
diminuente del rito, a un anno e due mesi di reclusione e 2.000,00 euro di multa, e nella sentenza di appello è stata ridotta, considerata la medesima diminuente, a un anno di reclusione e 1.400,00 euro di multa, con la conseguenza che non è dato di ravvisare alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus.
Va, poi, aggiunto che, come correttamente osservato dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni, all’imputato è stata applicata la recidiva aggravata di cui all’art, 99, commi 1 e 2, cod. pen., per la quale l’aumento di pena non può essere inferiore a un terzo (Sez. 2, n. 22066 del 02/03/2021, COGNOME, Rv. 281449 01, secondo cui in tema di recidiva aggravata, l’aumento di pena, previsto al massimo sino alla metà non può essere determinato in misura inferiore ad un terzo; conf. Sez. 3, n. 1861 del 03/12/2010, dep. 2011, NOME COGNOME Rv. 249312 – 01), cosicché la doglianza del ricorrente in ordine alla eccessività di tale aumento risulta evidentemente infondata.
Il trattamento sanzionatorio, rideterminato considerando come pena base un anno di reclusione, ossia una sanzione inferiore alla media edittale, come tale non richiedente analitica e diffusa giustificazione (v. Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869-01,, in motivazione), è stato adeguatamente giustificato, sottolineando la gravità e la pluralità delle condotte contestate, il quantitativo e tipologia di stupefacente rinvenuto e la personalità negativa dell’imputato, gravato da plurimi precedenti: si tratta di motivazione idonea, essendo stati indicati i plurimi elementi, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., giudicati determinanti ne valutazione di gravità delle condotte e nel giudizio negativo sulla personalità dell’imputato, che quest’ultimo ha censurato in modo generico e, soprattutto, esclusivamente sul piano valutativo e della considerazione della gravità della condotta, dunque in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
La graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra, infatti, nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., e nel giudizio di cassazione è inammissibile la censura che miri a una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819 – 01, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142 – 01; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825 – 01; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.).
3. Il ricorso deve, dunque, essere rigettato, a cagione della infondatezza delle doglianze in ordine alla violazione del divieto di reformatio in pejus e della
inammissibilità di quelle in ordine alla adeguatezza e alla congruità del trattamento sanzionatorio.
Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 18/3/2025