Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25435 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25435 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da NOME COGNOME n. a Bari il 23/9/1982 avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino in data 14/1/2025 dato atto che si è proceduto a trattazione con contraddittorio cartolare; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Cons. NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc.Gen. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Vercelli in data 8/5/2023, riqualificava il delitto di truffa contestato al capo a) nel reato di appropriazione indebita; confermava la responsabilità di NOME per i reati di sostituzione di persona e falso ascritti ai capi b) e c) della rubrica e rideterminava la pena nella misura di mesi dieci di reclusione ed euro 1300,00 di multa, ferme le già rese statuizioni civili.
Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, Avv. NOME COGNOME il quale ha dedotto:
2.1 la violazione del divieto di reformatio in pejus di cui all’art. 597, comma 3, cod.proc.pen. Il difensore, premesso che la Corte territoriale in esito all’operata riqualificazione ha determinato la pena base per il reato ex art. 646 cod.pen. in mesi sei di reclusione ed euro mille di multa, ha richiamato la recente pronuncia n. 46/2024 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della disposizione incriminatrice, come novellata dall’art. 1, comma 1 lett. u) della L. n. 3/2019, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da due a cinque anni anziché fino a cinque anni, con rimozione del minimo pari ad anni due di reclusione introdotto dalla novella e ripristino, a norma dell’art. 23 cod.pen., del minimo detentivo di gg quindici. Sostiene che la Corte territoriale nella specie si è discostata dal minimo edittale, fissando la pena detentiva in mesi sei di reclusione, che corrisponde al minimo edittale del delitto di truffa originariamente contestato, incorrendo pertanto nella violazione del divieto di reformatio in pejus.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è parzialmente fondato. La Corte territoriale ha proceduto alla riqualificazione del delitto di truffa originariamente contestato al ricorrent nell’ipotesi di appropriazione indebita, rimodulando il trattamento sanzionatorio. Il primo giudice, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva qualificata, aveva fissato la pena base per il delitto ex art. 640 cod.pen. in mesi nove di reclusione ed euro 600,00 di multa, giustificando il discostamento dal minimo in ragione dell’entità del danno e della protratta esecuzione dell’illecito, con aumento per ciascuno dei reati satellite determinato in mesi tre di reclusione ed euro 200,00 di multa. La Corte territoriale ha determinato la pena base in mesi sei di reclusione ed euro mille di multa, giustificando lo scostamento dal minimo in ragione delle modalità della condotta, con aumenti per i reati in continuazione nella misura di mesi due di reclusione ed euro 150,00 di multa ciascuno.
Non appaiono, dunque, fondati i rilievi alla base della denunziata reformatio in pejus con riguardo alla pena detentiva in quanto i giudici territoriali hanno congruamente giustificato lo scostamento dal minimo, attestando la pena base in misura inferiore a quella stabilita dal primo giudice per il delitto originariament contestato, anch’essa superiore al minimo edittale, ed hanno sensibilmente ridotto gli aumenti a titolo di continuazione.
Ad esiti diversi deve invece pervenirsi in relazione alla pena pecuniaria, avendo la Corte territoriale individuato la pena base in euro mille, pari al minimo edittale per il delitto ex art. 646 cod.pen. come novellato, ma superiore alla multa fissata dal primo giudice in euro 600,00.
1.1 Fermo ed incontestato il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, a partire da Sez. U. Morales n. 40910 del 27/9/2005, Rv. 232066-01, secondo cui il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, nella specie a seguito dell’intervenuta riqualificazione del reato ex art. 640 cod.pen. sia la pena base detentiva per lo stesso determinata che gli aumenti a titolo di continuazione appaiono oggetto di significativa riduzione rispetto alle omologhe determinazioni del primo giudice. Né esisteva alcun vincolo per i giudici di appello di attestare la quantificazione della pena base della reclusione al minimo edittale di gg. 15, avendo già il Tribunale ritenuto di discostarsene in relazione al reato ex art. 640 cod.pen., né potendo invocarsi una corrispondenza matematica tra i discostamenti operati nelle due fasi di merito, attese le diverse forbici edittali che caratterizzano i due illeciti a confronto.
1.2 Appare pertinente in proposito il richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte che, in tema di stupefacenti ma con principio valevole anche per fattispecie diverse incise da pronunzie d’incostituzionalità con riguardo all’apparato sanzionatorio, ha affermato che il giudice di appello che, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 40 del 2019, ridetermina la pena, inflitta in primo grado in misura prossima al minimo edittale all’epoca vigente, è tenuto a rimodularla alla luce della nuova e più favorevole cornice sanzionatoria, secondo i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., non essendo tuttavia vincolato a seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico correlato alla pena calcolata prima della declaratoria di incostituzionalità (in fattispecie in cui in il giudice di appell motivatamente discostandosi dal nuovo minimo edittale, aveva comunque determinato la pena finale in misura inferiore rispetto a quella irrogata in primo grado, Sez. 6, n. 3481 del 22/10/2019, dep. 2020, De, Rv. 278132 – 01; conformi, Sez. 2, n. 29431 del 08/05/2018, Rv. 273809 – 01). Analogamente in ipotesi di successione di legge più favorevole si è affermato che non viola il principio del divieto di “reformatio in pejus” previsto dall’art. 597, comma terzo, cod. proc. pen. la sentenza di secondo grado che nel riformare la pronuncia di primo grado impugnata dal solo imputato – che aveva determinato la pena partendo dal minimo edittale, abbia ridotto la pena in termini assoluti, pur non attestandosi allo stesso punto della forbice edittale da cui si era mosso il giudice di primo grado (Sez. 3, n. 13223 del 03/12/2015, dep. 2016, Boy, Rv. 266767-01; Sez. 6, n. 51130 del 15/11/2019, Rv. 278184-01).
Inoltre la giurisprudenza di legittimità ha escluso la violazione del divieto di “reformatio in peius” quando il giudice dell’impugnazione, riqualificando il fatto in altra meno grave fattispecie di reato, individua una pena base di identica entità
rispetto a quella stabilita nel minimo edittale dal giudice di primo grado in relazione all’originaria imputazione, purchè venga irrogata in concreto una sanzione finale
non superiore a quella in precedenza inflitta (Sez. 5, n. 1281 del 12/11/2018, dep.
2019, COGNOME, Rv. 274390 – 01).
2. Ritiene, pertanto, il Collegio che le censure difensive siano destituite di fondamento con riguardo alla determinazione della pena detentiva in relazione al
reato riqualificato mentre con riferimento alla pena pecuniaria, seppur attestata al minimo vigente, si è in presenza di un trattamento deteriore, non consentito in
caso di impugnazione del solo imputato. Questa Corte ha chiarito che il giudice di appello, pur in presenza dell’impugnazione del solo imputato, può procedere alla
riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo, anche senza disporre la rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione
dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa
non comporti una modifica “in peius” del trattamento sanzionatorio ( tra molte, Sez. 3, n. 9457 del 19/01/2024, E., Rv. 286026 – 01).
2.1 A norma dell’art. 620, comma 1 lett. I), cod.proc.pen. la pena della multa può essere in questa sede rideterminata nella misura di euro 600,00, con quantificazione complessiva del trattamento sanzionatorio pari a mesi dieci di reclusione ed euro 900,00 di multa, tenuto conto degli aumenti irrogati a titolo di continuazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla pena pecuniaria mentre le residue censure debbono essere rigettate.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena pecuniaria, rideterminandola in euro 900,00 di multa. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, 10 giugno 2025
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