Divieto di Reformatio in Peius: Quando l’Appello Non Può Peggiorare la Pena
Una recente sentenza della Corte di Cassazione riafferma un principio cardine del nostro sistema processuale penale: il divieto di reformatio in peius. Questo principio tutela l’imputato che decide di impugnare una sentenza, garantendogli che la sua posizione non possa essere peggiorata dal giudice dell’appello, a meno che non vi sia anche un’impugnazione da parte del Pubblico Ministero. Il caso in esame offre un chiaro esempio di come questo divieto operi, anche in situazioni procedurali complesse.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine dalla condanna in primo grado di due persone per il reato di tentato furto, con assorbimento di una contravvenzione per possesso ingiustificato di strumenti atti allo scasso. Gli imputati, non ritenendo giusta la condanna, proponevano appello.
La Corte d’Appello, in seconda istanza, riformava parzialmente la decisione. Dichiarava il non doversi procedere per il tentato furto a causa della mancanza della querela da parte della persona offesa. Tuttavia, riteneva sussistente la responsabilità per la contravvenzione, precedentemente assorbita. Nel rideterminare la pena solo per questo reato minore, la Corte infliggeva una condanna a sei e cinque mesi di arresto, rispettivamente, in sostituzione della pena originaria di tre e due mesi di reclusione.
A prima vista, la sostituzione della “reclusione” (pena per i delitti) con l'”arresto” (pena per le contravvenzioni) potrebbe sembrare un esito favorevole. Tuttavia, l’aumento significativo della durata della detenzione ha spinto gli imputati a ricorrere in Cassazione, lamentando proprio la violazione del divieto di peggioramento della loro posizione.
Il Divieto di Reformatio in Peius e la Decisione della Cassazione
Il cuore della questione giuridica risiede nell’articolo 597, comma 3, del codice di procedura penale. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ribadendo un principio consolidato: il giudice dell’impugnazione, in assenza di appello del Pubblico Ministero, non può irrogare una pena più grave per specie e per quantità rispetto a quella inflitta in primo grado.
Per valutare se vi sia stata una violazione del divieto di reformatio in peius, non si deve guardare solo alla tipologia di pena, ma al suo impatto complessivo. In questo caso, passare da tre mesi di reclusione a sei mesi di arresto costituisce un peggioramento quantitativo, rendendo la sentenza d’appello illegittima. La Corte ha chiarito che il giudice di secondo grado ha violato la norma, infliggendo una pena più severa di quella decisa in prime cure.
L’Effetto Prevalente della Prescrizione
Nonostante il ricorso fosse fondato, la Corte di Cassazione, come suo dovere, ha verificato la possibile esistenza di cause di estinzione del reato. In base all’articolo 129 del codice di procedura penale, il giudice deve dichiarare d’ufficio determinate cause di non punibilità in ogni stato e grado del processo.
Analizzando le tempistiche, la Corte ha accertato che il reato di contravvenzione, commesso il 25 settembre 2018, si era estinto per decorso del termine di prescrizione il 25 settembre 2023. Poiché la prescrizione rappresenta una causa di estinzione del reato ed è più favorevole per l’imputato rispetto all’annullamento con rinvio per la sola rideterminazione della pena, la Cassazione ha dovuto applicarla.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte Suprema ha motivato la sua decisione su un doppio binario. In primo luogo, ha riconosciuto la fondatezza del ricorso degli imputati, confermando che la Corte d’Appello aveva errato nell’applicare una pena detentiva di durata superiore a quella originaria, violando il divieto di reformatio in peius. Questo principio è posto a garanzia del diritto di difesa e serve a non scoraggiare l’imputato dall’esercitare il proprio diritto di impugnazione per timore di un peggioramento della condanna. In secondo luogo, e in via prioritaria, la Corte ha applicato il principio secondo cui la declaratoria di una causa di estinzione del reato, come la prescrizione, prevale su qualsiasi altra questione, a meno che non emerga l’evidenza di una totale innocenza dell’imputato. Essendo maturato il termine massimo di prescrizione, la Corte non ha potuto fare altro che prenderne atto e dichiarare il reato estinto.
