Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21972 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21972 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata in Montenegro il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/09/2023 della CORTE di APPELLO di CAMPOBASSO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, relativamente al trattamento sanzionatorio e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso nel resto;
ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, D. L. n. 137/2020.
RITENUTO IN FATI -0
La Corte di appello di Campobasso con sentenza del 28/9/2023 confermava – «previa esclusione, nelle date riportate in imputazione, di quelle del 16/1/2020, 16/6/2020, 11/9/2020 e 30/6/2021» – la sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Campobasso in data 22/11/2022, che aveva condannato NOME per il reato di cui all’art. 7, comma 1 e 2, D. L. n. 4/2019.
L’imputata, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen, in relazione all’art. 46 d.P.R. n. 445 del 2000, nonché omessa
motivazione in ordine alla necessaria sottoscrizione dell’autocertificazione. Rileva che le dichiarazioni sostitutive uniche assumono la forma dell’autocertificazione, per cui – essendo prive di sottoscrizione – non hanno alcuna rilevanza giuridica, per cui deve essere esclusa la rilevanza penale del fatto; che, invero, il requisito della sottoscrizione è condizione giuridica di efficacia della dichiarazione, sicché, in mancanza della firma del dichiarante, la dichiarazione sostitutiva non prova nulla e non ha efficacia alcuna nei confronti della pubblica amministrazione; che la trasmissione con mezzo informatico da parte del patronato abilitato non esclude la necessità di dover sottoscrivere la dichiarazione sostitutiva unica, al fine dell’attribuzione della responsabilità in ordine a quanto dichiarato.
2.1 Con il secondo motivo eccepisce il difetto assoluto di motivazione in relazione alla richiesta di una pronuncia assolutoria, risultante dal verbale di udienza del 28/9/2023, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Evidenzia che l’art. 7 del D. L. n. 4/2019 è abrogato con decorrenza dal 1/1/2024, per cui nell’ambito della successione delle leggi penali nel tempo dovrebbe trovare applicazione la lex mitior.
2.2 Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, evidenziando che la Corte territoriale, pur avendo escluso alcune condotte contenute nel capo di imputazione (quelle relative alle domande inoltrate in data 16/1/2020, 16/6/2020, 11/9/2020 e 30/6/2021), per le quali la ricorrente aveva riportato condanna in primo grado con il conseguente aumento di pena per la continuazione, non ha poi diminuito la pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti che seguono.
1.1 Manifestamente infondato è il primo motivo. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di precisare che, «secondo i principi generali che governano la materia del falso, non si richiede per il documento scritto che il suo autore sia indicato mediante la sottoscrizione, essendo sufficiente che egli sia individuabile in virtù di elementi contenuti nel documento o da esso richiamati» (Sezione 5, n. 26182 del 20/5/2010, Guercio, Rv. 247902 01; Sezione 5, n. 17921 del 18/12/2017, COGNOME, in motivazione). Nel caso di specie, rileva il Collegio che non vi è dubbio che l’atto contenesse tutti gli elementi per poter essere attribuito all’odierna ricorrente, essendovi addirittura indicate l generalità; che, peraltro, come ha correttamente rilevato al Corte territoriale nemmeno è stato dedotto che siano state effettuate presentazioni delle domande in questione all’insaputa e comunque senza il consenso della COGNOME. Sotto quest’ultimo profilo, dunque, il motivo è anche aspecifico, perché non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, limitandosi a
riprodurre le doglianze avanzate nel giudizio di appello.
1.2 Il secondo motivo – con cui ci si duole dell’omessa motivazione in ordine alla richiesta di assoluzione perché il fatto non costituirebbe più reato – è inammissibile perché l’istanza proposta in appello era manifestamente infondata. Sul punto, è stato affermato che, in tema d’impugnazioni, è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile “ah origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sezione 3, n. 46588 del 3/10/2019, COGNOME, Rv. 277281 – 01; Sezione 2, n. 35949 del 20/6/2019, COGNOME, Rv. 276745 – 01). Del resto, non avrebbe senso l’annullamento della sentenza di appello con rinvio al giudice di secondo grado a causa dell’omesso esame di un motivo di gravame, che in sede di rinvio per il suo esame sarebbe comunque destinato alla declaratoria di inammissibilità.
Ed invero, l’abrogazione, a far data dal 1/1/2024, del delitto di cui all’art. d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatt commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio di retroattività della “lex nnitior”, altrimenti conseguente ex art. comma secondo, cod. pen., ma tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, non presenta profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza fino a che sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del red di cittadinanza (Sezione 3, n. 7541 del 24/1/2024, Picciano, Rv. 285964 – 01; Sezione 3, n. 37836 del 18/4/2023, Simmi, n.m.; Sezione 3, n. 49047 del 16/11/2023, Periti°, n. m.).
In particolare, deve essere evidenziato che l’art. 1, comma 318, L. n. 197/2022 ha disposto, fra gli altri, l’abrogazione dell’art. 7 del D. L. n. 4/2019 contenente le disposizioni di carattere penale intese a sanzionare chi abbia indebitamente conseguito il beneficio economico del reddito di cittadinanza; che, per espressa previsione di legge, l’efficacia di tale effetto abrogativo è stata fissata dal legislatore alla data del 1/1/2024; che, dunque, nonostante la legge n. 197/2022 sia entrata in vigore già alla data del 1/1/2023, la concreta efficacia dell’effetto abrogativo previsto dalla disposizione in esame deve intendersi sospesa sino alla diversa data del 1/1/2024, con la conseguente perdurante
applicazione, trattandosi di disposizione ancora in vigore, del citato art. 7 e degli effetti penali da esso previsti; che, conseguentemente, al momento in cui è intervenuta la sentenza impugnata, il reato ascritto all’imputato non poteva certamente dirsi abrogato; che, in conclusione, non possono riconoscersi effetti, prima del 1/1/2024, all’abrogazione della fattispecie incriminatrice; che, in ogni caso, il 4/5/2023 è stato emanato il decreto legge n. 48, recante “misure urgenti per l’inclusione e l’accesso al mondo del lavoro”, conv., con modif., dalla I. 3 luglio 2023 n. 85, che – dopo aver riproposto, all’art. 8, commi 1 e 2, previsioni incriminatrici per le false od omesse comunicazioni concernenti l’ottenimento o il mantenimento dei nuovi benefici economici previsti dagli artt. 3 e 12 della legge, previsioni sostanzialmente identiche a quelle già contenute nell’art. 7, commi 1 e 2, d.l. 4/2019 con riguardo al reddito di cittadinanza – all’art. 13, comma 3, prevede che «al beneficio di cui all’articolo 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 7 del medesimo decretolegge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023».
