Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44761 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44761 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 24/02/1953
avverso la sentenza del 02/10/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
Trattazione scritta
NOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 05/03/2014, il Tribunale di Catania riteneva NOME COGNOME re5pontbile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale documentale, quale amministratore unico e socio accomandatario della società RAGIONE_SOCIALE e, concessegli le circostanze attenuanti generiche stimate equival all’aggravante di cui all’art. 219 L. Fall., lo condannava alla pena di anni reclusione.
La Corte di appello di Catania, investita del solo gravame proposto dall’imputato, con pronuncia del 09/02/2021, in parziale riforma della sentenza d Tribunale etneo, sul presupposto dell’erroneità dell’operazione di bilanciamento art. 69 cod. proc. pen. effettuata dal primo Giudice (in considerazione del fatto le due diverse condotte di bancarotta, contestate ex art. 216 LF, non dessero luogo all’applicazione di un’aggravante, ma ad un concorso di reati unificati ai sensi del 219, comma 2 n.1, L. F.), aveva rideterminato la pena in anni due e mesi otto reclusione, così determinata: pena base anni quattro di reclusione, ridotta per eff delle già concesse circostanze attenuanti generiche alla pena finale indicata.
Con sentenza n. 327 del 18/10/2021, la Quinta Sezione penale di questa Corte, ha annullato con rinvio, limitatamente al trattamento sanzionatorio, la ci sentenza emessa dalla Corte territoriale; in particolare il Giudice di legittimità, sentenza rescindente, ha osservato come erroneamente la Corte territoriale etne avesse ritenuto che la circostanza di cui all’art. 219 co.2 n. 1 L.F., corretta ritenuta sussistente in quanto contestata in fatto, non fosse bilanciabile c circostanze attenuanti; del pari era incorsa in errore la Corte in se quantificazione del trattamento sanzionatorio, in violazione del divieto di “reformatio in pejus”, avendo ritenuto che il Tribunale avesse individuato, quale pena base, quella di anni quattro di reclusione, mentre dalla lettura della sentenza di primo grado chiaramente arguibile che la pena base, individuata da quel Giudice, fosse quella anni tre di reclusione.
Investita del giudizio di rinvio, la Corte di appello di Catania, con sente deliberata il 02/10/2023, ha rideterminato la pena inflitta al Gulizia nei seg termini: pena base anni tre dì reclusione, diminuita, in misura inferiore ad un t per le già concesse circostanze attenuanti generiche, da stimarsi prevalenti risp alla circostanza di cui all’art. 219 co.2 n. 1 L.F., ad anni due mesi otto di recl ha rideterminato la durata delle pene accessorie fallimentari conformandole al
durata della pena detentiva inflitta, ed ha infine revocato la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici.
Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME attraverso il difensore avv. NOME COGNOME deducendo, come unico motivo, la violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli art. 597 comma 3 e 627 comma 3 cod. proc. pen.
Si duole in particolare il ricorrente della violazione, nella sentenza rescissoria, del divieto della reformatio in pejus in relazione alla riduzione per le già concesse circostanze attenuanti generiche in misura inferiore a quanto statuito dalla Corte di appello di Catania con la sentenza del 09/02/2021.
La Sostituta Procuratrice generale presso questa Corte, dott.ssa NOME COGNOME ha fatto pervenire la requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e dev’essere respinto.
La Corte di merito, in sede di rinvio, ha, in ottemperanza del dictum contenuto nella sentenza rescindente, operato un diverso calcolo della pena inflitta a Gulizia, ponendo come pena base per il delitto di cui all’art. 216 L. F. quella di anni tre di reclusione; ha quindi operato il giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti generiche e la circostanza ex art. 219 co.2 n. 1 L.F., stimando le prime prevalenti sulla seconda; ha infine operato la diminuzione della pena base ex art. 62 bis cod. pen., in misura inferiore ad un terzo, in considerazione delle «gravi modalità concrete di realizzazione dei più fatti di bancarotta», pervenendo alla pena finale di anni due mesi otto di reclusione, pena non superiore a quella precedentemente inflitta.
