Reformatio in Pejus: La Cassazione Chiarisce i Limiti del Giudice d’Appello
Il principio del divieto di reformatio in pejus rappresenta una garanzia fondamentale per l’imputato nel processo penale: chi impugna una sentenza non può vedersi infliggere una condanna più pesante. Ma cosa succede se il giudice d’appello cambia la qualificazione giuridica del reato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 6119/2024) ha fornito importanti chiarimenti su questo tema, stabilendo che il giudice d’appello gode di autonomia nel ricalcolare la pena, a patto di non peggiorare il risultato finale per l’imputato.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte di Appello di Torino. In sede di appello, i giudici avevano modificato la qualificazione giuridica del reato originariamente contestato, riconducendolo a un’ipotesi meno grave prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90 (Testo Unico sugli Stupefacenti). Di conseguenza, avevano proceduto a rideterminare la pena.
L’imputato, tuttavia, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando che, nel nuovo calcolo, la Corte d’Appello non avesse applicato la massima riduzione possibile per le attenuanti generiche, come invece aveva fatto il giudice di primo grado. Secondo la difesa, questo avrebbe violato il divieto di reformatio in pejus.
Il Divieto di Reformatio in Pejus e la Riqualificazione del Reato
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo ‘manifestamente infondato’. Il punto centrale della decisione riguarda l’interazione tra il divieto di reformatio in pejus e la riqualificazione giuridica del fatto. I giudici supremi hanno spiegato che quando il reato viene qualificato diversamente, cambia anche la ‘cornice edittale’, ovvero l’intervallo di pena previsto dalla legge.
In questo nuovo contesto, il giudice d’appello non è vincolato a replicare pedissequamente i criteri di dosaggio della pena usati in primo grado, inclusa la misura delle attenuanti. L’unica vera limitazione imposta dal divieto di reformatio in pejus è sul risultato finale: la pena complessiva inflitta in appello non può essere più severa di quella decisa in primo grado. Poiché nel caso di specie la Corte d’Appello aveva operato una riduzione della pena, nessuna violazione poteva essere ravvisata.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che i ‘componenti del computo della pena’ possono legittimamente mutare quando il reato di riferimento cambia. La Corte d’Appello, operando all’interno di una cornice edittale diversa e più favorevole, ha esercitato correttamente il proprio potere discrezionale nel determinare la nuova sanzione. Il fatto che non sia stata confermata la massima diminuzione per le attenuanti non costituisce un peggioramento della posizione dell’imputato, dato che la pena finale è stata comunque ridotta.
A supporto della propria tesi, la Cassazione ha richiamato un precedente orientamento giurisprudenziale (Sez. 5 n. 209 del 06/10/2022), che aveva già stabilito un principio analogo. Il divieto di peggioramento si applica al ‘quid pluris’ della sanzione finale, non ai singoli passaggi logico-matematici che portano alla sua determinazione.
Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica: il divieto di reformatio in pejus tutela l’imputato da un esito sanzionatorio peggiore in appello, ma non ‘congela’ ogni singolo elemento del calcolo della pena effettuato in primo grado. Se il giudice d’appello riqualifica il reato in un’ipotesi meno grave, acquisisce una nuova autonomia nel dosaggio della pena all’interno della nuova e più favorevole cornice edittale. L’essenziale è che il risultato finale, ossia la pena concreta da scontare, non sia più afflittivo per chi ha deciso di impugnare la sentenza.
 
Se un reato viene riqualificato in appello, il giudice può modificare la valutazione delle attenuanti generiche?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che, a seguito di una diversa qualificazione giuridica del fatto, il giudice d’appello non è vincolato a confermare la stessa diminuzione per le attenuanti generiche applicata in primo grado, poiché opera all’interno di una diversa cornice edittale.
In cosa consiste il divieto di ‘reformatio in pejus’?
È il principio secondo cui, quando l’imputato è l’unico a impugnare la sentenza, il giudice dell’appello non può peggiorare la sua situazione, ad esempio infliggendo una pena più severa di quella decisa in primo grado.
Se il giudice d’appello riduce la pena finale ma cambia il modo in cui è calcolata, viola il divieto di ‘reformatio in pejus’?
No. Secondo l’ordinanza, il divieto non è violato se la pena finale viene ridotta. Il giudice può modificare i singoli componenti del calcolo della pena (come l’applicazione delle attenuanti) a seguito di una riqualificazione del reato, purché il risultato complessivo non sia peggiorativo per l’imputato.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6119 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 6119  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME (C:U:I::CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/04/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che il motivo unico dedotto dal ricorrente è manifestamente infondato, atteso che la Corte di appello di Torino nel rideterminare la pena a seguito della diversa qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/90, non era tenuta a confermare l’applicazione della massima diminuzione prevista per le attenuanti generiche, essendo evidentemente diversa la cornice edittale che era stata presa in considerazione dal Giudice di primo grado, non essendo stato evidentemente violato il divieto di “reformatio in pejus” per effetto della riduzione della pena operata dal Giudice di appello mutati i componenti del computo della pena per il diverso reato ritenuto in sentenza rispetto a quello ascritto (cfr. Sez. 5 n. 209 del 06/10/2022, Rv. 284311);
rilevato che dalla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 08/01/2024