Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25361 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25361 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CATANIA il 21/06/2000
avverso la sentenza del 11/11/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e letto il ricorso dell’Avv. NOME COGNOME NOMECOGNOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME.
Ricorso trattato ai sensi dell’art. 611 c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catania che, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., ha rideterminato, riconoscendo la prevalenza delle attenuanti generiche (concesse con giudizio di equivalenza dal primo giudice), la pena inflitta all’imputato con sentenza del Gup del Tribunale di Catania del 13/03/2024, in ordine al reato di concorso in rapina aggravata dall’essere la minaccia commessa con un’arma e da più persone riunite.
Con un unico motivo, la difesa deduce la violazione del principio del divieto di reformatio in peius, in quanto la Corte d’appello, pur pervenendo in forza della prevalenza delle attenuanti generiche ad una pena complessivamente inferiore a quella inflitta dal primo giudice, aveva stabilito la pena base della reclusione in misura superiore (anni sette) rispetto a quella stabilita dal Gup, pari ad anni sei e mesi tre di reclusione.
Il P.G. presso questa Corte, con requisitoria dell’8 aprile 2025, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Dalla lettura della sentenza di primo grado (pag. 5) risulta che il Gup così determinò la pena inflitta al ricorrente: applicate le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti rispetto alle circostanze aggravanti, pena base anni 6 e mesi 3 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa (nonostante la ricorrenza di due circostanze aggravanti di cui al n. 1 del comma 3 dell’art. 628 imponesse di fare applicazione del comma 4 di detto articolo secondo cui «se concorrono due o più delle circostanze di cui al terzo comma … la pena è della reclusione da sette a vent’anni..»), ridotta per il rito abbreviato ad anni 4 mesi 2 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che le parti hanno concordemente stabilito la seguente pena, ritenuta congrua dalla Corte di merito (pag. 2): pena base, anni 7 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, ridotta per la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti ad anni 5 di reclusione ed euro 2.000 di multa, ridotta per il rito abbreviato ad anni 3 mesi 4 di reclusione ed euro 1.400,00 di multa.
Sebbene la Corte d’appello abbia rideterminato la pena base in misura superiore a quella stabilita dal primo giudice, è comunque pervenuta ad un
risultato finale favorevole al ricorrente, per come richiesto dalle parti nella richiest di concordato.
Posto che la misura della pena, in ragione del giudizio di prevalenza espresso, rispetta i parametri legali in tutte le sue componenti di calcolo, e che si è pervenuti ad un risultato finale più favorevole al ricorrente, va escluso tanto che si sia al cospetto di un’ipotesi di pena illegale che della violazione del principio della reformatio in peius.
L’accesso al rito favorevole costituito dal concordato non poteva che avvenire attraverso la rideterminazione di una pena che tenesse conto dei suoi esatti limiti ed ambiti legali, in considerazione anche del fatto che il primo giudice aveva stabilito – in violazione del comma quarto dell’art. 628 cod. pen. la pena base al di sotto del limite edittale (anni sette di reclusione) ricorrendo più circostanze aggravanti in ordine al delitto di rapina.
Peraltro, la richiesta di concordato contiene in sé la rinunzia a far valere violazioni di legge che, anche se relative al trattamento sanzionatorio, non sfocino in ipotesi di pena illegale.
A sostegno di tale conclusione rileva l’orientamento espresso dalle Sezioni unite (sentenza n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284481 – 01) che, pur ritenendo proponibile nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza, hanno ribadito che le uniche altre doglianze proponibili sono quelle relative ad eventuali vizi della sentenza rispetto alla volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta, al contenuto difforme della pronuncia e all’applicazione di una pena illegale (in termini, Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102; Sez. 2, ordinanza n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969; sulla scia di questo orientamento è collocata anche Sez. 2, n. 3587 del 6/11/2020, dep. 2021, Coco, non mass.) per tale dovendosi intendere quella non conforme al paradigma normativo (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886; Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818; Sez. U, n. 38809 del 31/3/2022, COGNOME, Rv. 283689).
Dalle ragioni sin qui esposte deriva l’inammissibilità del ricorso, in quanto proposto per motivo non consentito, con le conseguenti statuizioni, ex art. 616 cod. proc. pen., in ordine alle spese processuali e al pagamento dell’ammenda, determinata in ragione dei profili i inammissibilità rilevati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 27 maggio 2025.