Reformatio in peius: quando la riqualificazione del reato non viola il divieto
Il principio del divieto di reformatio in peius è un pilastro del nostro sistema processuale penale, posto a tutela del diritto di difesa dell’imputato. Esso stabilisce che, in caso di appello del solo imputato, la sua posizione non può essere peggiorata dal giudice del secondo grado. Tuttavia, un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini applicativi di tale divieto, specialmente nei casi di riqualificazione giuridica del fatto.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un imputato in primo grado. L’uomo decideva di presentare appello, contestando la sentenza. La Corte d’Appello, riesaminando il caso, accoglieva parzialmente le sue doglianze: escludeva la sussistenza di una circostanza aggravante, quella della minorata difesa (art. 61, n. 5, c.p.), e procedeva a una riqualificazione giuridica del fatto contestato. L’effetto di questa nuova valutazione era una diminuzione della pena finale inflitta all’imputato.
Nonostante il risultato favorevole, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse violato proprio il divieto di reformatio in peius. A suo dire, il meccanismo di ricalcolo della pena, pur portando a un esito più mite, configurava un peggioramento illegittimo della sua posizione.
Il Ricorso e la questione sulla reformatio in peius
Il nodo centrale del ricorso era se la modifica del percorso logico-giuridico per determinare la pena, operata dalla Corte d’Appello, potesse essere considerata una violazione del divieto di peggioramento. L’imputato, in sostanza, lamentava che la Corte di merito, nel riqualificare il reato, avesse sì ridotto la pena finale, ma attraverso un procedimento che, in astratto, lo danneggiava.
La Corte di Cassazione è stata quindi chiamata a stabilire se il divieto di reformatio in peius debba essere inteso in senso formale, legato al metodo di calcolo della pena, oppure in senso sostanziale, guardando unicamente al risultato finale per l’imputato.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, fornendo una motivazione chiara e lineare. Secondo i giudici, non vi è alcuna violazione del divieto di reformatio in peius quando la Corte d’Appello procede a una riqualificazione giuridica del fatto in una fattispecie meno grave.
In tale circostanza, il giudice del gravame ha il potere di rideterminare la pena base, partendo dal nuovo e più favorevole quadro sanzionatorio previsto dalla legge per il reato riqualificato. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente determinato una pena base inferiore a quella stabilita in primo grado e, comunque, più vicina al minimo edittale. L’operazione, quindi, non solo era legittima, ma aveva prodotto un effetto concreto e tangibile a vantaggio dell’imputato: una pena inferiore. La Corte ha sottolineato che il divieto di peggioramento non può essere invocato quando il trattamento sanzionatorio complessivo risulta migliorativo.
Le Conclusioni
Con questa ordinanza, la Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la valutazione della violazione del divieto di reformatio in peius deve essere condotta in termini sostanziali e non meramente formali. Ciò che conta è il risultato finale e complessivo per l’imputato. Se la decisione d’appello, pur attraverso una diversa qualificazione giuridica e un diverso percorso di calcolo, porta a una riduzione della pena, non si può parlare di peggioramento. La decisione rafforza la discrezionalità del giudice d’appello nel valutare pienamente i fatti, garantendo al contempo che il diritto dell’imputato a non vedere aggravata la propria posizione a seguito del suo solo appello sia tutelato nella sua sostanza.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato perché la Corte d’Appello, pur modificando il reato, ha applicato una pena complessivamente inferiore a quella del primo grado, con un risultato finale più favorevole per l’imputato. Non c’è stata, quindi, alcuna violazione del divieto di reformatio in peius.
Cosa significa divieto di reformatio in peius?
È un principio giuridico secondo cui, se solo l’imputato presenta appello contro una sentenza di condanna, il giudice dell’appello non può emettere una decisione che peggiori la sua situazione, ad esempio aumentando la pena.
La Corte d’Appello può cambiare la qualificazione di un reato?
Sì, la Corte d’Appello può procedere a una riqualificazione giuridica del fatto. Se questa nuova qualificazione porta a un reato meno grave e a una pena inferiore, l’operazione è perfettamente legittima e non viola il divieto di reformatio in peius.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9996 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9996 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/02/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME, ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con cui si denuncia la violazione del divieto di c.d. reformatio in peius a causa della diminuzione di pena effettuata dalla Corte d’appello per avere escluso la circostanza aggravante della minorata difesa, di cui all’art. 61, n. 5, cod. pen., è manifestamente infondato in quanto si è al cospetto di un’ipotesi in cui la Corte di merito ha proceduto alla riqualificazione giuridica del fatto determinando, peraltro, una pena base inferiore a quella stabilita dal primo giudice in ordine al reato più grave e, comunque, più prossima al minimo edittale in ragione della forbice stabilita dalla legge (pena massima anni tre di reclusione euro 1.032 di multa, Sez. 5, n. 1281 del 12/11/2018, dep. 2019, Rv. 274390) e dei profili di disvalore oggetto di rinnovata valutazione;
osservato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 23 gennaio 2024
Il Consigli GLYPH estensore
Il presidente