Va, altresì, evidenziato che in proposito sono intervenute anche le Sezioni Unite, affermando che “L’art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha abrogato l’art. 7 dl. n. 4 del 2019, a decorrere, però, dal 1 gennaio 2024. Il legislatore, peraltro, nell’introdurre il cd. «assegno di inclusione» (misura d sostegno economico e di inclusione sociale e professionale destinata a sostituire integralmente il Rdc e definita dall’art. 1, comma 1, decreto legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, «quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro»), ha contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019 vigenti alla data in cui il beneficio è stato conces per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023” (Sezioni Unite, n. 49686 del 13/07/2023, Giudice, Rv. 285435 – 01, in motivazione).
È evidente, pertanto, che la nuova disposizione fa salva l’applicazione delle sanzioni penali dalla stessa previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina e ciò all’evidenza in deroga al principio retroattività della lex mitior, che altrimenti avrebbe dovuto trovare applicazione ai sensi dell’art. 2, comma 2, cod. pen., in seguito alla prevista abrogazione dell’art. 7 D.L. 4/2019. Trattasi, comunque, di deroga che – non risultando in contrasto con i principi ricavabili dall’art. 3 Cost. ed essendo altresì rispettos della disciplina ricavabile dalle convenzioni internazionali (cfr., per tutte, Cort
cost., sent. n. 236 del 22 luglio 2011) – non presta il fianco a censure, essendo indubbiamente sorretta da una giustificazione del tutto ragionevole. Ed invero, essa semplicemente assicura tutela penale all’erogazione del reddito di cittadinanza, in conformità ai presupposti previsti dalla legge, sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di tale beneficio, così coordinandosi con la sua prevista soppressione a far tempo dal 1/1/2024 e con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 D.L. 48/2023, che, strutturata in termini del tutto identici e rif agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito cittadinanza, continua a prevedere il medesimo disvalore penale delle condotte di mendacio e di omessa comunicazione volte all’ottenimento o al mantenimento delle nuove provvidenze economiche.
1.3 Coglie nel segno l’ultimo motivo. Invero, la Corte territoriale – pur avendo escluso alcune condotte contenute nel capo di imputazione, segnatamente quelle relative alle domande inoltrate in data 16/1/2020, 16/6/2020, 11/9/2020 e 30/6/2021, per le quali la ricorrente aveva riportato condanna in primo grado con il conseguente aumento di pena per la continuazione, confermando il giudizio di penale responsabilità solo con riferimento alla domanda contenente indicazioni mendaci del 13/7/2020 e di quella nuova del 19/10/2020 – non ha poi diminuito la pena. In particolare, il Giudice dell’udienza preliminare, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, aveva determinato la pena base nella misura di anni uno mesi quattro di reclusione ed aveva poi disposto un aumento per la continuazione con gli altri cinque episodi di presentazione di dichiarazioni mendaci pari a cinque mesi di reclusione, giungendo alla pena di anni uno mesi nove di reclusione, poi diminuita per la scelta del rito alla pena finale di anni uno mesi due di reclusione. Evidente, allora, è la violazione del principio del divieto di reformatio in peius, atteso che – pur avendo mandato assolta la ricorrente da quattro episodi in contestazione – ha confermato la pena irrogata dal giudice di primo grado, che, tenuto conto della omogeneità delle violazioni, aveva disposto sulla pena base un aumento pari ad un mese di reclusione per ognuna delle altre cinque condotte in contestazione. Invero, incorre nella violazione del divieto di reformatio in peius il giudice d’appello che, in presenza di impugnazione del solo imputato avverso una sentenza di condanna pronunciata per più reati unificati dal vincolo della continuazione, pur prosciogliendo l’imputato per taluno di essi, non diminuisce l’entità della pena originariamente inflitta, anche se l’aumento sia stato quantificato dal giudice di primo grado in misura inferiore al limite legale d cui all’art. 81, comma quarto, cod. pen. (Sezione 6, n. 29659del 11/5/2022, COGNOME, Rv. 283535 – 01; Sezione 1, n. 8272 del 27/1/2021, COGNOME, Rv. 280602 – 01; Sezione 5, n. 44088 del 9/5/2019, COGNOME, Rv. 277845 – 01; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sezione 5, n. 31998 del 6/3/2018, Rossi, Rv. 273570 – 01).
Sul punto, dunque, la decisione impugnata dev’essere annullata, con rinvio al giudice di merito, affinché, nella sua discrezionalità, stabilisca la riduzione pena che reputa equa, in ragione della pronunciata assoluzione dell’imputata dalle condotte relative alle domande inoltrate in data 16/1/2020, 16/6/2020, 11/9/2020 e 30/6/2021.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sue punto alla Corte di appello di Salerno.
Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Così deciso in Roma, il giorno 8 maggio 2024.