Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20361 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20361 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Barisciano (AQ), il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/09/2023 della Corte d’appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, NOME COGNOME COGNOME:he ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria difensiva di replica alle conclusioni di COGNOME e insiste nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di L’Aquila ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di L’Aquila, e previa riqualificazione dei reat di detenzione a fine di spaccio e cessione di sostanze stupefacenti del tipo coc:aina, hashish e marijuana, fatta eccezione per i capi B) e C), ai sensi dell’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ha rideterminato la pena in anni 3 e mesi 4 di reclusione
ed euro 8.888,00 di multa, con interdizione temporanea dai pubblici uffici per anni 5, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza della Corte d’appello ha presentato ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1. Con il primo motivo, si deduce la violazione di legge e la carenza di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’art. 73, co. 5, d.P.R. 309/1990 alla condotta contestata al capo C).
Secondo il difensore, la Corte territoriale, nell’escludere la fattispecie di lieve entità per l’ipotesi di cui al capo C), sulla base del solo dato quantitativo, avrebbe disatteso i parametri quantitativi fissati con la pronuncia della Sesta sezione della Corte di cassazione, n. 45061 del 2022, ed avrebbe eluso altresì i canoni interpretativi indicati da Questa Corte ai fini di una corretta valutazione dell’offensività della condotta, attinenti alle modalità e alle circostanze dell’azione.
Più in particolare, il quantitativo detenuto dal ricorrente, pari a 66,2 gr. di marijuana, rientrerebbe all’interno dei limiti quantitativi individuati dalla Sesta sezione con la summenzionata pronuncia, attestandosi ben al di sotto dei quantitativi massimi pari a 246 gr. ovvero a 108, 3 gr. di sostanza, secondo l’orientamento più restrittivo.
Il giudice d’appello avrebbe ritenuto assorbente tale dato quantitativo, omettendo di considerare gli ulteriori parametri indicati dalla giurisprudenza di legittimità attinenti ai mezzi, alle circostanze e alle modalità dell’azione. Sul punto, la difesa evidenzia come dall’attività di indagine non sarebbero emersi elementi riconducibili ad una qualche forma di organizzazione sottesa alle condotte incriminate. La fattispecie di lieve entità sarebbe invero configura bile nelle ipotesi di piccolo spaccio caratterizzate da una complessiva minore portata dell’attività, dall’assenza di complici e di una organizzazione stabile nonché da una ridotta circolazione di merce e denaro. Pertanto, la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe viziata laddove riconosce carattere ostativo al solo dato quantitativo, inferiore, in ogni caso, ai limiti massimi individuati da Questa corte.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 240 cod. pen. e l’omessa motivazione in ordine alla confisca del denaro.
Entrambi i giudici del merito sarebbero incorsi nell’errore di qualificare come provento dell’attività di spaccio il denaro rinvenuto nella disponibilità del ricorrente, statuendone la relativa confisca, in assenza di qualsivoglia motivazione.
Sul punto, si richiamano gli arresti giurisprudenziali secondo cui la confisca del denaro nella disponibilità del reo sarebbe consentita soltanto nel caso in cui risulti provato il nesso di pertinenzialità tra la valuta e la condotta di cui al capo
d’imputazione, di talché non sarebbero confiscabili le somme presuntivamente riconducibili ad altre e precedenti cessioni ovvero che potrebbero essere destinate a successivi approvvigionamenti, in quanto non possono essere qualificate come “strumento, prodotto, profitto ovvero prezzo” del reato.
Nel caso di specie, sarebbe oltremodo difficile stabilire un nesso di pertinenzialità tra le somme rinvenute presso il ricorrente e le cessioni contestate che si collocano in un frangente temporale anteriore.
2.3. Con un terzo motivo si deduce la violazione del divieto di reformatio in peius.
Nella commisurazione della pena, il Tribunale non aveva applicato alcun aumento per la continuazione, ritenendo congrua la pena di anni 6 di reclusione ed euro 26.000,00 di multa, che costituisce il minimo edittale previsto per l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990.
Il giudice di secondo grado, al contrario, avrebbe disposto un consistente aumento per la continuazione, pari a anni 1 e mesi 3 di reclusione, di talché, in difetto di impugnazione da parte del Pubblico Ministero, sarebbe incorso nella violazione dell’art. 597, comma 4, cod. proc. per.
