Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22649 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22649 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 31/10/1970 avverso la sentenza del 20/01/2025 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 20 gennaio 2025, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Roma dell’11 aprile 2024, ritenute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti ed alla recidiva ed operata la diminuzione per il rito abbreviato, riduceva la pena inflitta a COGNOME RosarioCOGNOME in ordine al contestato delitto di concorso in rapina aggravata ad anni 4 di reclusione ed euro 660,00 di multa.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv.to NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo qui riassunto ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nullità della sentenza per violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. ed erronea applicazione degli artt.
69, 133 e 628 cod. pen. posto che, a fronte dell’errore in cui era caduto il giudice di primo grado che non aveva proceduto al giudizio di bilanciamento tra le concesse attenuanti generiche e la recidiva, la Corte di appello, nel rideterminare la pena avrebbe dovuto escludere l’art. 99 cod. pen.; inoltre, operato il bilanciamento tra attenuanti generiche ed aggravanti, doveva stabilire una pena base non superiore ad anni 5 di reclusione da ridurre, poi, per la scelta del rito abbreviato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso appare proposto per motivi infondati e deve, pertanto, essere respinto.
Ed invero, in alcuno dei vizi denunciati appare essere caduto il giudice di appello che, nel correggere l’errore in cui era incorso il Tribunale di Roma il quale non aveva proceduto al necessario giudizio di bilanciamento tra attenuanti ed aggravanti, effettuata la valutazione imposta dalla disciplina dettata dall’art. 69 cod. pen., ha proceduto alla determinazione della pena senza incorrere in alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus posto che, sia la pena detentiva base, ridotta ad anni 6 di reclusione rispetto a quella di anni 7 stabilita in primo grado, che la pena detentiva finale, fissata in anni 4 invece che in anni 6, risultano correttamente ridotte.
Né il giudice di secondo grado era in alcun modo obbligato così come prospetta il ricorso ad escludere la recidiva posto che l’errata valutazione di escludere l’aggravante dal giudizio di bilanciamento effettuata in p rimo grado, ritualmente dedotta con l’atto di appello, comportava soltanto una violazione della disciplina dettata dal citato art. 69 cod. pen. in tema di giudizio di comparazione, da correggere in secondo grado, ma non imponeva l’esclusione della citata a ggravante ad effetto speciale di cui all’art. 99 cod. pen.
Peraltro, il giudice di appello ha anche specificamente motivato la sussistenza della recidiva con gli argomenti esposti a pagina 3 della motivazione ove appunto viene sottolineato come le particolari modalità esecutive del fatto unite ai numerosi precedenti denotino la maggiore pericolosità dell’imputato, e tale valutazione in quanto ancorata a precisi argomenti di fatto appare priva di qualsiasi illogicità.
1.1 Quanto alla determinazione della pena nel minimo edittale assoluto, pure reclamata dal ricorso, deve ritenersi che, a fronte della rinnovata valutazione operata dal giudice di appello di operare il corretto bilanciamento tra tutte le attenuanti e le aggravanti, lo stesso ha rid otto la pena nell’ambito di una diversa forbice edittale motivando il lieve scostamento dal minimo, senza incorrere in alcun vizio denunciabile con il suddetto ricorso.
Invero, non risulta fondata la lettura delle norme formulata dalla difesa e secondo cui ove il giudice di appello abbia stabilito una pena nel minimo quello di appello se investito del gravame dell’imputato, ove stabilisca la pena nell’ambito di una diversa cornice edittale per effetto di un differente giudizio di bilanciamento, sarebbe obbligato a stabilire come pena base sempre la sanzione minima; al proposito, va ricordato come secondo l’orientamento delle Sezioni Unite ‘ NOME COGNOME ‘, nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597, comma 4, cod. proc. pen.), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, NOME COGNOME, Rv. 232066 -01); in motivazione le Sezioni Unite hanno affermato come: ‘ in caso di condanna dell’imputato, in primo grado, per un reato aggravato, quando venga esclusa, su mera impugnazione dello stesso, la circostanza aggravante contestata, il Giudice dell’appello, pur irrogando una pena inferiore a quella comminata nel precedente grado di giudizio, non può assumere, come pena base, una di entità maggiore di quella determinata in primo grado. Poiché, nel caso in esame, la Corte di merito, su impugnazione del solo imputato, ha escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 80 D.P.R. 09/10/1990, n. 309 e, pur infliggendo allo stesso una pena inferiore a quella irrogata dal Tribunale, nel calcolo di essa è partita da una pena base più grave, deve ritenersi esistente la violazione sia del principio del divieto della ” reformatio in peius ‘ , sancito dall’art. 597 co. 3 e 4 c.p.p., sia di quello del “devolutivo”, di cui al co. 1 della stessa norma di legge ‘ .
1.2 L’applicazione del suddetto principio che fa divieto al giu dice di appello di elevare la pena base non risulta violato dalla corte di merito; ed invero, nel caso in esame, il giudice di appello, operato il giudizio di bilanciamento che determinava l’applicazione di una diversa forbice edittale, ha correttamente di minuito la pena base stabilita in anni 6 di reclusione piuttosto che in quella di anni 7 di reclusione determinata in primo grado, sulla quale, poi, stabiliva la riduzione per il rito, senza che fosse obbligato a stabilire la pena nel minimo edittale assoluto della nuova cornice edittale.
A lla declaratoria di infondatezza consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 3 giugno 2025