Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26672 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26672 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in RUSSIA il 26/02/1980
avverso la sentenza del 09/09/2024 della Corte d’appello di Venezia
UP – 12/12/2024 Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Venezia del 5.05.2022, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di cui al capo 1), per mancanza di querela, ed ha confermato nel resto la sentenza, individuando, quanto al capo 2), una nuova pena base, tenuto conto della recidiva contestata, in anni tre di reclusione.
Nella determinazione della pena base, la Corte d ‘ appello ha ritenuto di dovere irrogare u na pena entro la forbice edittale dell’art. 497 bis cod. pen., anche se superiore a quella precedentemente determinata per il reato principale, venuto meno per effetto della declaratoria di improcedibilità.
Contro l’anzidetta sentenza, l ‘ imputato propone ricorso, affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta violazione di legge, in relazione agli artt. 81
cpv. cod. pen. e 597, comma 3, cod. proc. pen., richiamando l’orientamento di questa Corte sul divieto di reformatio in peius, e deducendo che la Corte d ‘ appello, nella determinazione della pena, avrebbe irrogato una pena più grave rispetto a quella comminata nel primo grado di giudizio.
Si è proceduto a trattazione cartolare e le parti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
La questione che pone il ricorrente è se, in caso di condanna per reati avvinti dal vincolo della continuazione e successiva riforma della condanna per il reato più grave, il giudice d ‘appello , pervenendo ad una pronuncia assolutoria in relazione a detto reato, sia vincolato, ex art. 597 cod. proc. pen., nella determinazione della pena base, alla quantità di pena già individuata, nel giudizio precedente alla riforma parziale, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione.
2.1 Sul tema dei mutamenti attinenti al reato continuato e delle conseguenti modifiche del trattamento sanzionatorio unificato che lo caratterizza, la giurisprudenza di legittimità si è espressa più volte, anche con numerosi interventi delle Sezioni Unite, tracciando un percorso complesso e affatto privo di incoerenze.
Nell ‘ ampia motivazione ricostruttiva (Sez. U, n. 22471 del 22/2/2015, Sebbar, Rv. 263717) questa Corte ha affermato che la “visione multifocale” che caratterizza la disciplina normativa prevista dall’art. 81 cod. pen. e la rende ora unitaria, ora pluralistica, dà ragione della necessità della individuazione delle singole pene per i reati-satellite ed è essenziale ai fini della “misura” degli aumenti da apportare alla pena-base. La perdita dell ‘ autonomia sanzionatoria dei reatisatellite nell’ambito del reato continuato non comporta, infatti, la irrilevanza della valutazione della gravità dei predetti reati, in sé considerati, per l’ottima ragione che il momento sanzionatorio segue quello valutativo e, dunque, lo presuppone e – ovviamente – si distingue da esso. Il giudice, dunque, considerata la unitarietà del disegno criminoso, procederà ai singoli incrementi sanzionatori, “determinando”, così, la pena, in osservanza delle norme sulla continuazione, ed ogni reato-satellite “contribuirà” alla determinazione della “pena finale” in base al
concreto valore ponderale che il giudicante intenderà – in concreto – attribuirgli (tenuto conto della indicazione che – in astratto – gli ha fornito il legislatore con la apposizione dei termini edittali).
2.2 Le Sezioni Unite Morales, poi, hanno affermato il principio di diritto secondo cui, ‘ nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi del calcolo relativo, che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597 comma quarto cod. proc. pen.), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado ‘ (Sez. U, n. 40910 del 27/9/2005, NOME COGNOME, Rv. 232066), e che ‘ la disposizione contenuta nel quarto comma dell’art. 597 cod. proc. pen. individua, come elementi autonomi, pur nell’ambito della pena complessiva, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena base per le circostanze, sia l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione, con conseguente obbligo di diminuzione della pena complessiva, in caso di accoglimento dell’appello in ordine alle circostanze o al concorso di reati, anche se unificati per la continuazione, come espressamente previsto dall’art. 597, comma 4, cod. proc. pen. con conseguente impossibilità di elevare la pena comminata, per detti singoli elementi, pur risultando diminuita quella complessiva a seguito dell ‘ accoglimento dell’appello proposto non in ordine alle circostanze o al concorso di reati, ma per altri motivi, quali – ad esempio l’eccessività della pena base ‘ (Sez. 2 Pen., 12/06/1998, COGNOME; Sez. 5 Pen., 28/07/’98, Floris e 03/05/2002, COGNOME; Sez. 6 Pen., 25/06/1999, COGNOME; Sez. 1 Pen., 03/11/2004, COGNOME).
Le SS.UU. Morales pur riguardando la specifica ipotesi di esclusione di un’aggravante e di fissazione di una pena base più severa di quella fissata nel giudizio di primo grado, affermano un principio di portata generale, afferente anche all’ipotesi di reato continuato, in linea con il tenore letterale dell’art. 597, comma 4, cod. proc. pen., che fa espressa menzione anche dei reati unificati dal vincolo della continuazione.
