Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 28739 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 28739 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CORATO il 03/12/1976
avverso la sentenza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bari, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione (Sez. 3 sent. n. 36260/23), ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME NOME in anni 1 di reclusione per i reati di cui agli articoli 5 e 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (rispettivamente capi A e B della rubrica).
La Corte di Cassazione aveva individuato un errore nella sentenza annullata con riferimento al trattamento sanzionatorio, osservando che la forbice edittale vigente al momento del fatto (12/2/2015) per il reato più grave (art. 10 d.lgs 74/2000, di cui al capo B della rubrica) andava da sei mesi di reclusione ad un anno e sei mesi di reclusione. Il giudice cassato, nel sostenere che la pena base di anni 1 e mesi 6 di reclusione fosse commisurata al minimo edittale era evidentemente caduto in errore. Di conseguenza questa Corte aveva demandato al giudice di rinvio il compito di rideterminare la pena irrogata, ferma restando l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità dell’imputato.
Il giudice di rinvio, valutati i criteri di cui all’art. 133 cod. pen., di dato coto in motivazione, ha rideterminato la pena nel seguente modo: pena base mesi dieci di reclusione per il capo B), aumentata per la continuazione ad anni uno di reclusione.
La difesa si duole del trattamento sanzionatorio adottato dal giudice del rinvio, lamentando, in questa sede, inosservanza o erronea applicazione degli artt. 597 e 609 cod. proc. pen. per violazione del divieto di reformatio in pejus e del principio del favor rei.
Si duole del fatto che il giudice di merito si sia discostato sensibilmente dal minimo edittale, benché il primo giudice avesse inteso infliggere il minimo della pena. La Corte di appello avrebbe dovuto attenersi a detto criterio, da ritenersi intangibile per effetto del divieto di reformatio in pejus.
Ebbene, l’assunto è privo di pregio. La stessa Corte di Cassazione, nel rimettere al giudice d’appello la rideterminazione della pena, ha chiarito come questa debba essere stabilita “in termini non necessariamente coincidenti con il minimo edittale”.
Il principio è stato espresso anche in altri casi assimilabili a quello in esame [cfr. Sez. 6, n. 51130 del 15/11/2019, COGNOME Rv. 278184, così massimata: «Non viola il divieto di “reformatio in peius”, previsto dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., il giudice di appello che, in applicazione della disciplina sanzionatoria più favorevole in materia di stupefacenti conseguente alla sentenza della Corte cost., n. 40 del 2019, riduca la pena
inflitta in termini assoluti, pur non attestandosi allo stesso punto della forbice edittale da cui aveva preso le mosse la sentenza di primo grado, a
condizione che non sia sovvertito il giudizio di disvalore espresso dal precedente giudice. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la sentenza di
appello con cui, a differenza della sentenza impugnata, la pena era stata motivatamente rideterminata senza partire dal nuovo limite, ciononostante
pervenendo ad una quantificazione inferiore rispetto a quella inflitta in primo grado)»]. In conclusione, essendo mutato il parametro edittale di riferimento
(in ragione dell’errore nel quale erano incorsi i precedenti giudici di merito), non si configura nel caso in esame una ipotesi di reformatio in peius,
essendo il giudice libero di valutare entro i termini della corretta forbice edittale il fatto ed essendo comunque pervenuto ad una pena inferiore a
quella precedentemente stabilita, fornendo adeguata motivazione adeguata della scelta sanzionatoria.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 giugno 2025.