2.4. Con un quarto motivo, connesso a quello precedente, si censura l’omessa indicazione da parte del giudice d’appello dei singoli aumenti per gli episodi di detenzione e di cessione, in contrasto con i princìpi sanciti da Questa corte con pronuncia a Sezioni Unite, n. 47127 del 24 giugno 2021, secondo cui sarebbe necessario indicare analiticamente i singoli aumenti per i reati satellite nonché i motivi a sostegno dell’incremento di pena per ciascuno di essi.
2.5. Con l’ultimo motivo si censura infine l’erroneità della riduzione per la scelta del rito.
Sotto un profilo squisitamente algebrico, la difesa evidenzia come, muovendo dalla pena di anni 4 e mesi 10 di reclusione, all’esito dell’aumento per la continuazione, ed applicando la riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato, si dovrebbe pervenire alla pena finale di anni 3, mesi 2 e giorni 20 di reclusione, e non alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione, cui è giunto il giudice di appello.
Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
AVV_NOTAIO ha depositato memoria con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso rilevando che la sentenza non è stata emessa ai sensi dell’art. 599 bis cod.proc.pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.
Va preliminarmente ricordato che è orientamento consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione, quello secondo cui la fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, anche all’esito della formulazione normativa introdotta dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, art. 2, conv. nella legge 10 febbraio 2014, n. 10, può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendosi escludere qualsivoglia preclusione derivante dalla eterogeneità delle sostanze o dalle modalità organizzate della condotta, essendo quest’ultimi elementi idonei ad escludere l’ipotesi del fatto lieve soltanto qualora siano dimostrativi di una significativa potenzialità offensiva (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076; Sez. 6, n. 29132 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270562; Sez. 3, n. 27064 del 19/03/2014, Rv. 259664; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Rv. 256610).
In tale senso, si erano già espresse le Sezioni Unite ove, rei riconoscere la fattispecie in parola solo in ipotesi di “minima offensività penale della condotta”, desumibile dalla valutazione dei parametri richiamati dalla disposizione – salvo uno di essi non sia di per sé suscettibile di arrecare un’offesa e/o di realizzare una messa in pericolo del bene tutelato così significative da renderlo assorbente – si osservava come la questione circa l’applicabilità o meno della norma in parola «non possa essere risolta in astratto, stabilendo incompatibilità in via di principio, ma deve trovare soluzione caso per caso, tenuto conto di volta in volta di tutte le specifiche e concrete circostanze» (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, P.G. in proc. Rico, Rv. 247911; Sez. U, n. 17 del 21/06/2000′ Primavera, Rv. 216668).
Nel solco delle citate pronunce si pone la successiva giurisprudenza che con indirizzo condiviso e consolidato ha affermato che, ai fini del riconoscimento della fattispecie incriminatrice del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il giudice è tenuto a valutare, secondo una visione unitaria e globale, tutti gli elementi normativamente indicati, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli attenenti all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa) come manifestatisi nel peculiare caso di specie.
In un contesto normativo nel quale i caratteri del fatto di lieve entità (mezzi, modalità e circostanze dell’azione) sono rimasti indifferenti all’evoluzione del quadro normativo, non essendo mai variati dopo l’introduzione della disposizione, avvenuta con il Testo Unico del 1990, le Sezioni Unite Murolo hanno affermato che l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indic sintomatici previsti dalla disposizione essendo non ostativa la diversità delle sostanze oggetto della condotta (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 – 01).
Ora la corte territoriale ha disatteso con motivazione congrua la riconducibilità dei fatti di cessione continuata contestata all’imputato di cui al capo C) – non essendo oggetto di ricorso il capo B) – in ragione del quantitativo e della detenzione a centinaia di dosi di stupefacente in un contesto di condotta reiterata di cessioni a una platea vasta di clienti, come risulta dai capi di imputazione per cui è intervenuta condanna, ancorando tale giudizio negativo sul dato ponderale e sulle modalità della condotta indicative di un modus operandi collaudato e consolidato significativo di una rilevante circolazione della droga incompatibile con il fatto lieve.
