Reformatio in Peius e Revoca della Sospensione Condizionale: La Cassazione Fa Chiarezza
Il principio del divieto di reformatio in peius rappresenta una garanzia fondamentale nel processo penale: se solo l’imputato impugna una sentenza, il giudice del grado successivo non può peggiorare la sua posizione. Ma cosa accade quando la modifica peggiorativa non deriva da una scelta del giudice, ma da un automatismo di legge? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna su questo tema delicato, offrendo chiarimenti cruciali sulla revoca della sospensione condizionale della pena.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di una città del sud Italia. L’imputato lamentava, tra le altre cose, che i giudici di secondo grado avessero revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena, violando così il divieto di reformatio in peius, dato che l’appello era stato proposto esclusivamente dalla difesa. Secondo il ricorrente, tale revoca costituiva un inasprimento illegittimo della sua posizione giuridica.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto il primo motivo di ricorso una mera riproposizione di censure già esaminate e respinte dalla Corte territoriale. Riguardo al secondo motivo, quello centrale sul divieto di reformatio in peius, la Corte lo ha giudicato manifestamente infondato, cogliendo l’occasione per ribadire un orientamento consolidato.
Le Motivazioni: Reformatio in Peius e Provvedimenti Dichiarativi
Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra atti discrezionali del giudice e atti meramente dichiarativi o ricognitivi. La Cassazione ha spiegato che il divieto di reformatio in peius si applica quando il giudice d’appello, esercitando un potere valutativo, peggiora la pena inflitta all’imputato.
Tuttavia, la revoca della sospensione condizionale, nelle ipotesi previste dall’articolo 168 del codice penale, non è frutto di una scelta discrezionale. Al contrario, è un provvedimento dichiarativo che consegue ope legis, ovvero per diretta applicazione della legge. Il giudice, in questi casi, non ‘decide’ di revocare il beneficio, ma si limita a prendere atto che si sono verificate le condizioni previste dalla norma per la sua automatica decadenza.
L’attività del magistrato è puramente ricognitiva e non discrezionale. Di conseguenza, non essendo una decisione peggiorativa frutto di una valutazione di merito, la revoca non viola il divieto di reformatio in peius. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della cassa delle ammende è la diretta conseguenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza conferma un importante principio per la difesa tecnica: non tutte le modifiche sfavorevoli in appello costituiscono una violazione del divieto di reformatio in peius. È fondamentale distinguere tra gli effetti che scaturiscono da una valutazione discrezionale del giudice e quelli che, invece, sono conseguenze automatiche previste dalla legge. La revoca di benefici come la sospensione condizionale rientra in questa seconda categoria. Per gli imputati e i loro difensori, ciò significa che l’impugnazione di una sentenza non mette al riparo da conseguenze negative che la legge ricollega automaticamente a determinati presupposti, i quali possono essere accertati anche nel giudizio di appello.
Un giudice d’appello può peggiorare la situazione dell’imputato se l’appello è stato proposto solo da quest’ultimo?
No, in linea di principio vige il divieto di
reformatio in peius. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che la revoca di un beneficio come la sospensione condizionale della pena non viola tale divieto quando si tratta di un effetto che si produce automaticamente per legge (
ope legis), e non di una decisione discrezionale del giudice.
Perché la revoca della sospensione condizionale della pena non è considerata una reformatio in peius?
Perché, secondo la Corte, si tratta di un provvedimento ‘dichiarativo’. Il giudice non esercita un potere discrezionale per peggiorare la pena, ma si limita a constatare che si sono verificate le condizioni previste dalla legge (art. 168 c.p.) per cui il beneficio deve essere obbligatoriamente revocato. L’atto del giudice è quindi di pura ricognizione.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come nel caso di specie, la Corte non esamina la questione nel merito. Il ricorrente, inoltre, viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, poiché si ritiene che abbia proposto l’impugnazione in assenza dei presupposti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44559 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44559 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 09/07/1980
avverso la sentenza del 05/03/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
•
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigra esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
letta la memoria difensiva in cui il ricorrente ha ulteriormente argomentato in meri secondo motivo di ricorso;
ritenuto che il primo motivo di ricorso è inammissibile perché meramente riproduttivo profili di censura in ordine alla configurabilità del reato già adeguatamente vagliati e di con corretti argomenti giuridici dalla Corte territoriale (si vedano le pagine da 3 a 5 della se impugnata);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato dovendosi, al riguardo ribadire che non contravviene al divieto della reformatio in peius il giudice di appello che, pur in presenza di impugnazione proposto dal solo imputato, revochi il beneficio della sospensione condizionale, nelle ipotesi previste dai commi primo e terzo dell’art. 168 cod. pen., in quan entrambi i casi, si tratta di provvedimenti dichiarativi, riguardanti effetti che si produ ope legis e presuppongono un’attività puramente ricognitiva e non discrezionale o valutativa (Sez. 2, n. 37009 del 30/06/2016, Seck, Rv. 267913);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagament delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della cassa del ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso 1’11 ottobre 2024.