Le Sezioni Unite 16208/2014, nell’affrontare il tema della applicabilità della regola del divieto di reformatio in peius anche nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, risolto positivamente secondo il consolidato orientamento di questa Corte ove impugnante sia il solo imputato, hanno ritenuto di riaffermare il dictum della sentenza NOME COGNOME che vale solo nella ipotesi in cui il giudice dell’appello o del rinvio sia chiamato a giudicare della stessa sequenza di reati avvinti dal cumulo giuridico, giacché in tal caso
rinviene adeguata giustificazione la preclusione a non rivedere in termini peggiorativi non soltanto l’esito finale del meccanismo normativo di quantificazione del cumulo, ma anche i singoli parametri di commisurazione di ciascun segmento che compone quel cumulo. Diversamente, laddove muti l’individuazione del reato più grave e il relativo trattamento sanzionatorio assunto come pena-base, è legittimo apportare per i reati satellite aumenti più consistenti, a patto di non irrogare una pena complessivamente maggiore (Sez. U., n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653-01).
Le Sezioni Unite hanno evocato il concetto di ‘novazione strutturale’ cui darebbe origine sia il mutamento dei termini di raffronto, sia l’ordine di sequenza tra i reati avvinti nella continuazione, cosicché l’unico limite imposto al giudice d’appello sare bbe quello del divieto di superare la pena finale stabilita in primo grado. In conclusione, secondo SS.UU. 1608/2014, ‘nell’ipotesi di dissoluzione della sequenza sanzionatoria e dei relativi parametri di commisurazione, per effetto dell’individuazione, qu ale violazione più grave, di un diverso reato, la Corte di appello ha facoltà di rideterminare la pena per la nuova violazione più grave e non è vincolata dalle determinazioni assunte dal primo giudice quanto ai ‘singoli segmenti -o passaggi di giudizio ‘ che hanno concorso a determinare la pena finale ‘ .
In tali casi, pertanto, l’unico elemento di confronto non può che essere rappresentato dalla pena finale, dal momento che è solo questa che “non deve essere superata” dal giudice del gravame: esattamente come non potrebbe comunque essere superata una pena determinata dal primo giudice in mitius, anche se contra legem.
Le Sezioni Unite hanno pertanto affermato il principio di diritto che “non viola il divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597 c.p.p., comma 3, il giudice di rinvio che, individuata la violazione più grave a norma dell’art. 81 cpv. c.p., in conformità a quanto stabilito nella sentenza della Corte di cassazione, pronunciata su ricorso del solo imputato, apporti per uno dei reati in continuazione un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore”.
2.3 Tanto premesso, nella specie l a Corte d’appello ha parzialmente accolto l’impugnazione dell’imputato, riformando la sentenza di primo grado , quanto al capo sub 1), per il quale veniva emessa declaratoria di proscioglimento, ed ha confermato la sentenza appellata, quanto al capo sub 2), irrogando una pena superiore a quella stabilita dal primo giudice, in violazione, dunque, del divieto di reformatio in pejus, che trova applicazione allorquando sia il solo imputato ad interporre gravame, come nella specie.
Ora, se appare oramai consolidato e pacifico il principio secondo il quale il divieto di reformatio in peius laddove sia stato accolto l’appello proposto dal solo imputatoè ostativo all’irrogazione di una sanzione finale uguale o superiore a quella comminata in primo grado, non altrettanto pacifica è la questione dell’applicabilità del divieto di reformatio in peius anche ai segmenti sanzionatori intermedi, in caso di reato continuato.
Specificamente, si è affermato, con principio che il Collegio condivide e ribadisce, che viola il divieto di “reformatio in pejus” la decisione del giudice d’appello che, in presenza di impugnazione del solo imputato avverso una sentenza di condanna pronunciata per più reati unificati dal vincolo della continuazione, pur dichiarando l’estinzione per prescrizione di taluni di essi, non diminuisce l’entità della pena originariamente inflitta. Con il necessario corollario che il risultato di mancata diminuzione della pena originaria non può essere conseguenza dell’aumento di un diverso, perdurante elemento della continuazione, che “si sostituisca”, con aggravata valenza sanzionatoria, a quello eliminato (Sez. 3, n. 38084 del 23/6/2009, COGNOME, Rv. 244961; Sez. 4, n. 47341 del 28/10/2005, COGNOME, Rv. 233177; Sez. 3, n. 20403 del 28/4/2005, COGNOME, Rv. 231837). Allo stesso modo si è affermato l’obbligo di diminuire la pena finale in caso di assoluzione per alcuni dei reati posti in continuazione (in tal senso, Sez. 2, n. 28042 del 5/4/2012, COGNOME, Rv. 253245).
