Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2506 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2506 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a FIRENZE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga respinto;
udito il difensore: l’avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento degli stessi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 maggio 2021 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma delle sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma il 30 ottobre 2019, ha assolto NOME da due contestazioni di tentato omicidio (capi C e D) e rideterminato in due anni e sei mesi di reclusione e 8.000 euro di multa la pena a lui irrogata per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (capo A) e porto in luog pubblico di arma comune da sparo (capo B); ha, inoltre, confermato la sentenza di primo grado con riferimento alle posizioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME, condannati, rispettivamente, per resistenza a pubblico ufficiale (capo A, in concorso con NOME) e simulazione di reato (capo E).
1.1. Con sentenza n. 31590 del 27/07/2022, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione, dichiarato inammissibile il ricorso di NOME COGNOME, ha annullato la predetta sentenza, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma, nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato di cui al capo B, nonché nei confronti di COGNOME NOME (che rispondeva del solo reato di cui al capo A).
1.2. Con sentenza del 13 aprile 2023, a seguito del giudizio di rinvio, la Corte di appello di Roma ha assolto COGNOME e, confermando il giudizio di responsabilità del COGNOME anche per il reato di cui al capo B, ha rideterminato in due anni e dieci mesi di reclusione e 8.000 euro di multa la pena nei confronti di quest’ultimo.
1.3. La vicenda fattuale oggetto di attenzione riguarda la condotta del COGNOME che, guidando un’autovettura a bordo della quale viaggiava il COGNOME, avrebbe forzato un posto di blocco dei carabinieri, in data 20 novembre 2016, esplodendo pure due colpi di pistola.
COGNOME non ha impugnato in appello il capo di condanna relativo alla resistenza a pubblico ufficiale, ma solo quello relativo al porto dell’arma e, come si è visto, la sentenza di appello che ha confermato la condanna per quel capo è stata oggetto di annullamento da parte della Corte di cassazione.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi di seguito enunciati negli stretti limiti di c all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Sostiene che la Corte di appello sarebbe incorsa nel medesimo errore già ravvisato dalla sentenza rescindente, la quale aveva stigmatizzato la sentenza annullata che aveva giudicato non attendibili le dichiarazioni dei carabinieri nella
parte in cui avevano descritto la direzione dei colpi esplosi dall’imputato (tanto che, nell’incertezza della loro direzione, era stata esclusa l’ipotesi di tentat omicidio) e tuttavia aveva ritenuto le stesse dichiarazioni sufficienti ai fi dell’affermazione di responsabilità per il porto di un’arma che non è stata mai trovata, su di un’autovettura che, sottoposta a controllo una settimana dopo i fatti, non presentava tracce di polvere da sparo, mentre gli unici bossoli trovati sul luogo dei fatti sono stati quelli delle armi in dotazione ai militari.
Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello non avrebbe sanato i vizi della sentenza annullata e li avrebbe anzi riproposti, nel momento in cui ha ritenuto di superare i dubbi attraverso la congettura per la quale la pistola portata dall’imputato poteva essere a tamburo e dunque tale da non espellere bossoli, ed ha prestato fede alle dichiarazioni dei carabinieri pur avendole in pari tempo definite confuse, oltretutto affermando, contrariamente a quanto sarebbe stato dichiarato dal carabiniere COGNOME, che quest’ultimo avrebbe visto una “fiammata”, segno dell’esplosione dei colpi.
La Corte di appello non avrebbe affatto considerato la consulenza tecnica di parte secondo la quale, alla luce delle fotografie dei luoghi, gli unici spari esplosi potevano essere quelli dei carabinieri.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, essendo la Corte di appello incorsa in violazione del divieto di reformatio in peius allorché ha aumentato da otto mesi ad un anno di reclusione la misura dell’aumento ex art. 81, comma secondo, cod. pen. per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, reatosatellite rispetto alla violazione più grave di cui al capo B.
