Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2131 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2131 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SASSARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/02/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
NOME, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio;
lette le conclusioni scritte del difensore, che ha chiesto l’annullamento con o senza rinvio
(
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28/02/2023 la Corte di appello di Sassari, «previa diversa comparazione delle circostanze, ai sensi dell’art. 624 bis., u.c., c.p., apportato l’aumento per la circostanza aggravante e la diminuzione per le circostanze attenuanti generiche», ha confermato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sassari che aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di due anni e otto mesi di reclusione (quattro anni, ridotta di un terzo per il rito) per il delitto di furto in abitazione aggravato e continuato
Più precisamente, il primo giudice aveva determinato in quattro anni di reclusione la pena per il reato ascritto, previo giudizio di equivalenza tra l circostanze attenuanti generiche e la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo n. 2, cod. pen; la Corte di appello, preso atto che il primo giudice ha obliterato sia la pena pecuniaria sia l’aumento ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. e precisato che ai sensi dell’art. 624 bis, comma quarto, cod. pen. le circostanze attenuanti generiche non potevano operare se non sulla pena già aumentata per effetto della contestata aggravante privilegiata, ha ritenuto congrua la pena di sei anni di reclusione per il reato aggravato e, applicata la massima riduzione possibile per le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, ha confermato in quattro anni di reclusione, al lordo della diminuente processuale, la pena finale.
Ha proposto ricorso per cassazione il solo COGNOME, deducendo con unico motivo la violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen.: la Corte di appello, pur confermando il complessivo trattamento sanzionatorio inflitto, avrebbe violato il divieto di reformatio in peius perché avrebbe determinato la pena base in misura superiore a quella stabilita dal giudice di primo grado.
Il Procuratore generale, concludendo per iscritto, ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con nideterminazione della pena da parte della Corte di cassazione.
Il Difensore ha concluso per iscritto nel senso dell’annullamento con o senza rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. Il divieto di reformatio in peius si pone come limite al potere decisorio del giudice di secondo grado, ed è disciplinato dai commi 3 e 4 dell’art. 597 cod. proc. pen., come segue: a norma del comma 3, quando l’appello è proposto dal solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, né applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato con formula meno favorevole e revocare benefici, mentre può, in ossequio al tradizionale canone iura novit curia, dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave, purché non siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado; a norma del comrna 4, se l’appello dell’imputato viene accolto con riferimento a circostanze o a reati concorrenti, anc:he se unificati dalla continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere corrispondentemente diminuita.
Tra le diverse declinazioni del principio che sono state poste all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, va qui ricordata quella di cui si è occupata la sentenza NOME Morales del 2005 (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, Rv. 232066).
Nell’occasione le Sezioni Unite, dirimendo il contrasto sorto al riguardo e ponendosi in linea di continuità con affermazioni precedenti (Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME, Rv. 196894 e Sez. U, n. 5978 del 12/05/1995, COGNOME, Rv. 201034), hanno affermato che, nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, sicché il giudice di appello non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado.
Secondo questa pronuncia, il comma 3 dell’art. 597 cod. proc. pen. deve essere letto in uno al successivo comma 4, che costituisce una disposizione innovativa volta a «rafforzare il divieto della reformatio in peius che, con il codice abrogato, veniva sostanzialmente eluso dalla giurisprudenza allorché lo considerava riferibile solo alla pena complessivamente inflitta, consentendo di lasciare privo di conseguenze il riconoscimento di attenuanti, l’esclusione di aggravanti o il proscioglimento da alcune delle imputazioni contestate come concorrenti». Il comma 4 del citato art. 597 cod. proc. pen. individua quali elementi autonomi, pur nell’ambito della pena complessiva, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena base per le circostanze, sia l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione e da tale autonomia deriva l’impossibilità di elevare la pena comminata per detti singoli elementi (circostanze e reati concorrenti anche se unificati per la continuazione), pur risultando diminuita quella complessiva a seguito dell’accoglimento dell’appello proposto con riferimento non alle circostanze o al concorso di reati, ma per altri motivi.
Nel caso esaminato dalle Sezioni Unite era accaduto che la Corte di appello, investita dell’impugnazione del solo imputato, aveva escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 80 D.P.R. n. 309 del 1990 e, pur infliggendo una pena nel complesso inferiore a quella irrogata dal Tribunale, aveva elevato l’entità della pena base. In tale modo di procedere, le Sezioni Unite hanno ravvisato una violazione del principio del divieto della reformatio in peius, sancito dall’art. 597 commi 3 e 4 cod. proc. pen., come pure del principio devolutivo di cui al comma 1 della stessa norma di legge.
La giurisprudenza successiva è conforme nel ritenere che violi il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, su appello del solo imputato, aumenti la pena base pur mantenendo la sanzione complessiva entro i limiti determinati dal primo giudice (v. per tutte Sez. 2, n. 48259 del 23/09/2016, Pappalepore, Rv. 268636).
La circostanza che la pena inflitta sia illegale “per difetto”, cioè sia inferiore minimo edittale, non comporta la possibilità per il giudice dell’impugnazione, in assenza di gravame proposto dal pubblico ministero, di procedere a correzioni allo scopo di riportare la sanzione nei limiti edittali (cfr. Sez. 2, n. 30198 d 10/09/2020, COGNOME, Rv. 279905 e Sez. 3, n. 30286 del 09/03/2022, COGNOME, Rv. 283650).
2. Nel caso in questione, il giudice di primo grado è incorso in una serie di errori: anzitutto ha irrogato la sola pena detentiva, pur pronunciando condanna per una serie di furti in abitazione, reati puniti con pena congiunta detentiva e pecuniaria; inoltre, non ha applicato l’aumento a titolo di continuazione; infine, una volta esclusa la recidiva e la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen., nel determinare in quattro anni la pena complessiva ha applicato le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alla residua circostanza aggravante prevista dall’art. 625 n. 2 cod. pen., nonostante il chiaro disposto dell’art. 624 bis, comma quarto, cod. pen. stabilisca che «le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625 bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti» e il comma precedente individui la pena detentiva sulla quale operare la diminuzione per le circostanze attenuanti – una volta applicata una circostanza aggravante privilegiata come quella riconosciuta in questo caso – in un minimo di cinque ed un massimo di dieci anni di reclusione.
La Corte di appello, investita di specifico motivo da parte dell’imputato ed in assenza di appello della parte pubblica, ha “corretto” l’illegalità aumentando la
pena base da quattro a sei anni di reclusione e, su tale pena base, in ossequio al principio di cui al citato art. 624 bis, comma quarto, cod. pen., ha operato la riduzione per effetto delle circostanze attenuanti generiche.
Dalla pena-base fissata dal primo giudice, invece, la Corte territoriale non poteva discostarsi, in ragione dei principi sin qui ricordati.
La sentenza va dunque annullata con rinvio affinché la pena sia rideterminata, senza aumentare la pena-base stabilita dal primo giudice.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari.
Così deciso il 04/12/2023