Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10289 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10289 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Melzo il 14/12/1980 avverso la sentenza del 23/04/2024 della Corte di Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; preso atto che il ricorso è trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co. 8 D.L. n.137/2020 e successivo art. 8 D.L. 198/2022.
RITENUTO IN FATI -0
NOME COGNOME propone ricorso avverso la sentenza del 23 maggio 2024 con cui la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa in data 22 gennaio 2022 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, lo ha condannato alla pena di anni uno, mesi uno di reclusione ed euro 450,00 di multa per i reati di cui agli artt. 640 e 493 cod. pen., pena da aggiungersi a quella irrogata dalla Corte di appello di Milano il 16 novembre 2021 con sentenza già passata in giudicato.
Il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, lamenta la violazione degli artt. 521, 522 cod. proc. pen. e nullità della sentenza conseguente alla ritenuta indeterminatezza del capo b) dell’imputazione.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato la penale responsabilità del COGNOME in ordine alla condotta descritta al capo b), condotta
che, secondo la difesa, sarebbe stata realizzata esclusivamente dalla coimputata NOME COGNOME.
A giudizio della COGNOME difesa, COGNOME la formulazione dell’imputazione COGNOME non permetterebbe di comprendere quali condotte sarebbero state addebitate al ricorrente con conseguente violazione del suo diritto di difesa.
Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione del profitto derivante dalla commissione dei reati nonché travisamento della relazione della Banca d’Italia datata 27 novembre 2019.
La Corte territoriale non avrebbe tenuto conto di quanto affermato nella menzionata relazione nella parte in cui si evidenzia che il COGNOME non avrebbe sottratto alcuna somma alla persona offesa NOME COGNOME né riversato, nei propri rapporti, denaro contante proveniente dalla coimputata NOME COGNOME.
La difesa ha, inoltre, evidenziato che i giudici dell’appello non avrebbero accertato se il COGNOME abbia consapevolmente concorso alle condotte criminose della COGNOME, accertamento assolutamente necessario in considerazione del fatto che nel medesimo periodo il ricorrente attuava una serie malversazioni in danno di altri clienti della banca.
Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe violato il divieto di reformatio in pejus atteso che la pena irrogata a titolo di continuazione per il capo Al) è stata raddoppiata rispetto a quella stabilita da primo giudice.
La motivazione sarebbe, inoltre, carente in ordine ai motivi che avrebbero indotto i giudici di appello a ritenere, diversamente dal primo giudice, più grave il reato di truffa di cui al capo Al) rispetto al reato di cui all’art. 493-ter cod. pe Tale carenza di motivazione sarebbe censurabile, anche e soprattutto in considerazione del fatto che la Corte di merito ha pronunciato – in relazione al reato di truffa – sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione per le condotte antecedenti al 7 agosto 2016 nonché sentenza di assoluzione per le condotte successive al 5 dicembre 2017.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, con cui si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., è al contempo non consentito e manifestamente infondato.
Il Collegio intende dare seguito al principio di diritto secondo cui, qualora il processo sia stato celebrato, come in quello di specie, con le forme del rito abbreviato le questioni afferenti all’indeterminatezza dell’imputazione devono essere sollevate, a pena di decadenza, prima che sia emessa l’ordinanza che dispone la trasformazione del rito in quanto, ai sensi dell’art. 438, comma 6 -bis, cod. proc. pen., in quanto la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute. L’imputato, in sede di giudizio abbreviato non può, quindi, eccepire il vizio di genericità e indeterminatezza dell’imputazione, perché la richiesta incondizionata di giudizio abbreviato implica necessariamente l’accettazione dell’imputazione formulata dall’accusa (Sez. 4, n. 18776 del 30/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269880 – 01; Sez. 1, n. 44251 del 16/10/2024, Pllumaj, non massimata; Sez. 2, n. 25824 del 28/02/2024, Cai, non nnassimata).
2. Il secondo motivo di impugnazione è articolato esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estrane ai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
I giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno correttamente argomentato in ordine alla determinazione del profitto conseguente alla commissione dei delitti posti in essere dai coimputati (vedi pagg. 10 ed 11 della sentenza impugnata). Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
Il ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello, circostanza che rende aspecifico il motivo di ricorso.
Deve essere, inoltre, ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte, secondo cui, in presenza di una cd. «doppia conforme», il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti con specifica deduzione che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado, deduzione non
riscontrabile nel caso di specie (Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665 – 01; Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M. Rv. 283777 – 01).
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Il Collegio intende dare seguito al principio di diritto secondo cui, in caso di modifica della struttura del reato continuato, il giudice dell’appello che apporta -per uno dei reati satellite- un aumento maggiore rispetto a quello indicato nella sentenza di primo grado, non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. qualora la pena complessivamente irrogata non sia maggiore a quella determinata dal primo giudice (vedi, Sez. 1, n. 26645 del 10/04/2019, Jerevija, Rv. 276196 – 01; Sez. 2, n. 48538 del 21/10/2022, COGNOME, Rv. 284214 – 01; da ultimo, Sez. 1, n. 42316 del 20/09/2024, COGNOME, non nnassimata).
Nel caso di specie, la pena individuata dalla Corte di appello in relazione ai due reati oggetto del presente giudizio, pur prevedendo un aumento di tre mesi rispetto a quella determinata dal primo giudice per il reato satellite di truffa, è complessivamente inferiore a quella applicata nella sentenza di primo grado, con conseguente insussistenza dell’invocata violazione dell’art. 597 cod. proc. pen.
In particolare, a fronte di una sentenza di primo grado che prevedeva, per i reati di cui agli artt. 640 e 493-ter cod. pen., una condanna ad anni due di reclusione ed euro 600,00 di multa, i giudici di appello hanno rideterminato tale pena in anni uno, mesi uno di reclusione ed euro 450,00 di multa, pena da aggiungersi a titolo di continuazione alla pena di anni due di reclusione ed euro 400,00 di multa, irrogata dalla Corte di appello di Milano per il reato di cui all’art. 55 d.lgs. 231/2007, con sentenza -già divenuta irrevocabile- del 16 novembre 2021.
3.2. Quanto alle modalità di individuazione della pena a seguito del riconoscimento della continuazione con la fattispecie già giudicata con sentenza divenuta irrevocabile, la Corte distrettuale ha correttamente ritenuto più grave il reato già giudicato di cui all’art. 55 d.lgs. 231/2007 rispetto ai reati di cui agli art 640 e 493-ter cod. pen., oggetto del giudizio di appello.
Il Collegio intende, in proposito, riaffermare che, qualora il reato già giudicato e quello da giudicare, legati dall’identità del disegno criminoso, non presentino alcuna differenza nel trattamento edittale, il reato più grave va individuato in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse (Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 255347 – 01; Sez. 4, n. 19561 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281172 – 01).
3.3. Deve essere sottolineato, infine, che la Corte di merito, con motivazione esente da illogicità, ha correttamente proceduto alla determinazione degli aumenti a titolo di continuazione per i reati satellite di cui agli artt. 640 493-ter cod. pen. in considerazione dell’estrema gravità dei fatti, del significativo danno cagionato alla persona offesa nonché della pervicacia e dell’intensità del dolo dell’imputato (vedi pag. 12 della sentenza impugnata).
Deve essere, in proposito, ribadito che la graduazione degli aumenti di pena a titolo di continuazione, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia frutto, come nel caso di specie, di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME Rv. 271243; Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, COGNOME, non massimata).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2025.