3. Si è proceduto a discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
La sentenza rescindente aveva ravvisato «una grave lacuna motivazionale, costituita dall’insufficiente considerazione, nella delibazione del contributo di COGNOME e COGNOME, di quei profili che, all’interno del medesimo provvedimento, hanno giustificato l’assoluzione dell’imputato dalla contestazione di tentato omicidio elevata al capo C) per insussistenza dell’addebito». Più precisamente, osservava la Corte di cassazione, «una volta, invero, affermato (cfr. pag. 5 della motivazione della sentenza impugnata) che COGNOME, “alla luce della concitazione del momento”, potrebbe essere caduto in un errore percettivo in ordine all’esistenza di un pericolo di vita, connesso all’avere l’imputato reiteratamente sparato ad altezza d’uomo, appare logico verificare se ed in quale
misura il suo apporto sia, nel complesso, confortato dalle concorrenti emergenze istruttorie. La sentenza impugnata offre, al riguardo, indicazioni che accreditano, almeno in potenza, la versione difensiva anziché l’impostazione accusatoria, e che si traggono, rispettivamente: dal racconto di COGNOME, il quale ha risolutamente escluso che il coimputato disponesse, quella notte, di una pistola e, comunque, che dalla Mercedes siano stati esplosi colpi di arma da fuoco; dagli esiti delle espletate investigazioni, che hanno condotto al rinvenimento di bossoli espulsi dalle armi in dotazione ai Carabinieri e di fori di proiettile sulla so Mercedes a bordo della quale si trovavano gli imputati e non anche sul veicolo di servizio dei militari; dall’essere stata ascritta la materiale disponibilità dell’arma solo COGNOME COGNOME quale, assiso sul posto di guida la avrebbe, nondimeno, puntata tramite il finestrino anteriore lato passeggero. Il coefficiente di equivocità dell emergenze istruttorie è, in apparenza, accresciuto dal fatto che COGNOME, in contrasto con la realtà, ha descritto i vetri della Mercedes come oscurati e che COGNOME ha, genericamente, riferito di bagliori e boati, che egli, grazie all’informazione trasmessagli dal collega, ha ricollegato alla disponibilità, in capo a chi si trovava sulla Mercedes, di un’arma da fuoco».
Dunque, la Corte di appello avrebbe dovuto rivalutare l’attendibilità del racconto dei testi COGNOME e COGNOME circa la sussistenza del reato di cui al capo B e giustificare la decisione, tenuto conto della circostanza che il coimputato ha escluso la presenza di una pistola nella macchina, che l’arma non è stata reperita né sono stati trovati bossoli, che le dichiarazioni del COGNOME nella parte in cui ha detto di aver visto bagliori e percepito boati sono state ricollegate alla presenza dell’arma solo sulla base delle dichiarazioni del COGNOME il quale, però, non era attendibile laddove ha parlato dell’altezza di sparo dei colpi e della presenza di vetri oscurati sulla macchina.
La Corte di appello ha fornito una non illogica risposta ai rilievi della sentenza rescindente, precisando che:
nonostante le non chiare domande rivolte ai testi (solo in tal senso, ha precisato la Corte, le notizie fornite dai carabinieri possono essere definite “confuse”: cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), è risultato acclarato che il teste COGNOME abbia visto l’imputato impugnare la pistola e sparare non dal finestrino del lato passeggero, bensì da quello del conducente (pag. 6 della sentenza impugnata);
le fotografie versate in atti sembrano davvero accreditare la versione secondo la quale i vetri dell’auto condotta dal ricorrente erano oscurati, sicché anche tale contraddizione non sussiste e in ogni caso, nella concitazione del momento e in una situazione di scarsa visibilità (alle 6 del mattino del 20
novembre) l’eventuale imprecisione sul punto non può ritenersi decisiva (pagg. 67);
– il teste COGNOME ha visto una “luce” proprio all’esterno del finestrino del lato guida, a conferma della circostanza che i colpi siano stati sparati da quel lato (la luce, secondo la Corte di appello, corrisponde alla fiammata prodotta dal colpo).
A fronte dei dati esposti, la Corte ha ritenuto attendibili le dichiarazioni de testi ed ha giudicato che le stesse si siano reciprocamente confermate, non essendo dirimenti gli ulteriori dati: infatti, l’auto fu controllata una settimana dop e fu trovata perfettamente pulita, sicché eventuali tracce di polvere da sparo sarebbero state non visibili; l’assenza di bossoli, cioè la medesima circostanza che ha portato il consulente difensivo a non ritenere provata la presenza di altre armi oltre a quelle dei militari, non è dirimente perché la pistola poteva essere a tamburo, mentre la presenza della “fiammata” (cioè di quella che il teste COGNOME ha definito “luce”) è incompatibile con la circostanza che la pistola fosse ad aria compressa.
La Corte di appello, lungi dal ritenere provata la presenza di un’arma a tamburo in contrasto con le evidenze, ha invece superato in modo attendibile le contraddizioni non spiegate dalla sentenza annullata e ha giustificato un giudizio di attendibilità delle dichiarazioni dei testi, che si confermano reciprocamente sul punto specifico e che appaiono da sole sufficienti a provare la presenza dell’arma da sparo, senza che l’assenza di bossoli sia dirimente. Detto diversamente, sono le dichiarazioni dei testi a confermare, secondo la Corte di appello, la presenza e l’utilizzo di un’arma da sparo, mentre l’assenza di bossoli non costituisce prova del contrario.
La circostanza che la Corte di appello non si sia espressamente confrontata con le dichiarazioni del coimputato è irrilevante, nell’economia della decisione impugnata: la ritenuta e spiegata attendibilità dei testi di polizia giudiziaria – un volta giustificate le contraddizioni – sul punto relativo alla presenza dell’arma è infatti di per sé tale da giustificare la decisione in modo non manifestamente illogico.
Va infine ricordato che esula «dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME).
2. E’ invece fondato il secondo motivo.
Va ribadito che «viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice di appell che, giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento della sentenza di condanna su ricorso proposto dal solo imputato, non si attiene al giudicato implicitamente formatosi sul capo della decisione non interessato dalla pronuncia di annullamento» (Sez. 4, n. 31840 del 17/05/2023, A., Rv. 284862); e che «in caso di annullamento con rinvio della sentenza di condanna su ricorso dell’imputato relativo alla sussistenza del reato ed alla sua responsabilità, la cognizione del giudice di rinvio è limitata dal giudicato implicito formatosi sul capo della sentenza relativo alla misura della pena, non interessato dall’annullamento» (Sez. 2, n. 7808 del 04/12/2019, dep. 2020, COGNOME Khalfi, Rv. 278680).
Ne deriva che «viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice dell’impugnazione che, dopo aver riqualificato in termini di minore gravità il fatto sul quale è commisurata la pena base … pur irrogando una sanzione complessivamente inferiore a quella inflitta in primo grado, applichi per i reati satellite – già unificati dalla continuazione – un aumento di pena maggiore rispetto a quello praticato dal giudice della sentenza riformata» (Sez. 2, n. 16995 del 28/01/2022, Somma, Rv. 283113).
Deve allora concludersi nel senso che la Corte di appello ha rideterminato in peius l’aumento a titolo di continuazione per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, rispetto al quale l’affermazione di responsabilità del ricorrente e la misura della pena non sono più oggetto di giudizio, non essendo stato il relativo capo di condanna impugnato dal pubblico ministero (e, per il vero, nemmeno dall’imputato, il cui atto di appello non si riferiva al reato di resistenza a pubblic ufficiale).
All’errore può porsi rimedio in questa sede, semplicemente riportando alla misura di otto mesi l’aumento, come già deciso dal giudice di primo grado, e dunque rideterminando la pena complessiva negli stessi esatti termini stabiliti dal Tribunale, come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina nella misura di anni due e mesi sei di reclusione ed euro 8.000,00 di multa.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 30/11/2023