Tanto premesso, quanto agli orientamenti più recenti, questa Corte ha affermato che nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna per il reato più grave ritenuto in continuazione, il giudice, nel determinare la pena per il reato satellite, non è vincolato alla quantificazione già effettuata in termini di aumento ex art. 81, comma secondo, cod. pen., ma, per il divieto di “reformatio in peius”, non può irrogare per il reato residuo ritenuto più grave una pena più grave, per specie e quantità, di quella base stabilita nel provvedimento di condanna annullato, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione, purché superiore al minimo edittale previsto per tale reato satellite, configurandosi altrimenti un’ipotesi di pena illegale (Sez. 5, 19.5.2005, n.22134, COGNOME, RV. 232153; Sez. 6, n. 4162 del 07/11/2012, dep. 2013, Ancona ed altri, Rv. 254263 – 01; Sez. 2, n. 5502 del 22/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258263 -01; Sez. 2, Sentenza n. 2692 del 09/12/2022, dep. 2023, Rv. 284301 -01; Sez. 4, 7/03/2023, Rv.31435 -1; Sez. 4, Sentenza n. 9176 del 31/01/2024, Rv. 285873 -01), ritenendo che non incorre nella violazione denunciata ove venga inflitta, sulla scorta dell’indicazione di precipui indici di cui all’art.133 cod. pen., per il nuovo reato ritenuto più grave la medesima pena che era stata determinata, quale pena base, per il precedente reato poi dichiarato prescritto.
Le pronunce di questa Corte hanno riaffermato il medesimo principio, ritenendo non violato il divieto in caso di determinazione della pena base per il reato satellite divenuto più grave in misura inferiore rispetto al reato più grave per il quale era intervenuta la assoluzione, apportando per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. 2, Sentenza n. 48538 del 21/10/2022, Rv. 284214 -01).
Da ultimo richiama le Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, Rv. 258653-01, la sentenza Sez. 2, n. 16524 del 03/03/2022, Rv. 283075 -01, che ha affermato il principio di diritto così massimato: “non viola il divieto di “reformatio in peius” previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore”. Secondo tale orientamento ermeneutico, dunque, non ricorre alcuna violazione del disposto dell’art. 597 cod. proc. pen. nel caso in cui il giudice d’appello apporti, per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso, un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. 6, n. 15890 del 03/12/2013, Lleshji, Rv. 261528-01); o, ancora, nel caso in cui sia necessario rideterminare il trattamento sanzionatorio in applicazione della disciplina del reato continuato o per intervenuta modifica dei reati satelliti, ovvero per una diversa individuazione del reato ritenuto più grave, e il giudice apporti per uno dei fatti unificati un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente superiore (Sez. 2, n. 29017 del 20/06/2014, COGNOME, Rv.260099- 01). Ne discende, nell’ambito dell’ermeneusi proposta da Sez. U., n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653-01, che in tali casi l’unico elemento di confronto non può che essere rappresentato dalla “pena finale dal momento che è solo questa che non deve essere superata dal giudice del gravame”.
Nella specie, ricorre esattamente una novazione di carattere strutturale del meccanismo di unificazione in relazione al fenomeno della continuazione, con mutamento del titolo del reato più grave e del trattamento sanzionatorio assunto come pena base, alla quale consegue l’impossibilità di sovrapporre la nuova dimensione strutturale a quella oggetto del precedente giudizio, giacché, ove così fosse, si introdurrebbe una regola di invarianza che, come evidenziato dalle citate Sez. U, sarebbe priva di qualsiasi logica giustificazione.
Quanto alla posizione del ricorrente, la Corte d ‘appello , nel determinare la pena base per il reato di cui all’art.497 bis cod. pen., divenuto l’ unico reato, ha individuato una pena di anni due di reclusione, nel minimo edittale dell’art.497 bis cod. pen., ma superiore a quella in precedenza determinata per il reato principale, venuto meno, aumentata, in misura fissa, della metà, per effetto della ritenuta recidiva, ex art.99, comma 3, cod. pen., sino alla pena finale di anni tre di reclusione.
Il trattamento sanzionatorio irrogato dalla Corte di appello, in mancanza della impugnazione del Pubblico Ministero, viola il divieto di reformatio in peius, in quanto superiore alla pena base, di anni uno, mesi tre e giorni diciotto di reclusione di reclusione, come determinata per il reato più grave nella sentenza di primo grado.
La sentenza impugnata, pertanto, va annullata, senza rinvio, limitatamente al trattamento sanzionatorio e la pena va rideterminata , ai sensi dell’art. 620, lett. l), cod. proc. pen., in anni uno, mesi tre e giorni 18 di reclusione, nella misura indicata nella sentenza di primo grado.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e ridetermina la pena in anni uno, mesi tre e giorni 18 di reclusione.
Così deciso in Roma il 15/05/2025.