In tale contesto non è invocabile l’isolato precedente citata dalla difesa della Sesta sezione di Questa corte di legittimità, disatteso dalla successiva giurisprudenza che, nel solco delle Sezioni Unite, ha ribadito la necessità di una valutazione globale del fatto (Sez. 3, n. 12551 del 14/02/2023. PG in proc. Pascale, Rv. 284319 – 01).
2. Il secondo motivo di ricorso risulta parimenti manifestamente infondato.
All’atto dell’arresto in flagranza di reato, il 18 settembre 2019, all’imputato venne sequestrata, oltre alla sostanza stupefacente e al materiale per il confezionamento, la somma di denaro pari a circa C 5.000,00 in banconote da C 20 e 50, incompatibili con il reddito da pensione dell’imputato e ritenute, dai giudici del merito, provento dell’attività illecita, dunque,, da confiscare ai sensi degli artt. 85 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 240 bis cod.pen. in presenza di una presunzione iuris tantum di illecita accumulazione.
La Corte d’appello ha disposto la confisca della somma di denaro detenuta dall’imputato sul rilievo della incompatibilità con una diversa provenienza e sproporzionata rispetto al reddito da pensione. Tenuto conto che la confisca è stata applicata in relazione alla condanna per le due fattispecie di cui ai capo B) e C) per i quali è stata negata la fattispecie di lieve entità e a fronte di una rilevata sproporzione della – non minima – somma di denaro (C 5.000,00) in ragione dell’assenza di svolgimento di attività lavorativa e in presenza di commissione del reato che legittima l’applicazione della confisca c:.d. allargata o per sproporzione,
scatta la presunzione iuns tantum di illecita accumulazione, situazione che può essere superata con l’allegazione di specifici elementi dai quali desumere la provenienza lecita che l’imputato non ha assolto. Da cui la manifesta infondatezza della censura che deduce la violazione di legge in relazione all’art. 240 cod. pen.
3. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
Deve rilevarsi che il Tribunale, nella determinazione del trattamento sanzionatorio, non aveva operato alcun aumento per la continuazione a fronte di una condanna pronunciate per 17 capi di imputazione per cui aveva ritenuto provata la responsabilità dell’imputato (cfr. pag. 22). La Corte territoriale, nella determinazione del trattamento sanzionatorio a seguito del riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 ad esclusione dei capi B) e C), ha rideterminato la pena muovendo dalla pena base di anni due e mesi tre di reclusione e C 6.000,00 di multa, aumentata per la recidiva ad anni tre e mesi sette di reclusione e C 10.000 di multa, e per la continuazione ad anni quattro e mesi dieci di reclusione e C 13.333,00 di multa, ridotta per il rito ad anni tre e mesi quattro di reclusione e C 8.888 di multa.
Nel giudizio di appello, il divieto di “reformatio in peius” della sentenza impugnata esclusivamente dall’imputato non riguarda soltanto l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, tra cui anche l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione (Sez. 2, n. 10052 del 30/01/2015, Rv. 263158), sicchè la sentenza impugnata va annullata senza rinvio con rideterminazione della pena ad opera di Questa Corte di legittimità così da porre rimedio anche all’erroneo calcolo aritmetico della pena, oggetto del quinto motivo, effettuato dalla corte territoriale. Ciò premesso, deve essere eliminato il segmento di pena inflitto all’imputato pari all’aumento per la continuazione, operato in violazione dell’art. 597 comma 4 cod.proc.pen., e così la pena inflitta viene determinata in anni due mesi quattro e giorni venti di reclusione e C 6667,00 di multa (p.b. anni due e mesi tre di reclusione e C 6.000,00 di multa, aumentata per la recidiva ad anni tre e mesi sette di reclusione e C 10.000 di multa, ridotta per il rito abbreviato).
Il quarto motivo di ricorso che contesta l’assenza di del:erminazione dei singoli aumenti per la continuazione è assorbito dall’accoglimento del terzo motivo.
5.Conclusivamente la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio con eliminazione dell’aumento per la continuazione, come indicato nel dispositivo, nel resto il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed escluso l’aumento per la continuazione ridetermina la pena finale in anni due mesi quattro giorni venti di reclusione e C 6667,00 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 18/04/2024