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Reformatio in peius: quando non si viola il divieto

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per resistenza e lesioni. Viene chiarito che non sussiste violazione del divieto di reformatio in peius se il giudice d’appello, pur modificando la struttura del reato continuato, non irroga una pena complessivamente maggiore. L’infondatezza manifesta del ricorso comporta la condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reformatio in Peius e Reato Continuato: La Cassazione Fa Chiarezza

Il principio del divieto di reformatio in peius, sancito dall’articolo 597 del codice di procedura penale, rappresenta un pilastro fondamentale a garanzia dell’imputato. Esso stabilisce che la posizione di chi impugna una sentenza non può essere peggiorata dal giudice del grado successivo. Ma cosa accade quando il giudice, nel rideterminare la pena per un reato continuato, modifica la struttura del calcolo senza aumentare la sanzione finale? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna su questo delicato tema, offrendo chiarimenti importanti e ribadendo i limiti di applicabilità di tale divieto.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello, emessa in sede di rinvio. La Corte territoriale aveva parzialmente riformato la pronuncia di primo grado, rideterminando la pena per i delitti di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali, unificati dal vincolo della continuazione. L’imputato, tramite il suo difensore, lamentava una presunta violazione del divieto di reformatio in peius, sostenendo che il giudice d’appello avesse applicato un aumento di pena per il reato satellite (le lesioni) in misura maggiore rispetto a quanto fatto dal primo giudice, pur arrivando a una pena complessiva non superiore.

La Decisione della Corte di Cassazione e il principio di reformatio in peius

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno colto l’occasione per ribadire un principio consolidato, espresso in precedenza anche dalle Sezioni Unite. La Corte ha chiarito che il divieto di reformatio in peius non viene violato quando il giudice dell’impugnazione, pur modificando la struttura del reato continuato (ad esempio, individuando un diverso reato più grave come base di calcolo o, come nel caso di specie, applicando un aumento diverso per i reati satellite), non irroga una pena complessivamente maggiore di quella inflitta in precedenza. La valutazione deve essere fatta sul risultato finale, non sui singoli passaggi del calcolo sanzionatorio.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Corte si articola su tre punti principali.

In primo luogo, viene richiamata la giurisprudenza delle Sezioni Unite (sent. n. 16208/2014), secondo cui il cambiamento nella struttura del reato continuato non costituisce un peggioramento della posizione dell’imputato se la pena finale rimane invariata o diminuisce. Il divieto tutela il risultato sanzionatorio complessivo, non le singole componenti aritmetiche che portano a quel risultato.

In secondo luogo, la Corte osserva che la contestazione sulla recidiva reiterata e pluriaggravata era ormai definitiva e non più sub iudice. Di conseguenza, il giudice d’appello aveva correttamente tenuto conto di tale circostanza nel determinare la pena.

Infine, la motivazione della Corte d’Appello sulla quantificazione della pena è stata ritenuta congrua e priva di vizi logici. La pena base per il reato più grave (resistenza) era stata fissata in una misura inferiore al medio edittale (otto mesi), e l’aumento per le lesioni (due mesi) è stato considerato contenuto, soprattutto alla luce della pericolosità manifestata dall’imputato durante i fatti. Questa valutazione, secondo la Cassazione, è adeguatamente giustificata e non sindacabile in sede di legittimità.

Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma un orientamento giurisprudenziale cruciale in materia di impugnazioni penali. Stabilisce con chiarezza che la garanzia del divieto di reformatio in peius si concentra sulla pena totale inflitta all’imputato, consentendo al giudice del gravame una certa flessibilità nella strutturazione del calcolo sanzionatorio in caso di reato continuato. La decisione sottolinea anche le conseguenze di un ricorso manifestamente infondato: oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali, l’imputato è stato condannato a versare una somma alla Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Suprema Corte con motivi palesemente privi di pregio.

Quando il giudice d’appello modifica il calcolo della pena per il reato continuato, viola il divieto di reformatio in peius?
No, secondo la Corte non si verifica una violazione del divieto se la pena complessiva irrogata non è maggiore di quella decisa in primo grado. Il divieto protegge il risultato sanzionatorio finale, non i singoli passaggi del calcolo matematico.

Cosa accade se un ricorso in Cassazione viene giudicato manifestamente infondato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa evidente nel presentare un’impugnazione priva di fondamento.

Perché la Corte ha ritenuto congrua la motivazione sulla determinazione della pena?
La Corte ha considerato la motivazione adeguata perché la pena base per il reato più grave è stata fissata al di sotto della media edittale e l’aumento per il reato meno grave è stato ritenuto contenuto. Tale calcolo, secondo i giudici, teneva correttamente conto della pericolosità dimostrata dall’imputato nei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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