Conclusioni
La sentenza si conclude con l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il reato contestato è risultato estinto per prescrizione. Questo caso è emblematico per due ragioni fondamentali. Da un lato, riafferma con forza l’inviolabilità del divieto di reformatio in peius, un pilastro del giusto processo. Dall’altro, dimostra come l’istituto della prescrizione possa intervenire nel corso del giudizio, estinguendo l’azione penale e portando a una conclusione del procedimento che prescinde dall’accertamento di merito della responsabilità.
Un giudice d’appello può aumentare la durata della pena detentiva se cambia il tipo di reato in uno meno grave?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il divieto di
reformatio in peius impedisce di irrogare una pena più grave per specie e quantità. Un aumento della durata della detenzione, anche se si passa da “reclusione” ad “arresto”, costituisce un peggioramento vietato se l’appello è stato proposto solo dall’imputato.
Cosa succede se un motivo di ricorso è fondato ma nel frattempo il reato si è prescritto?
La Corte di Cassazione, prima di decidere sul merito del ricorso, deve verificare la presenza di cause di estinzione del reato. Se il reato è prescritto, la Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il reato è estinto, essendo questa una soluzione più favorevole per l’imputato rispetto a un nuovo giudizio per la sola rideterminazione della pena.
Perché il reato di tentato furto non è stato giudicato nel merito dalla Corte d’Appello?
La Corte d’Appello ha dichiarato di non doversi procedere per il tentato furto per difetto di querela. Ciò significa che mancava la condizione di procedibilità richiesta dalla legge, ovvero la denuncia formale da parte della persona offesa, indispensabile per poter perseguire penalmente quel tipo di reato.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32645 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 7 Num. 32645 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a RIVAROLO CANAVESE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a MODENA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/11/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna che ha dichiarato non doversi procedere per difetto d querela in ordine al delitto di tentato furto, contestato al capo A) della rubri confermata la penale responsabilità degli imputati in ordine alla contravvenzione di c all’art. 707 cod. pen., così riqualificata la vicenda originariamente ritenuta assorbit reato di cui al capo A), ha rideterminato la pena inflitta agli stessi.
I ricorrenti denunziano, in primo luogo, violazione di legge in relazione all’art. comma 3, cod. proc. pen., lamentando che la corte territoriale, dichiarata l’improcedibil per difetto di querela del reato di cui al capo A) della rubrica, ha rideterminato, p contravvenzione di cui all’art. 707 cod. pen., la pena finale nella misura di mesi se arresto per NOME COGNOME e di mesi cinque di arresto per NOME COGNOME, in sostituzion della pena della reclusione, inflitta agli stessi dal giudice di primo grado, rispettiva nella misura di mesi tre e mesi due.
Il difensore di NOME COGNOME ha depositato memoria difensiva pervenuta in data 22 maggio 2024.
3. I ricorsi sono fondati.
Occorre, infatti, ricordare il principio di diritto, che la Corte intende ribadire, s cui «Il giudice dell’impugnazione, in assenza del gravame del P.M., non può irrogare una pena più grave per specie e quantità rispetto a quella complessiva irrogata dal giudice d primo grado. Pertanto, quando il giudice di appello ha irrogato una pena di specie unica (pecuniaria o detentiva) al posto di una pena congiunta delle due specie (pecuniaria e detentiva), per valutare se sussiste violazione del divieto di “reformatio in peius” si dev ricorso al ragguaglio tra pene pecuniarie e detentive ai sensi dell’art. 135 cod. pen.» (S 3, n. 37872 del 26/05/2004, COGNOME, Rv. 230037; Sez. 3, n. 39475 del 19/07/2017, COGNOME, Rv. 271633; Sez. 4, n. 24430 del 10/06/2021, COGNOME, Rv. 281403).
Nel caso di specie, il giudice di appello ha irrogato una pena più grave di quella infl dal giudice di prime cure, in violazione dell’art. 597 comma 3 cod. proc. pen.;
Ciò posto, sebbene i ricorsi siano ammissibili e fondati, occorre verificare se s maturata una causa di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
In quest’ottica, la contravvenzione di cui all’art. 707 cod. pen., punita con l’ar inferiore nel massimo ad anni quattro, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen. risulta est per decorso del termine di prescrizione. Invero il decorso del termine di prescrizione reato, commesso in data 25 settembre 2018, è spirato in data 25 settembre 2023.
Ne discende l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché la contravvenzione di cui all’art. 707 cod. pen si è estinta per intervenuto decorso del termi di prescrizione.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 13 giugno 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente