Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24039 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24039 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 22/02/1998
avverso la sentenza del 30/09/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso udito il difensore avv. COGNOME sostituto dell’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 30 settembre 2024, in parziale riforma della sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma di condanna di NOME COGNOME in ordine al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (commesso in Roma il 9 novembre 2018), ha escluso la continuazione, rideterminato la pena in mesi 6 e giorni 20 di reclusione e revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna concessi all’imputato.
La contestazione di cui alla imputazione è quella di avere detenuto, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME, con finalità di cessione a terzi, gr. 27,25 di sostanza stupefacente del tipo cocaina suddivisa in n. 46 involucri e gr . 7,96 di sostanza stupefacente del tipo hashish suddivisa in n. 9 bustine. La polizia giudiziaria, nel corso di un’ attività di osservazione in una nota piazza di spaccio del quartiere di Tor Bella Monaca, aveva monitorato una reiterata attività di vendita di droga da parte dei correi COGNOME e COGNOME, nel corso della quale COGNOME agiva come palo e riceveva i corrispettivi delle cessioni da parte dei clienti. Al momento dell’intervento, che aveva consentito di sequestrare ai coimputati i quantitativi di sostanza stupefacente su indicati, COGNOME era riuscito a scappare. La sua identificazione era stata operata sulla base della pregressa conoscenza da parte dei carabinieri operanti, maturata nel corso di altra attività di indagine nella quale era stato coinvolto.
Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, formulando due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione alla affermazione della penale responsabilità e al trattamento sanzionatorio. Secondo il difensore, la Corte non avrebbe spiegato in che senso il riconoscimento da parte delle forze dell’ordine del ricorrente dovesse essere ritenuto attendibile, tenuto conto che il servizio di osservazione era stato attuato a distanza e che la pregressa conoscenza di COGNOME risaliva ad una indagine di un anno addietro. La Corte, inoltre, non avrebbe motivato in merito alla diminuzione della pena per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura inferiore al massimo consentito: il riferimento alla articolazione dell’attività di spaccio con un certo grado di organizzazione non sarebbe pertinente, tenuto conto della recente modifica normativa dell’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309/90 e della introduzione di una aggravante per il caso in cui la condotta non sia occasionale. Più in generale lamenta la eccessività del trattamento sanzionatorio, in assenza di idonea motivazione.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione alla revoca del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Il difensore sostiene che, in difetto dell’appello dell’organo dell’accusa, la Corte non avrebbe potuto revocare detto beneficio. La revoca ex officio sarebbe, invero, possibile solo nel caso di commissione di un nuovo delitto e non nel caso, come quello in esame, di condanne per fatti anteriormente commessi.
In esito alla discussione orale le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto con riferimento al secondo motivo e dichiarato inammissibile nel resto.
Il primo motivo, con cui si contestano sia l’affermazione della responsabilità, sia il trattamento sanzionatorio, è inammissibile per plurime convergenti ragioni e, comunque, manifestamente infondato.
La censura in ordine alla supposta inattendibilità del riconoscimento operato dalla polizia giudiziaria è versata in fatto e volta a sottoporre a questa Corte l’apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori, che non possono essere apprezzati se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. In replica ad analoga doglianza, la Corte ha osservato che i carabinieri avevano già avuto modo di osservare COGNOME in altra pregressa indagine svolta nella stesso quartiere e che il monitoraggio dell’attività di spaccio relativa al presente processo era stato prolungato e serrato, tanto che il verbale di arresto conteneva una descrizione dettagliata delle condotte poste in essere da tutti i soggetti coinvolti. A tale motivazione, adeguata e logica, il ricorrente non contrappone alcun argomento in fatto o in diritto, ma solo una diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie. A tale fine deve ribadirsi che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ di elemento di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944). Sono, perciò, estranei alla natura del sindacato di legittimità l’apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di Cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso
giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr . sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482)..
Anche la censura in ordine al trattamento sanzionatorio è meramente avversativa. E’ noto che la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo non impone al giudice di considerare necessariamente gli elementi favorevoli dedotti dall’imputato, sia pure per disattenderli, essendo sufficiente che nel riferimento a quelli sfavorevoli di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi, abbia riguardo al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost. (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281217 – 01). Alla lue di tale principio non pare censurabile la valutazione effettuata dalla Corte di Appello nel rilevare che la riduzione della pena in misura inferiore alla massima estensione era giustificata in ragione della diversa tipologia di stupefacenti trattati, hashish e cocaina, e del grado di organizzazione dell’attività di spaccio posta in essere. Nessuna contraddizione è ravvisabile nel riferimento operato dalla Corte al livello di organizzazione dell’attività di spaccio, alla luce della astratta configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P..R. n. 309/90 anche nel caso in cui la condotta abbia un carattere professionale e anzi la valorizzazione di tale aspetto, al fine di rimarcare la maggiore gravità del reato nel caso concreto ai fini della modulazione della pena, è coerente proprio con tale configurabilità.
Il secondo motivo, con cui si censura la revoca del beneficio della non menzione concesso con la sentenza di primo grado, è fondato.
La Corte ha revocato i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario concessi con la sentenza di primo grado in ragione delle ‘plurime condanne riportate dal COGNOME alla pena della reclusione non sospesa e per entità ben superiori ai due anni’. In tale modo, come rilevato dal ricorrente, ha violato il divieto di reformatio in peius.
Invero ai sensi dell’art. 175, comma 1, cod. pen., se con una prima condanna, è inflitta una pena detentiva non superiore a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore a 516 euro, il giudice, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133, può ordinare in sentenza che non sia fatta menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, spedito a richiesta di privati. La Corte Costituzionale con sentenza del 17 marzo 1988 n. 304 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui esclude che possano concedersi
ulteriori non menzioni di condanne nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati, nel caso di condanne, per reati anteriormente commessi a pene che cumulate con quelle già irrogate, non superino i limiti di applicabilità del beneficio.
L’art. 175, comma 3, cod. pen. prevede che, se il condannato commette successivamente altro delitto, l’ordine di non fare menzione è revocato.
E’ pacifico che non viola tale divieto di reformatio in peius il giudice che revochi il beneficio della non menzione nel caso in cui successivamente alla commissione del fatto per cui sia stato concesso il beneficio venga accertata la commissione di un delitto. In tale caso, infatti, la revoca, prevista dall’art. 175 comma 3 cod. proc. pen., opera di diritto e ha contenuto meramente dichiarativo, con la conseguenza che deve essere disposta d’ufficio dal giudice di appello, anche in assenza di impugnazione della parte pubblica (S ez. 5, n. 10294 del 12/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 280887 – 01; Sez. 5, n. 5384 del 11/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 215573 – 01; . Sez. 2, n. 3540 del 21/10/1983, COGNOME, Rv.158594). Nello stesso senso non incorre nel divieto di reformatio in peius il giudice di appello che revochi la sospensione condizionale nelle ipotesi previste dai commi primo e terzo dell’art. 168 cod. pen., in quanto in entrambi i casi si tratta di provvedimenti dichiarativi riguardanti effetti che si producono ope legis e presuppongono un’attività puramente ricognitiva.
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha revocato il beneficio della non menzione concesso in primo grado, non già per avere il ricorrente commesso successivamente altro reato, bensì in ragione delle plurime precedenti condanne a pena detentiva per delitti superiori ai due anni di reclusione, non considerate dal giudice di primo grado. Tale statuizione, conseguente alla concessione del beneficio della non menzione in violazione dei presupposti previsti dalla legge, avrebbe potuto essere adottata dalla Corte solo a seguito di appello della parte pubblica.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente alla revoca del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, con eliminazione di tale statuizione. Il ricorso, come detto, deve essere nel resto dichiarato inammissibile.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla revoca del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale; statuizione che elimina. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma il 11 giugno 2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME