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Reformatio in peius: no confisca in appello

La Corte di Cassazione ha annullato la confisca di un terreno disposta dalla Corte d’Appello in un caso di discarica abusiva. Poiché l’appello era stato presentato solo dall’imputato e non dal Pubblico Ministero, l’aggiunta della confisca (non prevista in primo grado) ha violato il divieto di ‘reformatio in peius’, ossia il divieto di peggiorare la condanna dell’appellante.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reformatio in Peius: La Cassazione Annulla la Confisca Aggiunta in Appello

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47303 del 2024, ha riaffermato un principio cardine del nostro sistema processuale penale: il divieto di reformatio in peius. Questo principio tutela l’imputato che decide di impugnare una sentenza, garantendogli che la sua posizione non possa essere peggiorata dal giudice dell’appello se il Pubblico Ministero non ha a sua volta proposto un gravame. Il caso in esame riguarda un reato ambientale e l’illegittima aggiunta della sanzione della confisca in secondo grado.

I Fatti del Processo

La vicenda giudiziaria trae origine da una condanna per il reato di realizzazione di una discarica abusiva, in concorso tra più persone. Il Tribunale di primo grado aveva condannato l’imputato alla pena di cinque mesi e dieci giorni di arresto e 4.000 euro di ammenda, concedendo la sospensione condizionale della pena. Tuttavia, il giudice non aveva disposto la confisca del terreno interessato dall’attività illecita.

L’imputato, ritenendo ingiusta la condanna, proponeva appello. La Corte d’Appello, pur confermando la responsabilità penale e la pena, integrava la sentenza di primo grado disponendo la confisca del terreno. Questa decisione veniva presa nonostante l’appello fosse stato presentato unicamente dalla difesa e non dal Pubblico Ministero, che aveva accettato la sentenza di primo grado nella sua interezza, inclusa l’omissione della confisca.

Il Divieto di Reformatio in Peius e il Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su un unico e decisivo motivo: la violazione dell’articolo 597 del codice di procedura penale, che sancisce appunto il divieto di reformatio in peius. La tesi difensiva era chiara: poiché l’appello era stato proposto esclusivamente nell’interesse dell’imputato, la Corte d’Appello non aveva il potere di aggravare la sua posizione aggiungendo una sanzione patrimoniale, la confisca, che il primo giudice non aveva applicato. Questa aggiunta rappresentava un chiaro peggioramento della condanna, in violazione di una fondamentale garanzia processuale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato, annullando senza rinvio la sentenza d’appello nella parte relativa alla confisca. I giudici di legittimità hanno spiegato in modo inequivocabile che il giudice dell’appello, in assenza di impugnazione del Pubblico Ministero, non può ordinare la confisca dei beni non disposta dal primo giudice. Questo divieto opera anche quando la confisca è prevista come obbligatoria dalla legge.

La Corte ha sottolineato che la confisca in questione, pur essendo una misura di sicurezza, ha una chiara funzione sanzionatoria. Pertanto, la sua applicazione in appello, in assenza di un gravame dell’accusa, costituisce una violazione diretta del divieto di reformatio in peius. La Suprema Corte ha inoltre distinto questa situazione dalla mera correzione di un errore materiale, procedura non applicabile al caso di specie. Se il primo giudice omette una statuizione obbligatoria, lo strumento corretto per rimediare a tale mancanza è l’intervento del giudice dell’esecuzione, come previsto dall’art. 676 cod. proc. pen., e non una modifica peggiorativa in sede di appello su esclusiva iniziativa della difesa.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce la centralità del divieto di reformatio in peius come garanzia fondamentale per l’imputato, che deve essere libero di esercitare il proprio diritto di impugnazione senza temere un ingiustificato peggioramento della sua condanna. La decisione chiarisce che l’omissione di una sanzione obbligatoria in primo grado, se non contestata dalla pubblica accusa, non può essere sanata a danno dell’imputato nel giudizio d’appello. Si tratta di un importante monito sul rispetto delle regole processuali e sulla corretta ripartizione delle competenze tra il giudice della cognizione e quello dell’esecuzione.

Può il giudice d’appello aggiungere la confisca di un bene se il giudice di primo grado non l’aveva disposta e l’unico a fare appello è l’imputato?
No, non può. Secondo la Cassazione, ciò costituirebbe una violazione del divieto di reformatio in peius, ovvero il divieto di peggiorare la situazione dell’imputato quando solo lui ha impugnato la sentenza.

Cosa significa ‘divieto di reformatio in peius’ nel processo penale?
È un principio fondamentale secondo cui, se solo l’imputato presenta appello contro una sentenza di condanna, il giudice dell’appello non può emettere una decisione più sfavorevole per lui, né in termini di pena né aggiungendo sanzioni come la confisca.

Se il giudice di primo grado omette una statuizione obbligatoria come la confisca, come si può rimediare?
La Cassazione chiarisce che a tale omissione può porre rimedio il giudice dell’esecuzione, attraverso lo strumento previsto dall’art. 676 del codice di procedura penale, ma non il giudice d’appello in assenza di un’impugnazione da parte del Pubblico Ministero.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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