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Reformatio in peius: pena ridotta in caso di assoluzione

La Corte di Cassazione ha analizzato il caso di una persona condannata per indebita percezione del reddito di cittadinanza. Sebbene la Corte d’Appello avesse assolto l’imputata da alcuni episodi specifici, non aveva ridotto la pena complessiva. La Cassazione ha confermato la responsabilità penale ma ha annullato la sentenza riguardo alla pena, stabilendo che non ridurre la sanzione dopo un’assoluzione parziale viola il principio del divieto di ‘reformatio in peius’, ovvero il divieto di peggiorare la situazione dell’imputato che ha presentato appello.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reformatio in Peius: Annullata la Pena se Non Ridotta Dopo un’Assoluzione Parziale

Un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale penale è il divieto di reformatio in peius, che impedisce al giudice di peggiorare la posizione di un imputato che ha deciso di impugnare una sentenza di condanna. La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 21972/2024, è tornata su questo tema cruciale, annullando una decisione di secondo grado che, pur assolvendo parzialmente l’imputata, aveva lasciato invariata la pena. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Indebita Percezione del Reddito di Cittadinanza

Il caso ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Campobasso nei confronti di una donna per il reato di indebita percezione del reddito di cittadinanza, previsto dall’art. 7 del D.L. n. 4/2019. L’accusa riguardava la presentazione di diverse domande contenenti dichiarazioni mendaci.

La Corte di Appello di Campobasso, investita del caso, aveva confermato la condanna, ma aveva escluso la responsabilità penale per quattro specifici episodi, ritenendo provate le false dichiarazioni solo per due domande. Nonostante questa significativa assoluzione parziale, la Corte territoriale aveva confermato in toto la pena inflitta in primo grado, che era stata calcolata sulla base di un reato più grave aumentato per la continuazione con gli altri cinque episodi originariamente contestati.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso per cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Mancanza della sottoscrizione: Si sosteneva che l’assenza della firma sulle autocertificazioni le rendesse giuridicamente inefficaci, escludendo quindi la rilevanza penale del fatto.
2. Abrogazione del reato: Si eccepiva la mancata applicazione del principio della lex mitior, dato che la norma incriminatrice (art. 7 D.L. 4/2019) sarebbe stata abrogata a partire dal 1° gennaio 2024.
3. Violazione del divieto di reformatio in peius: Si lamentava che la Corte d’Appello, pur avendo assolto l’imputata da quattro dei sei episodi contestati, non avesse provveduto a ridurre la pena, violando così il divieto di peggioramento della sua posizione.

La Decisione della Suprema Corte e il Divieto di Reformatio in Peius

La Corte di Cassazione ha esaminato attentamente i motivi del ricorso, giungendo a conclusioni diverse per ciascuno di essi.

Rigetto dei Primi Due Motivi: Sottoscrizione e Abrogazione

La Corte ha ritenuto manifestamente infondato il primo motivo. Secondo la giurisprudenza consolidata, la sottoscrizione non è un requisito indispensabile per attribuire la paternità di un documento, se l’autore è comunque identificabile da altri elementi presenti nell’atto, come in questo caso le generalità complete dell’imputata.

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. Gli Ermellini hanno chiarito che, sebbene l’art. 7 del D.L. 4/2019 sia stato abrogato, una specifica norma transitoria (L. n. 197/2022) ha espressamente derogato al principio della lex mitior, mantenendo l’applicazione delle sanzioni penali per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. Questa scelta legislativa è stata ritenuta ragionevole per garantire una tutela penale continua fino alla soppressione definitiva del beneficio.

Accoglimento del Terzo Motivo: La Violazione del Divieto di Reformatio in Peius

Il vero cuore della sentenza risiede nell’accoglimento del terzo motivo. La Cassazione ha stabilito che la Corte d’Appello ha commesso un errore evidente. Il giudice di primo grado aveva determinato una pena base e poi l’aveva aumentata per la continuazione, considerando tutti gli episodi contestati (un mese di reclusione per ciascuno dei cinque episodi aggiuntivi). Assolvendo l’imputata da quattro di questi, la Corte d’Appello avrebbe dovuto necessariamente ricalcolare e ridurre l’aumento di pena per la continuazione, e di conseguenza la pena finale.

Non facendolo, ha di fatto confermato una sanzione sproporzionata rispetto ai reati per cui è stata confermata la condanna, violando così il principio del divieto di reformatio in peius.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine del diritto processuale penale: il giudice dell’impugnazione, in assenza di un appello del Pubblico Ministero, non può mai emettere una decisione che risulti più gravosa per l’imputato. Nel caso di specie, pur avendo ridotto il perimetro dell’accusa con un’assoluzione parziale, la Corte di Appello ha mantenuto la stessa pena, il che equivale a un peggioramento indiretto della posizione dell’imputata. La sanzione, infatti, è risultata la stessa ma per un numero inferiore di reati, implicando un trattamento sanzionatorio implicitamente più severo per i singoli episodi residui. Questo contrasta con la costante giurisprudenza della Cassazione, la quale afferma che, in caso di proscioglimento da alcuni reati unificati dal vincolo della continuazione, il giudice d’appello ha l’obbligo di ridurre l’entità della pena inflitta.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Ha rinviato il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello (quella di Salerno) che dovrà procedere a un nuovo giudizio sul punto, ricalcolando la pena in diminuzione per tenere conto dell’assoluzione parziale pronunciata. La dichiarazione di responsabilità penale per i due episodi residui è invece diventata irrevocabile. Questa sentenza ribadisce con forza l’intangibilità del divieto di reformatio in peius, un baluardo a garanzia dei diritti dell’imputato nel processo penale.

La mancanza della firma su un’autocertificazione rende il reato di falsa dichiarazione inesistente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sottoscrizione non è un requisito essenziale quando l’autore del documento è chiaramente identificabile da altri elementi contenuti nell’atto stesso, come le generalità del dichiarante.

L’abrogazione della norma sul reddito di cittadinanza cancella i reati commessi in precedenza?
No. La legge ha previsto una specifica deroga al principio della legge più favorevole (lex mitior), stabilendo che le sanzioni penali continuano ad applicarsi per tutti i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023, data di cessazione del beneficio.

Cosa succede se il giudice d’appello assolve da alcuni capi d’accusa ma non diminuisce la pena?
In questo caso, il giudice viola il principio del divieto di reformatio in peius. Se l’impugnazione è stata proposta solo dall’imputato, il proscioglimento anche solo parziale deve necessariamente comportare una riduzione della pena complessiva. In caso contrario, la sentenza può essere annullata dalla Corte di Cassazione su questo specifico punto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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