Diversamente da quanto opinato dalla Difesa, l’operazione descritta deve ritenersi del tutto legittima, alla luce del condivisibile principio affermato da Sez. 5, n. 15130 del 03/03/2020, Diop, Rv. 279086 – 02, secondo cui «nel giudizio di appello, la riqualificazione del fatto accompagnata dall’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in misura inferiore a quanto statuito in primo grado non integra una violazione del divieto di “reformatio in peius”, atteso che il giudice di secondo grado è tenuto esclusivamente ad irrogare in concreto una sanzione finale non
superiore a quella in precedenza inflitta. (In motivazione la Corte ha sottolineato che la pena finale è il frutto della valutazione combinata dei due momenti del giudizio sanzionatorio, quello riferito alla pena base e quello riferito alle circostanze del reato, tra loro collegati, ma non reciprocamente vincolanti)». In motivazione, la Corte chiarisce che «…proprio la lettera del quarto comma dell’art. 597 cod. proc. pen. fornisce indicazioni solide a sostegno della soluzione qui condivisa e ribadita, poichè l’uso delle locuzioni ‘pena complessiva irrogata’ e ‘corrispondentemente diminuita’ …..conferisce valore determinante alla quantificazione operata con la pena finale…» e «…sembra, peraltro, coerente con il principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza Sez. U, n. 33752 del 18/4/2013, Papola, Rv. 255660 secondo cui il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante, in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere nel divieto di “reformatio in peius”, addirittura ribadire il giudizio di equivalenza tra le circostanze e confermare la pena applicata in primo grado, purchè fornisca per tale giudizio di equivalenza adeguata motivazione».
Si tratta di una scelta esegetica che si pone nel solco di precedenti pronunce, tra cui Sez. 2, n. 25739 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270667-01 («Nel giudizio di appello, non viola il divieto della “reformatio in peius” il giudice che, dopo aver riqualificato il fatto contestato in un reato meno grave, applica per le circostanze attenuanti generiche una diminuzione di pena proporzionalmente inferiore rispetto a quella praticata dal giudice della sentenza riformata, perché la diversa qualificazione giuridica del fatto (nella specie, da rapina consumata a rapina tentata) comporta una diversa incidenza degli elementi circostanziali»), e che è stata recentemente ribadita da Sez. 5, n. 209 del 06/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284311 – 01, secondo cui «nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, non viola il divieto di “reformatio in peius” la decisione del giudice di appello che, avendo mutato tutti i componenti del computo della pena per il reato ascritto (mediante la riduzione della pena base, l’esclusione della recidiva e l’effettuazione del bilanciamento, in precedenza omesso, tra le attenuanti generiche e la residua aggravante) operi, per le già concesse attenuanti generiche, una riduzione minore, sia in termini assoluti, sia in termini di rapporto proporzionale, rispetto a.quella effettuata, in ordine a tale componente, dal primo giudice».
Nel caso di specie, come visto, la Corte territoriale, nella sentenza rescissoria non ha inflitto una pena superiore a quella precedentemente inflitta, essendo pervenuta, con operazione legittima, a determinare la medesima pena stabilita nella sentenza annullata da questa Corte di legittimità, emendando gli errori effettuati in precedenza, ed attraverso un percorso, logicamente motivato, ineccepibile: in particolare la riduzione in misura inferiore ad un terzo per effetto della concessione
delle circostanze attenuanti generiche, oltre che legittima per i motivi sopra sunteggiati, appare anche supportata da adeguata motivazione, non specificatamente aggredita in seno al ricorso.
Alla luce delle considerazioni che precedono, l’impugnazione deve essere rigettata. Il rigetto del ricorso postula la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 17 ottobre 2024
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